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Toulouse en érasmienne

venerdì 31 maggio 2013

Lettura, e libri

Mi sto sbellicando.


Immagine da wikipedia versione inglese, con mille ringraziamenti


D'accordo, non che sia la cosa più delicata da dire quando si hanno per le mani le guerre di un mezzo secolo, europee ed extra, ma è così.

 (enoncapiscochemaledettamaniahannotuttiultimamente di rendere incaricabili le immagini, accidenti. Meno male che wikipedia esiste - e resiste).

Se foste prigionieri, cosa fareste? Tentereste di evadere, naturalmente. E se vi dicessero che, passati indenni tra leopardi, bufali e serpenti dovreste comunque camminare per migliaia di miglia prima di arrivare al sicuro in terra amica, rinuncereste? Sì??? Ma come, quando c'è una f a v o l o s a montagna (quella lassù, ovviamente), che vi si para davanti agli occhi tutte le mattine al risveglio nella scalcinata baracca di prigionieri senza nemmeno una biblioteca, dove avete già letto la carta stampata che girava, persino le briciole, ricercate con avidità da tutti e passate di mano in mano, non andreste almeno a darle un'occhiata più da vicino? Piuttosto che passare le giornate nell'inerzia e nella noia, insomma.

Io sì, anche solo al vederla, la montagna, non sognerei che di trovare i compagni adatti a una simile impresa, pur se prigioniera non sono, anzi apprezzo il mio materasso in lattice per diverse ore tutti i giorni. Perché è vero che mi faccio trekking semplici semplici in solitaria (esempio da non seguire, lettori e lettrici), ma per un'ascensione in quelle condizioni i compagni ci vogliono. Oltre che per prudenza, fa parte del gioco beffare le guardie insieme.

Questo libro - perché quel che dichiaravo di tenere fra le mani metaforicamente poco più su è materialmente raccolto in un libro - fa la storia dei tre uomini che tentarono l'impresa. Non la storia dell'impresa (quella l'ha già scritta uno di loro), ma la loro biografia precedente e successiva, e così facendo attraversa l'Europa e una parte dell'Africa della prima metà del secolo scorso, che di guerre e massacri non s'è privata, ragionevolemente parlando. Cosa e come li aveva fatti crescere con quei desideri e quelle capacità? Come erano arrivati nel campo di prigionia? Cosa li spinse ad andare sul monte, e cosa fecero della loro vita una volta ridiscesi? Insomma: vivaddio non è un libro intimista. Non è il solito inflazionato libro da ambiente urbano di trentenni, ops quarantenni in crisi, così comodo per scongiurare con la lettura qualsiasi rischio di prender l'iniziativa e cambiare la propria vita. Non se ne poteva più! Qui entra l'aria, la luce, la gioia di essere vivi, di fare qualcosa perché ti va, di andare laggiù perché è là, anche quando è folle, soprattutto perché è folle, soprattutto perché non te lo impone nessun dover essere, soprattutto perché non si deve per regole che non ti rappresentano, che non hai mai scelto né voluto. Qui entra il ragionamento sul passato per capire il presente, il filo delle cause anziché lo sbalordimento epidermico e inconsapevole degli effetti, la coscienza e la conoscenza, lo studio ed il confronto. Qui rido, fremo dalla voglia di partire, e li capisco nella voglia di cammino e nella felicità di scrivere oggi una simile storia. Nella loro vita sotto la dittatura, no, non posso capire. Questo anche cerca di indagare il libro, il crinale tra l'essere complici e l'essere contro, in cui soltanto pochi riescono a seguire una linea retta senza mai distogliersene.

Ma se poi, tornati indietro, riusciste a scrivere un libro che narra tutta la storia dell'ascensione, come hanno fatto appunto i tre prigionieri alpinisti, e questo libro diventasse un classico nello stesso paese che vi teneva (a livello collettivo non senza motivo), prigionieri, non sarebbe la più bella affermazione di intelligenza e di libertà?

Mi diverto come una pazza. Anche se si già come va a finire :-)

P.S.: pare che il film usa tratto dal libro di Benuzzi sia totalmente mistificato e non abbia nulla del "real-life" che proclama.



martedì 14 maggio 2013

La banalità del male

Neanche 18 anni e così tanta voglia di vivere da gettarsi sul selciato di un cortile in una sera del più radioso maggio che il secolo e i decenni ricordino, cielo di seta azzurra e sole che smalta i colori. Così ha deciso un bimbo dalle guance pienotte accompagnate da un grande, dolce sorriso, un po' stupito e incerto di fronte al mondo, come a volte gli adolescenti regalano, e dai grandi occhiali. Uno sguardo che non credo di avere mai incrociato.
L'altra mattina, uscendo di casa per andare al lavoro, incrocio invece un poliziotto, giovane e gentile, attento. Sta uscendo dall'appartamento di fronte. "Ha cinque minuti? Accetta di rispondere? Sa, è per quel ragazzino che si è buttato ieri sera, è morto. Era minorenne...". La fretta mattutina scompare, e piegati sul buffet - nel mio appartamento minuscolo regna sovrano l'ordine del trasloco - tentiamo di ricostruire cosa facessi la sera prima tra le 7 e le 8. Dormicchiavo probabilmente, recuperando l'alzataccia lavorativa, circondata dai romanzi che avevano avuto la meglio sui più ragionevoli tomi di studio.
"Ha sentito grida, liti?", mi chiede, mentre non so cosa rispondergli. Abito dall'altro lato del palazzo.   Assente per tanti mesi non posso nemmeno riportare se vi fossero discussioni abituali. Una voce giovane e fresca ha veramente penetrato con un grido, uno solo, non angosciato, quasi sorpreso, il dormiveglia, strappandomi al sonno?  Per tutta la giornata me lo chiedo. Tonfi no, quello di certo. Le sirene che ho sentito, pensando fossero di passaggio, erano per lui? o non era ieri? Per tutta la giornata me lo chiedo, sbigottita di me stessa, sentendomi idiota, sorda e cieca.
"Sincero, allegro e solare" lascia scritto un suo amico mentre sul pavimento del cortile si accumulano fiori, fogli di carta pieni di foto, candele, pacchetti di pavesini e Buondì Motta. Appesi tutt'intorno striscioni e una bandiera della Roma con il saluto scanzonato e affettuoso di un amico milanista. Ma la frase che mi annoda lo stomaco è un'altra, riferita a una foto infantile: "Anche senza denti il tuo sorriso è bellissimo".
L'unica frase che mi viene in mente, del tutto fuori contesto, è: "Si muore perché si è soli, o perché si è entrati in un gioco troppo grande."
Che si tratti delle mani armate, compiacentemente armate, dei mafiosi, o della solitudine infinita e disperata di tanti, troppi suicidi.
Quando a volte chissà, basterebbe essere "visti", basterebbe una parola gentile, una carezza sentita e delicata, un gesto di premura e di calore, a far sentire meno soli, a maggio.