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Toulouse en érasmienne

domenica 14 luglio 2013

SENZA COMMENTI

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“I tumori? Macché Ilva, la colpa è di tabacco e alcol”

Parola di Enrico Bondi, ex amministratore ILVA per conto della famiglia Riva, ora commissario dell'azienda.

Quando ho scritto questo post evidentemente non avevo ben chiaro fino a che limite la realtà potesse ancora superare la fantasia.

  Ma davvero ci fidiamo ad affidare l'economia del nostro paese a personaggi del genere?

venerdì 12 luglio 2013

La macchina rossa

Non ce ne son più molte in giro così, ormai. Sono passati quasi quindici anni. Ma quando ne vedo passare una superstite, come ieri sera, l'istinto è sempre quello di slanciarmi dentro. E partire ancora una volta, per un lungo viaggio pieno di chiacchiere nella notte. Mi manca.
Fili che il nostro cervello mai non rompe.

giovedì 11 luglio 2013

Il lato sciatto del padrone

“Attenzione, appello urgente: chi è venuto oggi al lavoro con la sua macchina è pregato di consegnarne le chiavi all’ufficio personale. Abbiamo bisogno delle vostre batterie per far ripartire il sistema di raffreddamento. In attesa che arrivino quelle nuove, chiedo anche che vengano consegnate tutte le pile, di qualsiasi formato, in vostro possesso. Ci potrebbero servire. E siccome dobbiamo mandare qualcuno a comprarne di nuove in città, chiederei anche di volerci prestare del cash. Al momento, in cassa non ne abbiamo. Grazie per la collaborazione ”.

Contro la catastrofe nucleare grazie alle batterie delle utilitarie degli operai del reattore. Secondo questo articolo quando l'impianto di raffreddamento a Fukushima non si riavviava dopo  lo tsunami il direttore della centrale, oggi morto di cancro, avrebbe chiesto aiuto agli operai per farlo ripartire grazie alle batterie delle loro automobili.
I dirigenti della Tepco, l'azienda privata cui appartiene Fukushima, avevano deciso di comune accordo di non rinforzare le protezioni antitsunami come "consigliato" ma non imposto dalla legge: costavano.

Per restare nel campo dell'energia, questo ricorda la nostrana storia del Vajont, quando un bacino di centrale idroelettrica costruito ai piedi di una frana di 260 milioni di metri cubi fu riempito in tutta fretta malgrado i segnali di rischio perché bisognava vendere l'impianto allo Stato, e più era pieno, più ci si sarebbe guadagnato. Su questa vicenda è stato scritto molto e rimane straordinario e documentato racconto visivo quello di Marco Paolini.

Ma viene da ricordare anche l'acciaieria Thyssen dove i sistemi di sicurezza furono lasciati andare perché l'impianto avrebbe presto chiuso; e la sicurezza degli operai era divenuto un costo da comprimere. Confidando nella fortuna. Salvo poi dare la colpa agli operai quando l'incidente mortale si verificò.
"Era diventato assolutamente normale che persone, ignare dei veri rischi e senza alcuna formazione anticendio, si sobbarcassero il compito di affrontare le fiamme con mezzi inidonei (estintori a corta gittata, con estinguente non adeguato alla combustione della carta, e comunque inefficace perchè non sedò il focolaio) e con il divieto di chiamare i vigili del fuoco, ma di risalire una gerarchia di segnalazioni attraverso telefoni da tempo rotti e anelli mancati per sovrapposizione di mansioni”. Secondo i giudici “era cioè diventato normale per la dirigenza aspettarsi da loro che superassero le remore di autoprotezione minimali per chiunque e che si esponessero così a rischi che solo la dirigenza conosceva e contribuiva a mantenere" (dalla motivazione della sentenza di appello).

Anche in Giappone, come altrove, gli operai che fanno la manutenzione delle centrali nucleari sono ovviamente considerati "un costo". Lavorano ad alto rischio, e per scongiurare il più possible le malattie professionali dovrebbero alternare lunghi periodi di riposo, retribuiti dalle aziende, con quelli di lavoro. Ma è un costo: e le aziende risolvono la cosa facendo dei contratti a termine, della durata del periodo legale di lavoro, ma che, udite udite, possono essere rinnovati immediatamente purché si cambi di centrale nucleare, evitando così di remunerare il previsto periodo di riposo, in cui si suppone chi lavora dovrebbe vivere d'aria.

"Il meccanismo è quello del subappalto. Questi lavoratori sono giapponesi poveri che vengono assunti per fare le pulizie da ditte che hanno il subappalto del subappalto. Quando vanno a lavorare hanno delle targhette per segnalare le radiazioni a cui sono esposti. Dopo un certo limite, dovrebbero smettere di lavorare. Invece vengono mandati in un'altra centrale a fare lo stesso mestiere. Sono loro stessi a volerlo, spesso cambiano addirittura nome, tanto non c'è il sindacato che controlla e un sistema di protezioni per il lavoratore. Assumono dieci volte le radiazioni consentite. Se si ammalano, nessuno li ha mai visti né conosciuti. Sono migliaia. Quelli che si prendono il cancro e hanno il coraggio di denunciare si riducono ad alcune decine.
C'è rimozione, sì, perché tutto deve funzionare bene, secondo armonia. Adesso però vediamo che conseguenze determinerà quest'ultima catastrofe."

Altri particolari qui e qui.

Non solo. Gli stessi lavoratori che oggi eseguono la bonifica del sito operano in condizioni precarie che aumentano il rischio. Si parla di dosimentri delle radiazioni truccati. Per tacere dei vigili del fuoco che si dovette mandare più o meno alla morte nel momento dell'incidente da parte del governo giapponese.

Ecco perché sarebbe molto meglio che il settore energia fosse e restasse in mani pubbliche; che non avessero di mira il profitto privato, ma la fornitura, a condizioni degne, di un servizio indispensabile a tutti.