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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

martedì 29 ottobre 2013

E qualcuno firmò

In tre per la precisione. A ciel sereno e inaspettatamente il mio periodo parigino è sopravvissuto per altri sei mesi. Poi, chissà.
Stordita e sollevata mi guardo intorno come una lumachina uscita dal guscio.
E mi preparo per partire.
Sperando di lasciare qui, e per sempre, il bagaglio di questi dieci mesi e un giorno (dal 28 dicembre 2012, per la precisione) di attese e ansie:
fame compulsiva e insoddisfacente, fino ai vasetti di acciughe svuotati alle 4 del mattino,
insonnia,
contratture muscolari dolorosissime, con conseguenti cicli di fisioterapia,
perdita dell'attenzione e della concentrazione (non parliamo della creatività e dell'ideazione di cose nuove),
stato d'ansia generalizzato,
pensieri ossessivi,
pianti,
irascibilità,
crisi di soffocamento,
incapacità di ascoltare i discorsi degli altri.

Una domanda, però, resta: a chi, a cosa, serve far lavorare la gente in questo modo? Quanto posso essere stata produttiva io in questi mesi? Non sarebbe stato più conveniente avermi al massimo e devota per sei mesi, che stravolta per sei mesi o un anno?

venerdì 4 ottobre 2013

Tamburi negli abissi

Vuoto. Vuoto.
Dopo tre mesi di traccheggiamenti e micro mosse, dopo otto mesi di miei tentativi disperati, ecco che ogni possibilità di ottenere il ritorno in Francia naufraga per motivi che non si riesce a chiarire, sostanzialmente per l'insipienza di concepire una organizzazione del lavoro meno ottusa, indifferente, sprecona. Sprecona delle persone, delle loro capacità, delle opportunità che potrebbero dare non solo con le loro conoscenze, competenze, ma anche con le loro speranze, desideri, emozioni bisognosi di concretizzarsi in risultati, opportunità, vivacità, vita.
Questo è il vero spreco del pubblico impiego, che lo si dica, una volta per tutte. Questo è ciò che fa parlare e soprattutto straparlare di "privilegio ai fannulloni". E che non si risolverà certo con i licenziamenti facili, ma con una diversa selezione e formazione della dirigenza (peraltro sempre più pagata), oltre che fermando i tagli insensati di una ideologia criminale come quella liberista al potere.
Non riesco ancora a realizzare che sarà veramente così. Che dovrò perdere tutto ciò che avevo cominciato, che non finirò i miei studi, i miei libri, perché non posso portarmi qui archivi interi, né biblioteche intere, né farmele fotografare, né tenere relazioni, né seguire corsi o altro, né farmi scappate saltuarie con ferie di cui tre settimane sono già impegnate per obbligo, specie poi con i salari che abbiamo.
Che dovrò dire ai miei professori che sono la solita italiana cialtrona che pianta le cose a metà.
Che davvero dovrò continuare a vegetare passando fatture, e basta.
Vuoto, vuoto. Vuoto.
"Tamburi, tamburi negli abissi".