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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

martedì 26 novembre 2013

Basta capirsi

In Francia, si sa, la météo è una religione. Ma dopotutto è un paese atlantico e variabilissimo in buona parte, almeno fino alla Loira, vero spartiacque climatico quanto culturale. Ma vi è già capitato di vedere i meterologi a una manifestazione? In Italia mai, mentre qui "Météo en colère" o "ça chauffe" sui loro striscioni sono dei classici.
Tuttavia non è che sian proprio al di sopra delle frontiere. Culturali, intendo. Per esempio, oggi per loro il tempo da queste parti era "un sept ensoleillé", intendendo con "sept" sette gradi Celsius. Dove l' "ensoleillé" al massimo dello splendore è stato quel che si vede sotto.
Chissà che ne avrebbe pensato Tiepolo.


P.S. uno dei due tipi che dicevo nel precedente post mi hanno anticipato, mi cita per un lavoro inedito. (Altre cose invece vanno meno bene.) Ma per noi pazzi, si sa, son sempre soddisfazioni. Ci voleva il sole ;-).

giovedì 21 novembre 2013

Le soleil, à Paris

Inizia tutto con una sorpresa. La luna. Tonda, piena, fa capolino dietro gli alberi scuri sull'Appennino. Mi sorride e io cammino al volante della mia Bianchina stracarica, ancora una volta paziente, che mi riporta in Francia. Paziente non del tutto, però: stavolta ha preteso di essere rimessa in piedi, e già che ci siamo, pure in grado di frenare. E ha mandato all'aria tutti i miei progetti di serate culturali a Parigi, con i conti delle sue visite mediche. Ma si sa, i piccoli vanno tenuti da conto e lei ha solo diciassette anni... e meno male che c'è.
Quella luna mi fa sentire partita, dopo le solite ore di discesa pacchi lungo le scale (nella mia casa romana non c'è ascensore) e caricamento sacchi. Sacchi, perché a furia di traslocare per emigrare ogni sei mesi, bando alle valigie, per quanto mi riguarda, e largo ai sacchi cinesi, ché per i nuovi migranti sono quanto di meglio dare si possa: leggeri, comprimibili, resistenti, a costo zero o quasi.
Finalmente le tristezze dietro le spalle, speriamo, e la tranquillità davanti. Per sei mesi. Sperando di tenere a bada l'inquietudine del ritorno che mai più non vorrei.
Arrivo da Stella, nella notte, dove un piatto pieno di squisitezze è sempre pronto per me, come un riparo per Bianchina. Chiacchiere a lungo, prima di sdraiarmi ai piedi del suo letto, perché in un monolocale con cucina come il suo due letti non ci stanno, no. Ma a 350 euro al mese, spese incluse non uno di più, di meglio non si trova, a Torino. E già per Roma sarebbe una reggia.
Riprendo a salire lungo la Val di Susa, verso il Fréjus.  Quest'anno niente controlli. Che li abbia presi nella controra, o che ci siano diversi ordini, non saprei dire. Ma l'anno scorso, non fosse stato per il mio bagagliaio stracolmo, mi avrebbero fatto svuotare l'automobile intera. Anche il passaggio del tunnel appare più semplice, con meno carte.
Di colpo vedo una bandiera francese. E io, la persona meno patriottica della terra, io che non inalbero la nazione come un simbolo, mi credo razionale e senza patria, provo un tuffo al cuore di felicità che mi stupisce, davanti a un pezzo di stoffa che per me è la libertà amata. Liberté... con quanto segue. E mi metto a cantare. Così passo il confine, sotto il monte.
Dall'altro lato del tunnel le rupi scoscese della Savoia. Le autostrade francesi, tutte curve e saliscendi, riposanti eppur monotone. Per la quarta volta percorro queste contrade: "Transmigra in montem sicut passer". תֹּאמְרוּ לְנַפְשִׁי; נודו צִפּוֹר Quel passer catulliano che s'infila nella penna di Gerolamo o chi per lui.

Uno svantaggio la Francia ce l'ha: il gpl è self service, e la mia automobile, catalizzata a posteriori,  ha un serbatoio assai piccolo. Quindi, quando corre a pieno carico, chiede la poppata ogni tre ore. Ora a me il self service dei carburanti pare una solenne estorsione ai danni del consumatore. Per infinitesimi centesimi in meno,  quando ci sono, si perde molto più tempo, si congela (in questa stagione) e non ci son più tutti quei piccoli servizi, come il controllo dei liquidi e la pulizia dei vetri. In compenso, i gestori delle pompe, che ormai sono tutti grandi gruppi, tagliano su sette o otto salari, prendono un semplice cassiere che serve anche al pessimo supermarket dell'autogrill, dove c'è sempre la fila, beninteso, e fan sostanziose economie sul costo del personale. A scapito nostro e della qualità del servizio, ovviamente. Ed evviva il profitto.
Comunque, sempre meglio la Francia dell'Italia, dove, semplicemente, da Torino al confine, di gpl proprio non se ne trova. Sparito, scomparso, inesistente nelle patrie lande. Ed evviva il privato, sempre efficiente.
Lione dietro le spalle e la lunga traversata del centro di Francia. I biscotti di Stella finiscono uno dietro l'altro. La fatica e la leggerezza di essere qui. Qualche cellula grigia ricomincia a funzionare: per la prima volta da sei mesi, penso. Al lavoro da fare, al come farlo. Mi vengono idee.
Quante volte nella mia vita sono scomparse, le idee che zampillavano dal mio cervello. Indizio infallibile di una situazione di oppressione. E poi rispuntate, in una situazione diversa, allentata.

Stanca, sempre più stanca, passo la barriera di Parigi. Si scende dai colli verso la grande città. E d'improvviso, di certo preparata dagli ingegneri, la sorpresa. Un faro spazza l'orizzonte. Lei, laggiù, oscura eppure visibile, monumento al metallo e al bullone, altro simbolo che mi fa sussultare.
Sono tornata, sono tornata a casa.
Davanti alla mia finestra, da quella notte, ci sarà un albero dalle dorate foglie dell'autunno. Pioggia gelida, sole timido, luna piena nell'aria secca e tagliente.
Parigi dove a ogni angolo ti occhieggiano manifesti. Corneille, Mozart, il Rinascimento, Molière e Lully (vedrò Psyché!!! dovessi poi vivere di aria per due mesi). Parigi dov'è spuntata una gru a fianco del Panthéon. Parigi dove nel métro occhieggia una pubblicità di linee aeree low cost abbastanza apertamente omosessuale. Dove sui sedili del métro qualcuno si prepara una baguette jambon-beurre e, già che c'è, aggiunge i cornichons. Dove per festeggiare la riapertura della biblioteca della Sorbona dopo tre anni di lavori si organizzano serate e visite. Parigi dove espongono manoscritti da perdere gli occhi tra Oriente e Occidente, Lumières de la sagesse. Parigi dove vai a fare una pratica e ti dicono, va bene, può passare anche fra qualche giorno, non c'è fretta, mentre nei corridoi ti accoglie la musica di Haendel . Ripenso alle file insensate della mia università e mi dico ancora una volta che siamo fuori dal mondo, da tutti i mondi.
Parigi dove troppa gente beve ahimé troppo, e i clochard, non sono solo colore, ma punta dell'iceberg di un problema sociale rimosso, secondo me. Parigi dove la prima riunione di lavoro è qui .
Incominceranno le nuove giornate, e gesti e parole, e non sbagliare, come diceva un vecchio romanzo. Qualche novità e qualche delusione (due pubblicazioni hanno anticipato le mie: è il mestiere malandrino, ma lì per lì, specie se sei "clandestino della ricerca", come dice Michela, non è facile tenere botta).
Se solo avessi tempo, più tempo... di vivere.
Sono felice.




Buona notte.

giovedì 7 novembre 2013

Propulsione a prosecco

Inutile negarlo: ci sono posti molto peggiori dove studiare di questa città da sempre cara.
Dopo 10 ore di archivio passate a decifrare francobolli imprescindibili per il felice avvenire dell'umanità, ti ritrovi in un bacaro con l'amica lontana ma vicina al cuore e alla vita che non vedi da anni. In piedi, accartocciate alle parole, piatto di tartine che ricordano le tapas di un tempo, quando la vidi in piedi davanti al mio poster e cominciammo a chiacchierare. Per tre giorni di fila, dai tetti delle cattedrali alle pasticcerie. Di studio e di vita. Cioè di quasi tutto, praticamente ;-).
Lacerti cinquecenteschi inaspettatamente loquaci, letture figurate, ricezione di Pinocchio nelle fiabe sonore, ombre, libri, "el zonta fa el anzel", processi, orari, burocrazia imbecille per definizione, bollicine, profughi istriani, baccalà, ancora bollicine si armonizzano davanti allo scuro canale veneziano. Il proprietario quasi non osa buttarci fuori (e per Venezia vuol dire tanto). Facciamo il giro della città due volte nella notte. Alfieri, Casanova e Goldoni fioriscono nei discorsi, le loro notti bianche piene di canti, l'equivalente dei cornetti di oggi nelle albe a Rialto dopo le ore spese nei casini dei piaceri. A testimonianza archeologica del Settecento ne rimane qualcuno semisconosciuto, oggi in città. Ma i cittadini sono partiti e tutto ormai chiude alle nove di sera: tempo per i veneziani di ritornare a Mestre... Qualche sbirciata in negozi di lane ben morbide. Il manoscritto dell'Histoire de ma vie l'ha comprato (ed esposto in mostra e digitalizzato perché tutti possano leggerlo liberamente) la Bibliothèque Nationale de France: quale migliore esempio della translatio studii?
L'ho sempre detto io: nessuna sostanza psicotropa darà mai un miglior trip della ricerca. Fantasia e rigore, libertà e consapevolezza. La vita, la libertà. (Video orrendo ma non si trova di meglio.)
Sono così felice di studiare qui che non vorrei più tornare.
P.S. il titolo è ovviamente scandalosamente ripreso da qui.
Ma domani alle 8,10 apre l'archivio. E' tempo di Morfeo.



venerdì 1 novembre 2013

Sul concetto di vacanze

Il collega che mi ha guardato con una sorta di tacita ammirazione e quasi simpatia nelle vicissitudini di questi dieci mesi m'incontra sulla porta l'ultimo giorno e mi fa: "Adesso tutte vacanze, eh."
Sì, forse, non so.
Nelle ultime 48 ore, quando ho preso due giorni di ferie non godute prima della partenza, ho totalizzato una media di tre medici al dì, tre anticamere d'altro genere risoltesi in nulla e scappate volanti in biblioteca per riuscire almeno a combinare qualcosa. Da lunedì mi aspettano altre 48 analoghe.

Domani alle 8 mi aspetta invece un'altra biblioteca, dove quando ho chiesto se fossero aperti questo sabato di ponte, un saggio alle mie spalle ha fatto eco neppure a voce tanto bassa: "Siete aperti domani 1 novembre?".
Già, perché non è mica facile capire che per chi lavora il sabato è l'unico giorno in cui puoi dedicarti allo studio in santa pace, come altri possono farlo con lo sport. O con la casa. Ovvio che poi vivi nel caos e non hai niente in frigo, si sa. (Meno male che ci sono le acciughe.)
Ma lasciamo andare.

La cosa più difficile da far comprendere è che il mio part time non è una vacanza. Che io torno dalla biblioteca alle 20.45 di sera, e mi attacco a internet fino alle ore piccole. Che studiare richiede una concentrazione che non molla mai, non può mai staccare, perché è come un fragile filo dentro la tua testa che connette e pensa, immagina e verifica. Che le idee son materiale delicato e insieme fragile e volatile, e se non le curi e segui quasi senza soste si spengono e si perdono. La cultura è una creatura morbida, diceva uno studioso, ed è vero sotto tanti aspetti.
Che la ricerca, quando si fa sul serio, e mentre si fa, è mestiere ascetico che non conosce pause, o la perdi, svanisce come un'ombra dell'Ade. Forse è diverso per chi fa ricerca sperimentale, perché c'è una parte di "manualità ripetitiva" ancorata a una serie di gesti da compiere che riportano a una dimensione fisica ineludibile e più facile da afferrare. Non so.
Che qualsiasi mestiere creativo ha un terribile bisogno delle rose. Marie Curie, quando, rimasta tragicamente vedova e dopo aver ricevuto un Nobel, ebbe finalmente i mezzi per costruire un "pavillon du radium" (esiste ancora a Parigi, piccolo e armonioso, e si può visitare), fece piantare, a lavori in corso, centinaia di rose tutt'attorno. "Ma zitti!" imponeva a collaboratori e operai: "non ho detto niente al signor Nénot, il contabile".

Che le vacanze per me non esistono o quasi, perché vivo con mezzi infinitesimali, grazie alla generosità di tanti e anche alla mortificazione di dover aiuto e riconscenza a chi avrei voluto solo ricambiare della sua stessa moneta. Posizione falsa.
Ma non ho neanche tempo, né forze, di pensarci.

Potrei dire che come intensità lavorativa le mie vacanze sono i mesi "di lavoro" in un'istituzione incapace di valorizzarmi pur avendo un bisogno estremo di personale qualificato (e fatti due conti senza falsa modestia dovrei essere tra il 5% dei più qualificati di tutta l'amministrazione, nel mio mestiere), ma che ha ancora più paura di toccare gli equilibri, tanto più se precari e malsani.
Quei mesi in cui qualcuno mi ha urlato in faccia e in pubblico, con l'indice puntato da scolaretta: "Tu stai qui e lavori!". E a me veniva da ridere.

Gli italiani hanno da sempre il grosso problema dell'ignoranza. Del timore, del sospetto e dell'invidia per chi sa, chi ama apprendere, vuole capire, conoscere, interpretare.
Quel che ho fatto io, anche altri potrebbero farlo. Ma non gliene importa. Però gli importa moltissimo sfogare in ogni modo il risentimento - o il senso di colpa e di inadeguatezza per essere disinteressati allo studio? - verso coloro che ci tengono, invece.
Che anche questi ultimi abbiano fatto rinunce, e assunto fatiche che loro non si sarebbero mai sobbarcati, non li sfiora. Che il lavoro non dovrebbe essere un bagno penale, e se lo diventa, invece di brontolare ci sarebbe da chiedere un'organizzazione diversa in maniera solidale, men che meno. Meglio uscire a fumarsi una sigaretta e fare il giro del palazzo venti volte in sette ore.

Davanti alla mia sorridente perplessità il collega si spiega meglio: "E' che non sei legata, lo scegli tu". Sì, lo scelgo io di gettarmi in questa assurda quanto indispensabile avventura.
La mia amica Michela, che ha vissuto una storia non troppo lontana da "clandestina della ricerca", come splendidamente si definisce, ha trovato anche per questo la definizione giusta: "alienazione volontaria".
E starebbe bene così.

Ma quando, come stamattina, mi sveglio all'incredibile sole di questo principio di novembre, e trovo che ho finalmente la forza di passare l'aspirapolvere nella mia minuscola casa, mentre prima doveva venire mia madre, non a farlo, ma a starmi vicino mentre lo facevo, o mi avrebbe trovata sepolta dalle ragnatele che nemmeno la bella addormentata, mi dico che qualche limite è stato davvero oltrepassato. Senza che me ne accorgessi.

Sì, sono felice di essere libera e di partire. Sì, mi lascerò tutto questo alle spalle con sollievo, per sei mesi. Ma non è normale, per arrivarci, essere ridotti così.