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Toulouse en érasmienne

domenica 29 dicembre 2013

La favola di Natale: Laurent, il mestiere, le tasse



Ciao Laurent, parti per queste vacanze? Mi affitteresti il tuo appartamento come quell'estate, due anni fa? Devo venire per ricerche urgenti lì prima che chiudano la baracca fino al prossimo autunno. Hanno deciso di traslocare proprio adesso, sono disperata. Grazie!
L. benvenuta! Sì, parto, puoi stare a  casa mia, ora abito con altri due amici, sono sistemato meglio, li avverto subito. No, non è il caso che tu mi dia niente: l'altra volta ti ho chiesto dei soldi perché non avevo molte disponibilità, ma adesso è diverso. Vieni quando vuoi.
Ora, con Laurent non è che si sia proprio amici di vecchia data. Ci siamo visti in tutto tre volte, per complessiva forse mezza giornata e solo per questioni relative all'affitto della sua casa. Eppure, con il senso dell'ospitalità che ho trovato in molti francesi, per lui è semplicissimo lasciarmi il possesso della sua stanza, della sua connessione, del suo buffo letto a castello matrimoniale che cigola come se si volesse smontare immediatamente ma è solido, mi ripete ogni volta, e poi se regge lui che è il doppio di me, a maggior ragione reggerà me, mi dico tutte le sere mentre salgo nella mia stanza aerea con colonna sonora incorporata. In breve, tutto ciò che si trova in casa è per me, mentre lui pensa a partire.
Al suo ritorno, mentre la lavatrice fa il bucato delle mie lenzuola, parliamo un po'. "Ho aperto la mia ditta", mi fa orgoglioso questo giovane uomo di forse venticinque anni, che ha girato mezzo mondo e vive in una spoglia e grande casa, cui non nuocerebbe una rinfrescata, con altri due coetanei. "Abbiamo un ufficio, su verso la collina. A fine gennaio sarà un anno."  Da sempre Laurent sognava di insegnare matematica. "Capisci, entrare in contatto con un allievo, stabilire un rapporto, cercare di conquistarne la fiducia. Porsi un obiettivo, aiutare l'allievo a raggiungerlo, vederlo sviluppare le sue capacità.". Però, quante cose dietro la matematica. "Sai, ho sempre dato lezioni mentre studiavo. Ma senza ricevuta, in nero, come si dice. Dopo quattro anni, ormai, i genitori mi conoscevano, mi mandavano altre persone. Ho dovuto coinvolgere un amico, molto bravo anche lui. Adesso ho diciassette allievi, quattordici li vedo regolarmente, due ore a settimana, altri tre meno spesso. Vado a casa loro, mi piace entrare nelle case, osservare. Oramai sono lionese d'adozione, io che vengo dalla periferia parigina." Un po' come un precettore di un tempo. "Però, a questo punto, ho detto: Ne faccio il mio mestiere. E ho aperto l'azienda. Adesso, faccio le fatture, pago le tasse. Tutto in regola." E sorride.
E' e si sente adulto, ormai. Finalmente.
Da quattro mesi, Laurent ha finito i suoi studi di matematica. Alla Normale.



P.S.: ogni mancanza di raffronto con la situazione italiana n o n è puramente casuale.

sabato 7 dicembre 2013

Ma le zingarelle saranno la versione d'epoca del bunga bunga?

Anzi, coi toreri "fra le braccia dell'amor" andiamo pure nella prestazione ambosessi. Però.
Non che la giornata fosse cominciata male. Anche se si lavora di sabato, farlo qui:



 non è poi la cosa peggiore del mondo. Soprattutto se devi scovare materiale utile tra questi sfondi:








e sotto questi sguardi.







Purtroppo c'è un interludio molto stonato.
Eccezionalmente sono con Bianchina e la lascio obbediente sulla spianata posteriore. Quando mi cacciano, perché ovviamente son sempre l'ultima a andare via, vado a comprarmi qualcosa di buono e chiedo di pagar con la carta di credito. Risposta inverosimile quanto inedita: "Non prendiamo carte straniere." Devo aver fatto una faccia piuttosto eloquente, perché qui un'occhiata pesa più di un urlo - e non cesso, anche quando non mi piace, di ammirare la classe nell'interazione sviluppata da questo popolo. Dopodiché, da brava, torno alla macchina. La apro. Metto giù il sacchetto, lo zainetto, il pc  (il problema del post precedente persiste :-/). La giacca. Per motivi imperscrutabili, forse per la seccatura presa nel negozio, infilo le chiavi nel cruscotto. E, ovviamente, chiudo la porta. Sono fuori. Loro, dentro. Forse nella posizione meno consigliabile per lasciarle dentro a una macchina. Fuori, io sono letteralmente senza più nulla.Tutto sta dentro. Chiavi. Documenti (miei e suoi). Carte. Computer. Lavoro dentro al computer!!!! Appunti!!!!!! °O° l'urlo di Munch mi fa un baffo. Stilografica, cioè "quella" stilografica. Chiavi di casa. Telefono. Numeri di telefono. Cappotto. Navigo. Soldi. Nulla. Tutto.
La situazione è troppo seria per disperarsi. Attraverso con nonchalance il parco mentre cala la sera. Almeno le chiavi non si vedranno troppo. M'infilo nel métro, santificando una volta di più il servizio pubblico ubiquo di questa meravigliosa città. Esordisco: "Signora, ho un grosso problema." Di là dal vetro la signora si dispone a ascoltare col sorriso d'ordinanza che significa: "Ahi. Qui grossa grana in arrivo. Lo sapevo che non dovevo farmi incastrare di sabato prenatalizio nel pomeriggio". "Sto facendo ricerche qui all'Archivio" Educato stupore. "Oggi ho lasciato la macchina lì dietro" (specificare non guasta, perché è un posto di balordi e fors'anche altro). "Poi mi son chiusa fuori da sola" "Sguardi impazienti. "Non ho più nulla. Nemmeno la giacca". E iocosavuolechelefaccia, si legge negli occhi dell'impassibile agente RATP. "E abito a [luogo dall'altra parte della città]". Sorriso estatico: "Ah, ma vuole che la faccia passare!". Il sollievo è tale che mi srotolerebbe la guida rossa. E mi apre i complicatissimi tornelli tra cui fuggo come una che ha alle spalle il vento parigino mentre è rimasta in soriola.
Per fortuna qualcuno in casa. Altro educato stupore per la mia tenuta alquanto leggera, dato che di solito gelo dal freddo. Afferro il duplicato delle chiavi, che per fortuna abitava proprio là dove ricordavo, e riparto.
Totale, 4 ore e mezzo. Ma il sollievo di rivedere Bianchina sana e salva e ritrovare il mio lavoro intatto è difficile da descrivere.

Finalmente a casa, in una seria nebbiosa.
Un rito che da tanti anni non riuscivo a onorare. La radio, il silenzio, nessuno tra i piedi, la nebbia.
Il maestro scende.
Daniele Gatti dedica la serata a Nelson Mandela. Poi dirige con lento garbo e continuata intensità in un susseguirsi di atmosfere sospese. Diana Damrau, malgrado le iniziali incertezze nelle note gravi, ha una personalità così straripante, una compiutezza teatrale così consumata che non m'importa. Italiano perfetto dizione chiara. Soprattutto, la recitazione nella voce. Non perde una sfumatura. Accetto persino le risatine: saranno astuzie per riprendere fiato? Già da quando comincia con "Godiam. Godiam, fugace e rapido", il tono basso e intimo. Ha ben chiaro che "E' strano" non è una palestra di acuti, ma una scena teatrale compiuta. E che una primadonna dimostra tanto più di esserlo quando straripa dentro quel che deve fare, non quando lo calpesta per mettere in luce se stessa. Mi piace come fa cozzare l'amore e i suoi tremiti con la disperazione che affiora quando capisce che la sua vita la riacchiapperà: "Follie, follie." Quando pronuncia "folleggiare" è veramente folle, in trappola, oppressa, costretta e combattuta fra pressioni delle abitudini e dei retaggi di una via intera e dall'altro canto, dai desideri e dal timore di altro.  Non è vero che "la personalità di Violetta esce nel secondo e terzo atto", almeno se, invece di pensare agli acuti (e del resto una cantante che s'è offerta in vita sua innumerevoli scene come questa, che ci dovrebbe trovare ancora in qualche acuto?), si pensa al senso drammatico e anticipatore della scena, forse la più spontanea di Violetta, perché la canta da sola, senza interazioni esterne, se non il ricordo, che ci piace immaginare tale, di Alfredo che le sussurra amore tra le quinte della festa.
E poi mi piace questa Violetta adulta, favorita in ciò dal timbro, per quanto innamorata. Forte, spoglia, cosciente.
L'opera è una meravigliosa prova di come una donna si sappia uccidere con le sue stesse mani. Sotto sotto, ma mica poi tanto, ogni volta non riesco a concepire come non dia un sacrosanto calcione a quell'impiccione di suocero beghino. Nessuno la obbliga a lasciare Alfredo. In effetti lì sta il punto debole del romanzo all'origine: perché la storia vera di Alexandre e Alphonsine non prevede interventi paterni su una donna angelicata, ma, cosa molto più moderna, la difficoltà di rapporto tra uno squattrinato e una prostituta d'alto bordo con annesso padre protettore. Donna che molto argutamente qui in Francia presentano come quanto di più lontano dalle lacrime di Pretty woman nel suo palco - e per fortuna!!! Piuttosto en femme libre. E in effetti oggi è forse questo aspetto che potrebbe far reggere una storia la cui dose di moralismo ci siamo per fortuna gettati alle spalle.
Altra cosa che mi piace è l'atmosfera raccolta e sempre più cupa,  man mano che la storia avanza, che Gatti imprime all'opera. L'attenzione ai dettagli, come le battute "A chi scrivevi? A te..." che ci danno forse l'unico eloquente spiraglio sul tono quotidiano dei due innamorati. Un cerchio soffocante rinchiuso su sé stesso che finisce solo con la morte. Una bella parafrasi del narcisismo di certe vite, problema ben presente ai giorni nostri. Quanto di più lontano anche qui dall'accumulo cinematografico zeffirelliano. Questa è una piccola storia borghese in interni, piuttosto squallida da ogni lato la si guardi. Una volta lo sfarzo si può accettare (e anche lì sarebbe sceverare tra Zeffirelli e Visconti, che non ho ovviamente potuto vedere direttamente), ma nel complesso snatura l'opera. Gatti fa anche completare le arie, come si è ripreso da qualche tempo e giustamente, nel rispetto del testo teatrale, quando c'è qualcuno che lo sappia recitare. Vedi il dramma struggente e nudo della seconda strofa di "Addio del passato", nessuna indulgenza al lirismo, nessun compiacimento, il teatro spoglio in primo piano, perciò tanto più vibrante.
Certo, Alfredo è Alfredo, cioè, malgrado tutti gli sforzi del direttore di suggerire altro, fa il tenore e io proprio non riesco ad ascoltarlo. Ma lo so, è una mia idiosincrasia.
Un'enorme tartina di foie gras. Un bicchiere di vino CSM che qui stanno lasciando inacidire.
Insomma una sera di piacere che cancella ogni seccatura :-).

Credo che vedere questa Traviata sia una gran bella esperienza.

lunedì 2 dicembre 2013

Perché non ho :- ( comprato un Ipad

Avevo tutte le migliori intenzioni quando ho varcato la porta del Icoso negozio nella galleria sotto il Louvre. Quella dove, a ben cercarli tra molta trascurabile paccottiglia e qualche splendore, ci sono ancora i torrioni dell'antica cinta medievale di Parigi, enormi e stabili, a sfidare le piccole luci da fiera dei nostri tempi con le loro tozze pietre gigantesche. E da dove si può entrare al Louvre direttamente nella - bellissima - piramide di Pei, guardando da sotto in su i grandi edifici della corte. Avevo la convinzione che sarei presto tornata, dopo la spiegazione di Florian, grazia francese nei modi spontaneamente sorridenti e garbati. Riusciva quasi a far dimenticare l'insopportabile gergo standard preteso dalle grandi catene, per cui ai clienti ci si deve rivolgere sempre nello stesso modo e con le stesse frasi, che pare di avere a che fare con una banda di robot stereotipati, cerimoniosi quanto falsi. Tanto più qui, dove in genere sono tutti già molto formali e gentili (con le dovute eccezioni e la non irrilevante personalità).

Non mi aveva trattenuta il pensiero che questo è un investimento che fa fuori praticamente il mio bilancio mensile.
Non un improvviso attacco di misoneismo per "l'ultimo ritrovato della tecnica", come una dirigente dei B.B. C.C. mi disse  mentre facevo un tirocinio nel 2001, con scherno per cotanta audacia innovatrice, quando proposi di passare una serie di immagini che avevano su dischetto, udite, udite, addirittura su un CD-ROM. (Il personaggio, di nobili origini, ma di men nobile arroganza, è ora, fortunatamente per tutti, in pensione.)
Non un improvviso rigurgito di impazienza per una grafica pupazzesca che trovo ai limiti dell'inguardabile.
Nemmeno il design dell'oggetto, ché bello è bello, ma sta diventando un tantino déjà vu, ecco.
Neanche i rischi per la poca discrezione spesso rimproverata ai marchingegni dell'azienda da cui proviene.
Né la scarsa simpatia che ispirano le condizioni di lavoro e di vita insostenibili, a quanto si dice, nelle ditte a cui viene subappaltata la costruzione dell'oggetto.
Non era neppure questione di ribellarsi all'impero delle multinazionali.
O un attacco di "decrescita felice", nella terribile declinazione pauperistico-passatista con cui viene propagata nelle patrie lande (e se qualcuno volesse saperne di più lo inviterei piuttosto a leggersi Serge Latouche che gli improbabili adepti nostrani).
No. Io lo v o l e v o! E lo sapevo.
Sarei passata sopra anche alla proverbiale chiusura proprietaria, che fa giustamente arrabbiare tanti fautori del software libero e condivisibile. Potendo.

Semplicemente, la mia schiena protestava, e ancora protesta, contro il sacco che le carico addosso: e che sia tirandomelo dietro per le vie di Parigi - o dovrei piuttosto dire le scale del métro? - o mettendolo in uno zaino, o in una borsa da pc, poco le importa. Strilla come se le pestassero ininterrottamente i muscoli con un martello. Cicli di fisioterapia poco hanno potuto, lì; allungamenti per altro molto benefici su un pallone, neppure: se solo provo a rimetterci un peso, lei si frantuma, e io solidalmente con lei. Al punto che non riesco neppur più a concentrarmi come vorrei.
E allora, il pensiero di avere in così poco peso, e con una magnifica tastiera lieve come una piuma a far da coperchio protettivo, computer, macchina fotografica  (la mia ha deciso di mettersi in sciopero giusto ieri, ma senza avanzare chiare rivendicazioni ahimè :-/ ) e autonomia fino a 10 ore, per cui niente peso aggiuntivo in cavi, durevole (si spera, sono stufa di buttar roba ogni tre anni, voi no?), mi aveva decisa.
Nelle mie intenzioni avrebbe dovuto essere uno strumento di lavoro. Gli veniva chiesto di prendere appunti, cioè file di qualche decina di migliaia di caratteri l'uno, impensabili da scrivere con i polpastrelli sullo schermo o le microtastiere pena l'attacco isterico, scattare qualche centinaio di foto di documenti redatti spesso a mano tre-cinque secoli fa (il che significa almeno la funzione "dettaglio" di una digitale perché siano leggibili e ingrandibili), portarsi obbedientemente tutto a casa, e consentirmi di vederlo e trasferirlo su schermi più grandi, uno suo fratellino e l'altro no. Allo stesso tempo, uno schermo di proporzioni tali da permettere di guardare e confrontare foto nel computer e documenti sul tavolo, e da scrivere e leggere senza troppa pena (lo schermo di un telefonino è un po' piccolo) e una tastiera conseguente.
Ma neppur per sogno.

Perché il mio tesoro a priori dovrebbe ancora sapersi servire del cordone ombelicale [leggasi: utilizzare per la trasmissione dati un banale e semplice cavo, dato che l'Ipad non permette l'uso di chiavi USB], ma in realtà pare che con questo mezzo non ci sia un modo evidente di passare immagini e soprattutto file di testo compatibili con i programmi usati dall'universo mondo senza problemi su un computer, e viceversa. Ovvero senza cercare se esiste un'applicazione a ciò deputata chissà dove, e saperla poi far funzionare. Cosa per la quale, sinceramente, non mi sento dopotutto così portata, né avrei modo e soprattutto tempo per svelare l'arcano da me (ché già mi hanno affibbiato un Excel che fa pena e io dovrei pure insegnargli a rispondere quando gli si parla, mentre il poverino ha gli input del linguaggio mescolati che neppure un minestrone: e anche lì, non so proprio dove mettere le mani per ridargli forma umana). Il fatto che il capo del pur gentilissimo Florian abbia rifiutato di lasciarci fare una prova di trasporto file via cavo persino su un loro fisso, non contribuiva certo a fugare i miei dubbi. Oltre a far misurare quanto poco simpaticamente siano gerarchizzati nei negozi Apple, malgrado gli sfoggi di commerciali sorrisi. E no, io non sono sempre online, anche se ormai "tutti hanno internet" e cambio paese e luogo di lavoro e abitazione ogni momento, e ho bisogno di non ritrovarmi a non poter usare un aggeggio che costa un occhio della testa perché la connessione è andata a ramengo, per n motivi, ovviamente nel solo momento in cui era indispensabile che ci fosse. Per non parlare dei costi aggiuntivi di impianto e abbonamento.
Nel  frattempo, con grande delusione di Florian, sono più ricca di 600 euro, o forse dovrei dire meno povera, essendo rimasti in buona sostanza dov'erano. Giro con un quaderno e una certa penna stilografica (eh, almeno), prendendo appunti e ringraziando di avere ancora le mani che funzionano. Quando proprio non posso fare a meno di portare Bianchino a spalla, come oggi, torno a casa che vorrei trovare un mattarello gigante a spianarmi come una sfoglia da tortellini.

Qualcosa mi dice che non può durare, però. In capo a qualche settimana gli appunti stanno crescendo, anzi lievitando più di un pandoro (chi mi legge, lo so, sa di cosa parlo...). Se qualcuno avesse un'idea, una scappatoia, una esperienza da raccontare, che mi riavvicinasse a una soluzione, parli ora e gliene sarà reso merito... io devo correre a stirarmi sul materasso, accidenti.