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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

mercoledì 29 gennaio 2014

Attese

Scruto il cielo, nella speranza.
Niente, nessun segnale.
Guardo il calendario, in attesa del ritorno.
Vado a teatro   compulsivamente (beh, per una settimana, ché di più non si può).
Sogno su Molière. Fosse mai l'invocazione giusta.
Niente. Macché.
Di solito, di questi tempi, arrivava.


Addirittura c'era chi mi avvertiva via email (e grazie, grazie!).
Un po' eccentrico (nel senso letterale del termine), sì, ma infallibile.




Ma quest'anno, nessuna avvisaglia.
Tacciono i siti meteo.
E nel frattempo, il nome dato a questo mese dalla Rivoluzione francese (pluviose) non è stato mai tanto meritato.
Aspettiamo.


(Le foto si riferiscono all'anno scorso.)

sabato 18 gennaio 2014

Carenze: fisiche e comunicative


1) Vorrei davvero riuscire a scoprire quale gravissima malformazione neuro-fisico-ormo-psico-genetica fa sì che il mio senso della sazietà svanisca davanti a qualsiasi alimento contenga del fegato. Preferibilmente gras.

2) Le mie visite agli operatori telefonici francesi ammontano ormai a dicesi sette. Citiamo il capolavoro diplomatico del cosiddetto centro assistenza: "Ma, scusi, lei non ha un telefonino francese?". Meglio non far seguire la risposta. Ce l'avrò il telefonino francese? Vinca il migliore.

La mia stima di operatori telefonici e banche, seguiti dalle compagnie di assicurazione, che ammettiamolo, già non fanno molto per rendersi simpatici, non fa che crescere. In basso a sinistra, naturalmente.

martedì 14 gennaio 2014

Anche qui è un paese normale

Finalmente è successo. Non poteva essere diversamente. Sono normali.
Una cosa che qui in Francia non funziona. Ma proprio per niente. O meglio: per noi semplici umani non funziona. Cioè per chi è dall'altra e più debole parte della barricata. Per chi fa soldi invece no. Funziona alla grande, dato che il sistema è universalmente adottato da tutti gli operatori. Ah ah: la concorrenza libera va a vantaggio del consumatore? Uh, la risata del mattino. Per i pirla, forse. Per quelli che aspettano il milione di posti eccetera. Il meccanismo è così ben congegnato che sfuggire è impossibile. Bisogna arrendersi, e obbedire. Oddio, io in realtà non obbedirei. Non mi piacciono gli obblighi di un certo tipo, quelli che portano sfacciatamente vantaggi a qualcun altro, che in teoria fornisce pure un servizio, per intenderci. Ma stavolta ci sono ragioni pratico-diplomatiche che mi obbligano a cedere.
Sto parlando dei cellulari. Qui in Francia, diciamocelo, funzionano da schifo. Punto. Per carità, le reti vanno perfettamente. Sono le tariffe che sono folli. Un abbonamento per fisso, internet e cellulare ha costi buoni. Le carte prepagate no. Ma proprio no. Se, da Parigi che più Parigi non si può, voglio fare una chiamata qui in Francia, spendo m e n o con il mio cellulare italiano che con una carta prepagata francese. Non parliamo poi se mi sogno - pure di domenica - di chiamare in Italia. Per di più, le carte prepagate hanno scadenze brevissime. Una carta da quindici euro vale anche meno di un mese, che tu l'adoperi o no, dopo una certa data devi ricaricare e perdi tutto il credito residuo. Per non parlare dei millantati sconti. Compri una ricarica da 35 euro, mi sussurra la voce che mi chiama apposta sul telefono un mattino. Le regaleremo quindici minuti di conversazione gratuiti. Ah sì? Finiti i trentacinque, appare forse la notizia della ricarica? nemmen per sogno: "Il suo credito è terminato, effettui una ricarica". Risultato: un cellulare francese avevo deciso di non averlo più.
Anche perché sono una che al telefono ricorre solo in casi eccezionali.
Solo che qui protestano un po' contro questa situazione.
Mi metto in cerca. "Ci sono i forfait", sostengono tutti, "costano niente!".
Effettivamente le tariffe sono convenienti. Peccato che in molti casi sia obbligatorio impegnarsi per contratto a sottoscriverli per più tempo di quello che mi resta da passare qui.
Alla fine mi decido per l'offerta apparentemente migliore, quella di Free. Praticamente gratuita, 2 euro al mese. Due ore di chiamate, sms illimitati, 19 cm al minuto per chiamare se del caso in Italia, nessun impegno a protrarre il contratto nel tempo.
E  comincia l'odissea. Un solo negozio, per fortuna centrale, in tutta Parigi e dintorni.
Scomodo rispetto ai miei itinerari, ma pazienza.
Voglio avere la carta subito, quindi andrò direttamente lì.
Vado. Coda. Signora, vogliamo il suo identificatore nazionale di conto corrente.
Non ce l'ho.
Allora niente telefono.
Sospiro.
Vado dalla concorrenza. Concorrenza? Ma sì, la concorrenza libera va sempre a vantaggio del consumatore!!!! Liberalizzare i servizi andrà magicamente a vantaggio dei cittadini! Come osi dubitare, tu, conservatrice arretrata e ideologizzata che non sei altro?
Ah, ah, uh, uh, ih, ih. Come diceva il mio professore di filosofia: "Mi butto per terra e sbatto i piedi fino a dopodomani".
Stessa identica storia, ma con tariffe molto maggiori.
Risolto in qualche modo il problema, ritorno.
Negozio chiuso. Con un'ora di anticipo.
Qui sbuffano sempre più.
Ritento.
Gentilissima ragazzina con sorriso professionale accluso: ha l'identificatore? ha un bancomat? Se vuole sottoscrivere un forfait, deve prima fare un versamento extra con il bancomat di un conto francese.
Dirlo prima no, eh.
"Franchement" non ne posso più. Non è colpa sua, le dico, le regole non le fa lei, ma questo sistema è
 ridicolmente complicato e scomodo. Quando basterebbero delle semplici ricariche prepagate da effettuare mensilmente sul proprio numero, come vivaddio e incredibilmente hanno già capito in Italia da un pezzo.
Lì non mi rivedono certo per la quarta volta.
E allora? Solo per amor di pace mi piegherò, ma veramente con fastidio, a acquistare un'altra carta prepagata, con sms illimitati, da un fornitore diverso da Free e dall'altro, che era Orange, e mi guarderò bene dall'usarla per chiamare.
Piuttosto, metto su un'impresa di piccioni viaggiatori.

domenica 5 gennaio 2014

Lacrime nelle stazioni





Oggi è giorno di ritorni. Domani 6 gennaio, come del resto il 26 dicembre, non è giorno festivo qui.


All'aeroporto, già al mattino, la gente comincia a partire. Sono i voli che costano meno, beninteso.
E compaiono quelle che non si è più abituati a vedere: le lacrime delle separazioni. Non sono quelle dei ragazzini innamoratisi  durante l'estate che grazie a qualche genitore intelligente si reincontrano durante le vacanze. No.
Discrete inondano gli angoli degli occhi di chi resta, attristano il cuore di chi parte. Vengono da chi ha separato la propria famiglia nella speranza di una vita migliore. Vestiti dimessi, tristi, aria povera e a volte cupamente oppressa, come ottusa dalla durezza di un'esistenza che non conosce riposo alla stanchezza, alla lacerazione. Per tutti costoro, un viaggio verso i propri cari non è qualcosa che si possa affrontare perché ti va, nel momento in cui se ne ha bisogno. E' una spesa da gestire con oculatezza, ci creda chi vuole ai low cost.
Vengono dagli occhi dei nipotini ormai cresciuti che vedono ripartire le nonne amate verso i paesi d'Oriente e del Sud. Donne sformate come le nostre mezzo secolo fa, dall'aria quieta e salda. Lasciano qui i figli partiti lontano ormai da tanto tempo.
Vengono dagli occhi delle immigrate dell'Est, non le fotomodelle, ma quelle bionde, robuste e forti come cavalli da tiro. Con un bambino per mano e un marito vicino salutano una madre dalla messa in piega tutta ricci come nelle foto delle nostre nonne d'altri tempi, mentre si avvia apparentemente tranquilla oltre il muro di vetro, verso l'ispezione della polizia.
Vengono da chi ritrova per troppo poco tempo genitori che erano ancora nella forza dell'età matura quando hanno lasciato il proprio paese. Ora li rivedono improvvisamente invecchiati e indeboliti senza capire né come né quando sia successo. La loro debolezza colpisce al cuore, impotenti e smarriti, insieme alla tristezza della lontananza, mentre il passato con la sua forza dell'età è sempre più lontano. Vengono da chi cresce lontano dagli affetti dei nonni, così unici, così essenziali, così pieni di dedizione come mai nessun altro nella vita.
Le nonne, le mamme, non piangono. Chissà, forse assaporano quella distrazione alla vita abitudinaria di casa. Chissà, forse stringono da troppo tempo nel cuore l'angoscia per i loro piccoli che la casa l'hanno lasciata, con rabbia, con disperazione, con coraggio, con incoscienza, per tentare di vincere la miseria. Chissà, forse vogliono sempre e semplicemente la loro serenità, e chiudono nel cuore il proprio dolore per non attristare la vita che ha saputo costruirsi chi da loro è nato. Chissà, forse hanno nel cuore la forza imperturbabile di quelle persone semplici, per le quali la vita era sempre e comunque solo lavoro e fatica, come se questa fosse una legge di natura. 
Gli agenti sono cortesi. Salutano, augurano buon viaggio.
Le vite come il pianto continuano a scorrere, lontani, sempre più lontani.