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Toulouse en érasmienne

giovedì 13 febbraio 2014

Conosco un albergo

Aggiornamento: ho ritrovato alcune foto di quella giornata (la prima parte), e le posto, sperando che il file non sia troppo pesante. In caso, ne toglierò qualcuna.

No, non a Oxford. E per le misericordiose che prendono parte ai miei travagli, al momento lato oltremanica sono ancora sull'open air, o meglio stars (se se ne riescono a vedere attraverso la pioggia).


Questa storia risale a qualche anno fa, quando un bel dì di maggio prendemmo un treno Roma Parigi insieme a un'amica figlia di un'amica di famiglia e al di lei padre. Ci conosciamo da quando eravamo ragazzine, le nostre madri hanno per un certo periodo lavorato insieme, le visite dalla sua alla mia città sono state frequenti, lunghe notti a chiacchierare, letti improvvisati, lunghe passeggiate, lunghe cene in famiglia, vestiti, trucco, uscite, con lei e con sua sorella, insomma, tutto quello che fanno le ragazzine perbene da che mondo è mondo. Ormai però siamo adulte, lei ha avuto la ventura e la furbizia di farsi una sua vita in Francia da tempo, lavora, è agrégée d'italiano e guadagna bene, benissimo per i patri standard, qui è felice. Io esco da un periodo non facile, anzi non ne esco ma ci nuoto dentro, o meglio non smetto di nuotare. Risolti i problemi lavorativi, da poco ho potuto ricominciare a studiare. Questo viaggio a Parigi è programmato proprio per consentirmi di ficcanasare in biblioteche varie alla ricerca di manoscritti dispersi (lo so, è un vizio).
"Forse viene anche mio padre", mi fa lei, e va bene, suo padre è un tantino pedante, di quelli che ti fanno venire il latte alle ginocchia, ma è anche una persona piuttosto solida, forse per quella certa imperturbabilità che non lo distrae mai dalle sue convinzioni.

A Parigi splende il sole ed è il primo di maggio, le joli mai. Una delle rarissime giornate in cui tutto chiude in Francia, persino il Louvre. In stazione (ebbene sì! vedi che ufficio del turismo) si distribuiscono i volantini per la manifestazione del pomeriggio, dove si decide di andare.










Ora i Francesi a una manifestazione sono abbastanza spassosi, per degli Italiani almeno, data la loro capacità di coordinazione e di fare le cose in gruppo (ovviamente se lo dite a loro vi diranno che per carità, ma fidatevi: sono compatti come un sol uomo, allo stesso tempo lievi e come sempre educatissimi per chi viene dalle patrie lande). Mettiamo davanti al Luxembourg all'uscita del métro: il corteo che viene da sinistra 




sfila davanti alla salita del Panthéon, dove sono in attesa di partire altri spezzoni, tra i quali quello dei giovani socialisti, in quel momento non molto ben visti dagli altri partecipanti. Che si guardano bene dall'arrestarsi per farli passare. E quelli, da bravi, aspettano che si plachi il torrente principale. Ma neanche per sogno.


Finché da quel gruppo di ragazzi elegantissimi, prevalentemente in blu, ed intonatissimi ai palloncini bianchi con il simbolo della rosa che inalberano (la rosa che Mitterrand portò al Panthéon il giorno della suo insediamento), si leva un delicatissimo e acuto coro "Nous voudrions partir tous ensemble". Che continua, educatissimo, intonatissimo, perfettamente all'unisono, trasformandosi in un "Nous voulons partir tous ensemble" decisamente più incisivo, finché il corteo cede e li lascia partire.

Ai cancelli del Luxembourg.







































































C'è chi sventola le bandierine della Comune di Parigi con le ciliegie intrecciate, perché maggio è la festa del lavoro ma anche la Semaine sanglante della repressione della Comune nel 1871.










Chi chiede la sospensione della chiusura degli uffici postali. In Francia la posta raggiunge anche i più piccoli ed isolati borghi agricoli: è un simbolo del servizio pubblico molto importante e molto utilizzato dai cittadini, ma le politiche liberiste di tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni hanno spesso soppresso questo presidio pubblico sul territorio, quando giudicato non abbastanza redditizio.

 Gli extracomunitari in abiti variopinti cantano per chiedere la regolarizzazione, anche loro benissimo (questo pure in Italia, vi è mai capitato di sentire un coro di Bengalesi davanti a Palazzo Chigi? A me sì, avendo lavorato a Piazza Monte Citorio - non in Parlamento - per un certo periodo ho avuto l'occasione di mettere insieme un campione comparativo di tutte le immaginabili e possibili rivendicazioni nell'arco di due anni, e come lo fanno melodiosamente i Bengalesi nessuno, garantisco). I sindacati, ovviamente. 


Tanti s'inventano il loro cartello:

















Tanti s'inventano il loro cartello, ma lo slogan più diffuso l'ha inventato il presidente. Sì, Nicolas Sarkozy, il presidente di destra allora in carica, quando ha schernito un contestatore con le parole "Cass'toi pauvre con". Tutta la Francia ha reagito scandalizzata, persino nel suo partito, all'idea che un presidente della Repubblica si rivolgesse così a un cittadino, per quanto molesto. Se per caso vi viene in mente qualcuno abituato allo stesso stile, beh fatevi due conti sulle differenze fra i nostri paesi. Fatto sta che quella frase s'è appiccicata al personaggio con colla indissolubile: dalle vignette, agli slogan, alle battute fra amici è diventata proverbiale. E al corteo si ritrova ovunque, sugli autoadesivi, sugli striscioni fai da te, sulle bandiere. Accompagnata da "rêve générale": "sogno generale" che gioca però sulla somiglianza tra "rêve", sogno e "grève" sciopero.

 Ci son anche gli arancioni di Bayrou, una formazione allora piuttosto forte, ma non mistica. Partiti di sinistra che daranno poi vita al Front de gauche alleato di Hollande alle future elezioni presidenziali, ambientalisti, ecc.
Insomma tutta una fauna multicolore.  E soprattutto Parigi pedonalizzata a forza dal Luxembourg a Bastille,


la Sorbonne (sullo sfondo la tomba di Richelieu):


l'Hôtel de Cluny:



Saint-Michel,

















la Montagne,
















e ponti della Senna:


e chi se la perde in una giornata così,


 piena di sole che riluce sull'acqua, e sulle foglie, e nel cielo?


La passeggiata è stupenda quanto tranquilla, una vera celebrazione dell'estate celtica che iniziava appunto il 1 maggio: la consiglierei a chiunque si trovasse qui in questo giorno.



Sulla strada che porta a Bastille il padre della mia amica si ferma in farmacia. Vabbe', c'ha un'età, penso, e andiamo avanti. In piazza comincia a chiedere di sedersi in un caffè. Poveretto, c'ha 'n'età, sarà stanco; abbiamo camminato due ore, bisogna capirlo. Però lui il caffè lo vuole alla Gare de Lyon - non esattamente il posto più pittoresco del mondo. E vabbe', accontentiamolo, andiamo alla Gare de Lyon (che scoprirò in altra occasione avere un magnifico ristorante fin de siècle, da visitare assolutamente per il décor). Ora, arrivati alla Gare de Lyon io e lui, perché la mia amica ha preferito restare con i suoi nonni materni che ci ospitano, il maturo signore mi invita a sedermi a un qualsiasi tavolino di plastica di un qualsiasi caffè davanti ai binari a bere una spremuta (perché grazie ma io il succo di frutta no), assolutamente normale. Bah, in fondo anche mio nonno andava matto per i treni, penso, poveretto, sarà l'età...
Cerchiamo di essere educati, piuttosto, ascoltiamo un po' cosa ha da dire. Che per la precisione e senza soluzione di continuità è: "Vabbe' facciamo 'sta botta di vita. Conosco un albergo. Ci andiamo, facciamo la doccia e poi... poi facciamo quello che vuoi tu". I miei occhi vieppiù sgranati a ogni sillaba non lo fermano. L'educazione purtroppo ferma me dal gettargli in faccia la spremuta, o qualsiasi cosa mi capiti a tiro. Ma santo cielo. Sono amica delle tue figlie (e pure del loro fratello). Sono amica di tua moglie. Siamo ospiti dei tuoi suoceri. Potresti essere mio padre e quasi mio nonno. Mi porti al bar di una stazione e mi porteresti in un albergo a ore. Non sai nemmeno fare il seduttore. Cass'toi... Ma non è ancora finita. "Non ti va?" insiste -non è solo imperturbabile, è proprio all'opposto dell'empatia. Eh, già, su di me gli uomini comunque impegnati che scafoneggiano in giro hanno lo stesso inalterabile fascino di una zanzara affamata e scatenano le stesse irrefrenabili reazioni, peraltro. "Ma non ti va perché non ti va, o non ti va adesso?" reitera. L'idea che si tratti di attacco di demenza senile galoppante non è sufficiente a farmelo commiserare. "Perché sai" è il tocco finale, attenzione: "quando quella volta siamo andati (forse quindici anni prima) alle cascate di Bagno Vignoni, nel bosco, tutti quanti e tu avevi quelle culottine tutte di pizzo nero con il raso rosso (ammetto), pensavo che... mi sono sbagliato?" Ossanto cielo. Sì, è vero, ho della lingerie di pizzo nero (e non soltanto) e me ne compiaccio. Ma tu non sei mai stato nei miei pensieri, caro. "Saranno state le prime che ho trovato nell'armadio", ribatto. Ma non ho mai tanto rimpianto il fatto di essere stata educata a non dire le bugie - no, nemmeno ai bambini su babbo Natale, cosa che trovo anzi sbagliatissima. Perché avrei tanto voluto poter rispondergli, come nella migliore letteratura: "Oh sì, l'hai notato? Eh, era per le tue figlie che mi facevo bella. All'epoca eravamo molto appassionate. Capirai, i giochi da collegiali, alla nostra età...". Beh, avendomi sempre vista accompagnata da partner inequivocabilmente del sesso opposto, forse non sarei risultata troppo credibile, o forse gli avrei messo più pulci nell'orecchio, con mia gran soddisfazione.
La Nemesi però arriva quella sera a cena, quando la sua cortesissima suocera, che grazie al cielo non sospetta di nulla, per far conversazione e con la voce dell'innocenza mi rivolge così la parola: "Ma lo sai, P., che quest'anno Franco ha compiuto settant'anni? Non si direbbe, eh?". E il seduttore scornato e paonazzo prende infine l'aria di chi vorrebbe seppellirsi dieci o anche settanta metri sotto la tavola.


lunedì 10 febbraio 2014

Sogno di una notte d'inv(f)erno

Se pensate che prenotare al mare nel week-end di Ferragosto sia difficile, non avete mai avuto bisogno di prenotare a Oxford in pieno inverno.
Se trovate che fare un puzzle da trentamila pezzi senza modello sia vagamente impegnativo, non avete mai tentato di prenotare per tre settimane consecutive a Oxford in pieno inverno.
Se siete tra coloro che affermano categoricamente: "Viaggiare? e' tutto semplice, ormai. C'è internet!", non avete mai cercato una stanza con cucina per tre settimane consecutive a Oxford in pieno inverno.
Se trovate che le condizioni dei proprietari si approfittino sfacciatamente del cliente, non avete mai letto: "Uso di cucina, tre sterline al giorno: limitato a bollitore e microonde". Ma dove? A Oxford, naturalmente. Si potrà lavare l'insalata? Tenendo conto che da quelle parti non sciacquano nemmeno i piatti dal sapone (orrore!), il dubbio è lecito.
Se non avete chiaro il concetto di "fuori dalla circonvallazione, anzi dalle autostrade proprio", non avete mai cercato di capire dove si trovino affittacamere a Oxford.
Se ritenete che troppo spesso vi si venda caro il nome più che il prodotto, non avete mai ecc. ecc.
(E non è che con gli alberghi vada meglio...)
Credevo di essere abituata a viaggiare anche in posti non proprio congrui, ma mi sbagliavo. Per la prima volta mi si è chiarito il concetto di choc culturale.
Un incubo, ancora senza risveglio.

venerdì 7 febbraio 2014

Correndo coi lupi?

Post striminzito e frettoloso, stavolta. Su un film che ho visto. Non il miglior film di questo regista, a volte fin troppo compiaciuto nello scavare in direzione del disgusto splatter che piace tanto a certo cinema USA (venti minuti al club si sarebbero potuti tagliare senza rimpianto). Certo perfetto nel suo genere stravisto, quello di un filmaccio USA, con tutti i luoghi comuni della solita storiaccia, sempre il solito eroe positivo o negativo in primo piano, sempre le questioni superficialmente tagliate con l'accetta, sempre il contesto inesistente, sempre la solita ambiguità di fondo per cui ogni cattivo si riscatterebbe, a voler cercare bene, con qualche guizzo individuale di generosità, o meglio di beneficenza.
Una cosa a me non lasciava dubbi, però, ed era la volgarità assoluta dell'insieme, nonché la pessima qualità di vita, ossessionata, repressa, incapace, autolesionista e alla fin fine noiosissima, che il protagonista e il suo mondo facevano. Incapaci persino di divertirsi se il divertimento non passava dall'alterazione psicotropa, il che a me, e so di non essere alla moda ma ormai ci sono abituata, sembra la più gigantesca stupidità concepibile da mente umana. Voglio dire: divertirsi dovrebbe significare avere attività o trovarsi in situazioni talmente piacevoli e gratuite, da darti benessere di per sé stesse. Se per poterti divertire in una data situazione devi ricorrere a un aiuto chimico, come se avessi il raffreddore o peggio, vuol dire che quello che stai facendo, qualsiasi cosa sia, non ti diverte affatto. Allora perché continuare a farlo, anziché provare altro? Perché siamo talmente alienati e con lo spirito d'iniziativa che può avere un gregge sotto sedazione da non capire nemmeno più cosa sia il piacere, o almeno un piacere?
Insomma, oggi ho letto questa notizia, e sono rimasta perplessa. Perché condivido alcune delle obiezioni, eppure non riesco a togliermi dalla testa l'idea che la volgarità che deborda dal film sia di tali proporzioni da lasciare pochi dubbi, ma anche poca curiosità, sull'essenza di quel mondo.
Poi mi è venuto da pensare che questo è un film di un regista non giovane e cresciuto in un certo mondo, con certe coordinate culturali e una certa mentalità. Ma chi è nato 30 anni fa, o meno, ha attraversato un mondo in cui queste coordinate son del tutto mutate, senza che gli adulti che avevano vissuto altro abbiano, a loro perenne disdoro, saputo o voluto trasmettere punti di riferimento diversi, mentre la macchina dell'immaginario  e delle aspirazioni veniva diretta da quella parte. In fin dei conti, la questione dello spirito di emulazione nasce proprio da qui: dalla mancata proposta di alternative realmente articolate. Per persone della generazione più recente, il cheap assoluto di quel mondo, anche a prescindere da giudizi etico-giuridici, non è affatto evidente, al contrario. Il loro immaginario è cresciuto su coordinate che prevedevano come sfondo esattamente quell'immaginario e quei sogni.
Per scuoterne la sottomissione a quelle idee, ci vuol altro. Meno compiaciuto, molto più duro.

Cosa mi è piaciuto di più del film? La scena di reciproca sfida, quasi una seduzione, tra il protagonista e l'antagonista (bei fisici, attori intensi, ben diretti, dialoghi intelligenti, ah, qualcuno che spende per le parole al cinema!), sul battello pacchiano. 
Che altro poteva piacere alla regina dei mulini a vento?