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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

sabato 29 marzo 2014

Questa notte

Era la notte in cui una musica passata nel métro fa venire voglia di ballare subito. Era la notte che segue due giornate emotivamente intense al momento in cui finalmente lasciano la presa. Tutto polverizza il movimento. Scarpe morbide dal tacco sottile, gonna svasata e scollatura giusta ché quando si balla si balla senza fermarsi mai, se si può, si finisce grondanti e sorridenti sotto il top più fasciante, scollo a V e incrocio davanti e dietro, spalline finissime. Felici.
La notte in cui le mani sanno come farti roteare, il ritmo farti passare da un cavaliere all'altro, il gruppo ruotare insieme, tutti a riacchiappare tutti.
La notte in cui incontri i veri ballerini, quelli che ti guidano con gli occhi. Sì, anche quando, come nel mio caso, ballare non si può dire che tu lo sappia fare davvero.
Quando non fai collezione di inutili numeri di telefono ma di canzoni danzate spensieratamente.
Quando le ore passano insieme alla stanchezza.

Per ora qui c'è solo un malefico file excel dove le formule che prima funzionavano sembrano essersi ammutinate aggrovigliandosi senza rivendicazioni comprensibili.
E buona notte, insomma.



N.B.: con queste non ci ballo, ovviamente. Ma mi somigliano, ecco.
Vengono da un certo negozio che forse lei conosceva. Percorrono il caldo marzo di questa primavera parigina. Speriamo sia solo l'inizio.

mercoledì 19 marzo 2014

Quando mancano le parole

Copio e incollo da qui e che i Pirati ci proteggano.
Purtroppo non sarà l'ultima che ci toccherà vedere.
Pensiamo alla gran furbata di licenziare almeno una città intera in un momento simile, ad esempio.
Chissà quanti di loro continueranno a bere birra. O a prenotare viaggi. O a comprare s/w.
O semplicemente a pagare le tasse.
Ma è ovvio che lo scopo non è quello di risparmiare. Bensì di creare una massa di disoccupati talmente critica da accettare qualsiasi indegna condizione di lavoro. Con buona pace della Costituzione, art. 35-47.
Mi sa che una volta o l'altra posto anche quelli.
Quanti di noi conoscono davvero cosa dice la nostra legge fondamentale, quali rapporti regola e come, e cosa siano i nostri diritti e doveri?
Temo di dover rispondere: troppo pochi.

Da Renzi una novità: le mani sulla città


Non c’è davvero nulla di nuovo in Matteo Renzi, a parte la grinta: c’è solo un intenso bricolage che ritaglia da destra, e incolla malamente a sinistra, spezzoni di pensiero, parole d’ordine, slogan. Uno dei più impresentabili che Renzi ha preso di peso dal repertorio populista e selvaggiamente liberista di Silvio Berlusconi è il “padroni in casa propria”. Un’idea texana della convivenza civile che significa che ciascuno dev’essere libero di cementificare, sfigurare, distruggere pezzi di ambiente, di paesaggio, di patrimonio storico artistico.
Fin da quando era sindaco, Renzi ha polemizzato aspramente contro quelle che chiama “le catene” imposte dalle soprintendenze, istituzioni “ottocentesche” che impedirebbero la “modernizzazione del Paese”. “Sovrintendente – ha scritto nel suo tragicomico libro Stil novo – è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Renzi sembra non accorgersi di vivere in un paese massacrato da uno “sviluppo” pensato solo in termini di cementificazione: un paese compromesso non dai troppi no, ma semmai dai troppi sì, delle soprintendenze. E non sono solo le opinioni di Renzi,a preoccupare: è il suo governo di Firenze a far capire come la pensi in fatto di cemento. Vezio De Lucia ha notato come nel piano strutturale del 2010 “le previsioni relative alla proprietà Fondiaria (un milione e 200 mila metri cubi) sono riportate come fossero già attuate: per non smentire la propaganda del sindaco Renzi a favore del piano a sviluppo zero”.
Sapendo che il cemento non è telegenico, Renzi cerca di non parlarne troppo. Tanto più stupisce che sia un giornale come Repubblica – subito improbabilmente seguito da Italia Oggi – ad abbracciare, in scala uno a uno, un simile programma. Archiviato il pensiero di Antonio Cederna, sconfessato quello di Salvatore Settis, ora è Giovanni Valentini a scrivere sul giornale di De Benedetti che “troppo spesso le soprintendenze diventano fattori di conservazione e di protezionismo in senso stretto, cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo, e dell’economia”.
L’articolo, in prima pagina domenica scorsa, ha lasciato basiti migliaia di lettori che vedevano da sempre in Repubblica un presidio sicuro per la difesa dell’articolo 9 della Costituzione: e da allora si susseguono sul web risposte incredule e indignate di associazioni, funzionari di soprintendenza, singoli cittadini.
È in questa prospettiva che Renzi diventa il campione delle “mani libere” contro le soprintendenze, che l’avrebbero ostacolato nell’allestimento della cena della Ferrari su Ponte Vecchio [Aggiungo per testimonianza diretta che tale cena non è la prima. A Firenze in luglio ho avuto il piacere di vedere, in una notte torrida in cui si vagava cercando il fresco, il cortile degli Uffizi sull'Arno requisito e recintato per una - pacchianissima - cena di appassionati di auto storiche. Con tanto di palcoscenico con esibizione da discoteca e altoparlanti urlanti al centro. Requisito allo stesso modo, ma per installarci uno stabile quanto inarrivabile ristorante, il greto dell'Arno sotto gli Uffizi medesimi. Se questa è la vita da dare, con totale incomprensione culturale e storica del loro senso nonché requisizione censitaria, ai monumenti storici PUBBLICI del nostro paese...]  e fermato nei “sondaggi tecnici” sulla Battaglia di Anghiari di Leonardo in Palazzo Vecchio. Peccato sia tutto falso: sull’osceno noleggio del ponte l’asservita soprintendenza fiorentina non ha aperto bocca, ed è stata una partita tutta giocata dal Comune, con tanto di permesso ufficiale concesso il giorno dopo la manifestazione, e con un incasso pari alla metà di quello sbandierato da Renzi. Quanto a Palazzo Vecchio, giova ricordare che la Battaglia di Anghiari semplicemente non esiste, e che Renzi è stato fermato non dalla soprintendenza (anche in quel caso succube), ma dalla comunità scientifica internazionale, compattamente insorta contro una farsa pseudoscientifica che fa ancora ridere i direttori dei più grandi musei del mondo. Ma i banali dati di fatto non devono oscurare la retorica del Presidente del Fare che spezza trionfalmente i lacci e i lacciuoli frapposti da questa oscura genìa di burocrati. A quando un suo ritratto a torso nudo, mentre aziona una betoniera calpestando l’articolo 9?
L’altra faccia di questa usurata medaglia è l’incondizionato inno ai salvifici privati. Chiedendo la fiducia al Senato, l’unica cosa che Renzi ha saputo dire sulla cultura è che “se è vero che con la cultura si mangia, allora bisogna fare entrare i privati nel patrimonio culturale”. Peccato che i privati ci siano da vent’anni, nel patrimonio, e che a mangiarci da allora non sia lo Stato, ma solo un oligopolio di concessionari fortemente connessi con la politica. E la ricetta è tanto originale che il punto 41 di Impegno Italia (il documento cui ha inutilmente provato ad aggrapparsi Enrico Letta) prevedeva un’unica ideona: “Incentivare lo sviluppo dei servizi aggiuntivi da dare in concessione ai privati”.
Di fronte ai crolli di Pompei, Renzi ha gridato: “L’Italia è il paese della cultura, e allora sfido gli imprenditori: che state aspettando?”. Quando era sindaco di Firenze, Renzi sfidava sistematicamente lo Stato a fare il proprio dovere in fatto di tutela del patrimonio. Ora che lo Stato è lui, sfida gli imprenditori. Fosse il presidente di Confindustria, ce l’avrebbe con gli enti locali. Non c’è davvero nulla di nuovo, se non che il repertorio da palazzinaro anni Sessanta è passato tale e quale dal fondatore di Forza Italia al segretario del Partito democratico. È il manifesto di una nuova stagione di Mani sulla città, un ritorno alla bandiera inverosimile del “più cemento = più turismo”. E siamo solo all’inizio.
Da Il Fatto Quotidiano del 13 marzo 2014

Davvero, vorrei solo emigrare senza mai più voltarmi indietro. Magari avessi venti anni di meno e potessi trovare davvero un lavoro stabile fuori da questa melma di paese ignorante, retrogrado e corrotto.