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Toulouse en érasmienne

mercoledì 23 dicembre 2015

'l sol si muore e poi rinasce



Infine. Infine, all'indomani del solstizio, dopo tre mesi di lotte, tormenti, fatica, testardaggine, resistenza oltre il fatidico minuto, pare che anche quest'anno riuscirò a trovare il modo di tornarmene a Parigi.
Per certo ho potuto cambiare una sede di lavoro umiliante, scorretta, mal funzionante che uccideva lentamente nella sua trappola le idee, il sapere, il sorriso e l'equilibrio, con una diversa, dove spero di trovarmi bene e  recuperare un po' di salute a un corpo dolorosamente contratto da troppi mesi di tensione. Il sogno sarebbe una settimana alle piscine termali più calde del mondo, ma non ne ho i mezzi.

A chi si trovasse a vivere un ambiente di lavoro umiliante, vorrei dire di non rassegnarsi e cercare di cambiarlo con tutte le proprie forze. So che oggi non è facile, che il jobs act lo ha reso per molti impossibile. Lo ritengo una perversione aberrante del nostro tempo e del nostro mondo: una cornice mentale da respingere con tutte le nostre forze fisiche e morali.

Ai datori di lavoro farei semplicemente una gran risata sul muso. Perché sanno tutto ma preferiscono persone demotivate e strutture non funzionanti a persone autonome, capaci di pensare e felici,  persino, di fare quello che per contratto devono fare.

Io rido come una matta da ieri. Ancor più quando ricevo missive che si innalzano a cotante vette:
"Preso atto (...), si richiede la consegna delle chiavi e di ogni altro materiale di pertinenza (...) al fine di evitare addebiti relativi ad eventuali ammanchi. Il direttore".
Superfluo precisare che non ho mai avuto in consegna alcun materiale, men che meno allontanandolo dalla sede di lavoro. Che dite, sarà la volta buona che mi rimborseranno il costo delle chiavi?

D'altra parte, quando si è più felici di avere un "ex" che quando lo si vede schizzare di rabbia impotente, coprendosi di ridicolo? ;-).
Una risata vi seppellirà.


 

Quanto a me, vado a dormire. Ho un giusto arretrato :-).


sabato 12 dicembre 2015

... e di cuocerlo la sera

Stavolta il pane. 
Idea nata d'un balzo davanti agli sconfortanti scaffali del supermercato che, ormai ahimé come quelli dei fornai, propongono pane di cartongesso, polveroso e vuoto. Fatto in serie, badando a risparmiare sino all'ultimo granello di tempo, farina, energia di cottura, per realizzare margini di profitto sempre più alti. Per mangiare del pane decente devo aspettare di avere a disposizione le baguettes tradition nelle boulangeries parigine degli artisans boulangers. Un'arte con i suoi maestri, lassù. I maestri si vedono in questi mesi minacciati dalle nuove leggi che consentono l'apertura tutti i giorni e tutto il giorno dei supermercati e dei cosiddetti "punti di cottura" che si limitano a cuocere e smerciare impasti congelati anche diverso tempo prima. Legati alla grande distribuzione, questi punti vendita possono permettersi di tenere aperto tutti i giorni tutto il giorno, mentre le panetterie artigianali dovrebbero o aumentare a dismisura il loro carico di lavoro o assumere nuovo personale che non potrebbero permettersi di pagare il giusto per tenere aperto con gli stessi orari. Il rischio è la chiusura delle piccole attività artigianali (con relativa disoccupazione), il cui giro d'affari andrebbe una volta di più ad aumentare quello della grande distribuzione, che smercia però un prodotto tutt'altro che comparabile, proprio per le sue esigenze di standardizzazione e massimizzazione dei profitti in ogni passo della catena di produzione e distribuzione. Ma come? E la "Libertàààààààà"?????
Tra il forte e il debole la massima libertà danneggia il debole, diceva una volta qualcuno.  Qualcosa di simile avviene già in Italia, dove il pane non ha l'importanza che riveste in Francia, dato il nostro consumo di primi piatti a base di carboidrati, lassù molto meno rilevante.

A questo punto perché non farcelo da noi, visto che siamo ospiti in campagna in un we dalle notti fredde e dalla giornate ancora quasi di fine estate? Lo faccio io. Sia chiaro, non farò mai parte dell'esercito che si autoproduce tutto in casa, perché di ritornare a vivere per impastare e pulire come le nostre ave non se ne parla proprio. Anche coltivare la pasta madre presuppone fare della cucina il passatempo principale e benché sia nobilissima arte, al momento preferisco ancora passare dall'altro lato della mensa. Quanto al decrescitismo all'italiana che tale dedizione conforterebbe, così facile e alla moda tra certe damazze dalle pretese finto alternative quanto molto perbene nel loro consumare, rimango con il dubbio se mille forni casalinghi non siano in realtà più energivori di un unico forno collettivo che lavora per mille famiglie, senza parlare delle impastatrici. Quindi  è stato un esperimento, forse non un unicum, ma
soprattutto un gioco. Che deve cominciare dalle regole, la prima delle quali è: si impasta a mano. La seconda è: facciamo la figura del tipico italico marito che davanti agli scaffali del supermercato, giacché è troppo sforzo segnarsi la lista della spesa, si attacca al cellulare e chiama, seccato, lagnoso e passivo aggressivo quanto basta, la moglie. Cara, che pomodori devo prendere? Non li trovo. Ma scusa, i pomodori sono rossi? Sono di forma allungata? Sono in un barattolo o in bottiglia? Ma la salsa non si fa con il succo di pomodoro? qui c'è "solo" il succo di pomodorooo e via attivamente collaborando alla gestione del quotidiano (inferno per chi li sopporta. Lo confesso: sono rimasta traumatizzata a vita, temo, quando in un viaggio di lavoro una povera partecipante dovette ricevere in meno di un quarto d'ora cinque telefonate dal marito che non sapeva dove fossero i vestiti dei due figli, né quali fossero acconci a una giornata di maggio. Maria Montessori quanto ci sarebbe bisogno di te!).

La mia telefonata era diretta a lei, che molto pazientemente mi ha guidata prima nell'identificare quale farina di forza fosse la più adatta, poi con quale semola accompagnarla, e tutto il tempo del procedimento col rispondere a una serie di sms. "Se raddoppio i tempi di lievitazione posso dimezzare il lievito?" - sì, sono della setta a lievito zero ;-P e credo che la prossima volta lo diminuirò ancora perché è quello che rende il pane simile a polvere - "Posso strapazzare l'impasto?" "Devi!". Si sa che i lievitati richiedono la massima attenzione: "È un'emergenza?" mi ha chiesto quando in un momento culminante l'ho chiamata distrubandola sul serio... Impastare a mano è una goduria, quando non devi farlo per dieci persone tutte le settimane dell'anno. Sentire cambiare la consistenza sotto il palmo e capire quando la pasta ha preso tutta la sua autonomia, soda, compatta, elastica, è imprescindibile se si vuole padroneggiare la cucina.

Gli ospiti nel frattempo si facevano sempre più impazienti e curiosi: "Sicura che stia lievitando ancora?" "Sì" "Guarda che poi non cuoce" "Sì". "Adesso ti si sgonfia" "No". Vero è che il mio lievito zero ha fatto abbondantemente passare l'ora di cena e quella decente per andare a dormire.
Così l'abbiamo infornato di notte e siamo andati a letto in una nuvola di spesso profumo di pasta lievitata che cuoce ricacciando l'umido della campagna e riscalda la casa.
Si racconta che qualcuno, di coloro che fanno le viste di essere molto, molto discreti, ma devono tenere tutto sotto controllo, si sia alzato alle prime ore dell'alba per andare ad aprire lo sportello del forno e controllare lo stato delle pagnotte.

Io mi sono limitata a ritrarle la mattina successiva e le pubblico qui per mostrarle alla mia guida panificatrice:



Il curioso di cui sopra ha decretato che sono divine per accompagnare l'uovo à la coque o al padellino.

Il vicino di casa, nelle sue deliziose novantacinque primavere, non poteva non avere diritto a un assaggio e l'ha divorato come pan di zucchero, portandosene via per provvista una buona metà.

La mia mamma ha voluto gli avanzi di farina e la ricetta.

Io rimango dell'idea che sia impresa festiva e ludica, e per questo, si sa, non possono mancare le rose.




La ricetta è più o meno quella di Nora già sperimentata una volta da inconsapevole esecutrice.

venerdì 4 dicembre 2015

La notte di Natale

Vorrei passarla qui:
Prima a questa serata
Poi ballando fino al mattino, fino a essere zuppa da spogliarmi.
Indossare un impermeabile foderato di pelliccia e dei begli escarpins, dei guanti imbottiti e un grande berretto (sì, sono molto freddolosa).
Tornare a casa a piedi. Con ancora qualche stella. Respirando la polvere del ghiaccio.
Crollare su un grande letto. Nel caldo delle case nordiche.
E chi mi ama sia con me.