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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

sabato 30 maggio 2020

Cedono gli irriducibili (post ad alto contenuto narcisistico e modaiolo)

Il perdurare della lontananza dal luogo di lavoro non significa, come costui s’è permesso di affermare da bravo ignorante o da troppo furbo che “gli statali e i pensionati non sono andati a lavorare” e malgrado ciò non avrebbero visto una perdita del loro tenore di vita (dal minuto 6.30) contrariamente ai “ceti produttivi”, cioè i padroncini e professionisti del privato, mentre gli altri, ovviamente, non lavorando per definizione non possono che non produrre (ammesso che debba essere un criterio di valutazione) quindi non fornire soldi per pagare le tasse, come se non fossero invece tra i principali e più affidabili contribuenti. I pensionati hanno già lavorato. I dipendenti pubblici lavorano da casa, molto spesso con spese aggiuntive a loro carico in connessioni, usura delle apparecchiature informatiche personali, costi del riscaldamento, luce ecc. Pensiamo come sarebbe più semplice se, invece delle liberalizzazioni imposte da codesta manica di infami farabutti che qualcuno ancora oggi sostiene per scannarci meglio parandosi malamente dietro supposti valori etici, oggi le utenze fossero pubbliche, non votate al profitto e si potessero agevolare rimborsi o tariffe per le spese sostenute in tempo di pandemia per motivi di lavoro, o sospendere i pagamenti a chi il lavoro l’ha perso.

Ma nel m e r a v i g l i o s o mondo delle libertà civili, figuriamoci se questi criteri hanno la minima importanza. Che crepino di freddo, i disoccupati, i lavoratori in nero, i precari, gli improduttivi pensionati quando li risparmiano il COVID e le linee etiche dell’Associazione anestesisti (ma quanto quanto quanto sono compassionevoli costoro): quel che è importa è occultare lo sfruttamento economico e la ricerca del profitto dietro la vacua bandiera dei diritti delle minoranze malamente intesi, perché presupposti come onnicomprensivi di ogni problematica e disagio, mentre non ne sono oggi che l’utile velo.

Ma come scrivevo nei post precedenti, lavorando da casa riescono a volte a sfuggire a una serie di frustrazioni del tutto superflue, imposte dalla voluta fatiscenza e dalla organizzazione controllante e perversa dei luoghi di lavoro, dal costo degli affitti e delle case che costringe a allontanarsi dal luogo di lavoro e impone sempre più lunghi viaggi per raggiungerlo con perdita del tempo e della qualità della vita.

Ciò detto, facnedo parte di una di quelle così privilegiate categorie che non sanno come pagarsi una lunga fisioterapia resa necessaria in buona parte dalla cattiva postura conseguenza della voluta fatiscenza di cui sopra, c’è chi almeno riesce, lontana da quella trappola di tortura gratuita che sono spesso gli uffici, a abbassare il livello di stress fino al punto da non dover trovare rimedio alla frustrazione nel troppo cibo troppo spesso. E a scoprire che dopo poco meno di tre mesi anche i più irriducibili vestiti sono finalmente tornati indossabili, dopo aver messo, con l’avviso del nutrizionista, la parola fine alla fase di dimagrimento, arrivando a un peso che si spera il mondo renda possibile alla mente di sostenere a lungo.
La gonna di seta comprata usata dal mio fornitore preferito, le marché du dimanche de mon village, per 2,50 euro, prezzo standard dei miei acquisti, e mai indossata perché stretta all’attaccatura delle cosce.


Il vestito da gran caldo, di lino, acquistato in un negozio un po’ eccentrico quando ancora potevo farlo, ormai decenni fa. Il negozio non esiste più.


I pantaloni del completo della stessa marca, forse ancora più vecchi (parliamo degli anni ‘90). Tra i miei pochi acquisti in fibre non naturali, uno sfizio, modello primi anni’70.

E ora si tratta di mantenere i risultati raggiunti, dopo aver festeggiato, con il permesso del medico, con il più enorme gelato che si ricordi, uno dei miei cibi favoriti, comprato in vaschetta qui, tornando a casa a piedi. 

venerdì 22 maggio 2020

L’attesa, la crainte

Aggiornamento: deviazione sull’autostrada. Tutto bene.
Fiuuuuuuuuu. Evviva.

E dopo che “la vie reprend” e non la tragedia non era più al centro dei nostri pensieri, ecco un appuntamento mancato, il silenzio, tutti i telefoni squillano a vuoto tra le frontiere. E dopo aver tentato tutti i mezzi di comunicazione possibili, non resta che attendere ché magari non è niente, solo un equivoco sull’ora e il come, solo un contrattempo, solo che non sarà niente perché questo legame proprio è di quei tre o quattro che non si possono perdere né sciogliere, non adesso, non in un momento come questo, quando c’è ancora tanto da sistemare.
Ascolti la voce nota, rassicurante, gentile e salda, tranquilla, sorridente e soignée e ti dici che no, non può averti lasciato così. Poi ti passano davanti agli occhi tutte le scene brutali degli ospedali che hai avuto la fortuna di vedere solo dal di fuori, immagini il peggio, non hai più strade per informarti. Pensi se in questo stesso momento quella voce e quel respiro stanno agonizzando e soffocando, pensi tutto l’orribile orrore per sperare di sbagliarti, ma non sai.
E attendi, sperando di avere solo sbagliato tu, o che dall’altro lato ci sia stato un problema del tutto esterno. Ma non il virus, no, il virus no, no no no.
Fase 2 sicura? Un accidenti.
Attendo, sperando di sapere.

domenica 3 maggio 2020

L’ultimo giorno senza smog

I monti azzurri che non avevo mai visto in dodici anni:

Quelli che apparivano sempre grigi in lontananza,


Terrazzi ridivenuti luoghi di conversazione:



L’orizzonte:

L’azzurro tenero dei giorni d’aprile:


La prima e sola spesa voluttuaria che desiderassi: fiori per il vaso fatto a mano venuto di Francia.

Per fortuna non sono fra coloro che torneranno domani in ufficio: oltre ai motivi che dicevo nei post precedenti, il mio luogo di lavoro, per mancanza di manutenzione e igiene approssimativa e tipo di frequentazione non è affatto tale da sentirvisi sicuri. Perché non fanno la manutenzione? Per risparmiare un paio di migliaia di euro. Fatto sta che è impossibile arieggiare, era un problema anche prima, a maggior ragione adesso.

C’è forse da sperare che si cambi andazzo adesso? No, certo. La cosa più probabile è che ci concedano graziosamente di restare a casa finché non passa la paura. Per poi farci tornare nella stessa identica fatiscenza di prima. Finché ad ottobre tutto ricomincerà.
ODIO LAVORARE IN QUESTE CONDIZIONI, ODIO QUESTA SPILORCERIA MESCHINA che toglie prima ancora che la sicurezza la dignità a noi, al luogo, al servizio che diamo.
Lo odio.