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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

venerdì 29 dicembre 2023

No, no basta basta. Non voglio diventare un mostro. Non vedo più la vita.

 Ancora una cattiva notizia, il 28 di dicembre. Che non c’è tempo per contrastare. Sempre dai soliti. Cioè dall’amministrazione di provenienza, che, dopo avermi di fatto messo nell’obbligo di tornare, riesce ancora una volta a distruggermi la vita o un solo minimo spiraglio di serenità che mi costruisco mentre sto tentando faticosamente di recuperare. Con un motivo chiaramente pretestuoso e in modo del tutto inusuale, mi impedisce di prendermi un periodo di respiro di cui ho sempre goduto per studiare all'estero, che ho richiesto in misura notevolmente inferiore al solito e di cui ho estremamente bisogno dopo un anno come quello che ho solo in parte qui descritto. Il tutto fatto in modo sadico, all’ultimo momento, provocandomi ovviamente il massimo dei disagi e delle perdite economiche, con chiari tocchi di compiacimento nel tono e con una motivazione che fa di tutto per non lasciare spazio a richieste future. 

Una volta a Roma mi avevano lasciato capire a mezze parole che chi rientrava, peraltro per cause indipendenti dalla sua volontà, andava soggetto a una sorta di reparto di punizione. Persino quando, come nel mio caso, aveva solo esercitato il legittimo e sancito diritto di ogni lavoratore di tentare di migliorare la propria posizione. Vale a dire per avere fatto e vinto un concorso, fuori da un’amministrazione in cui siamo da otto anni senza scatti di livelli economici che dovrebbero essere triennali, dopo la distruzione delle carriere con l’eliminazione delle categorie superiori, il declassamento di categoria unito alla decimazione delle posizioni organizzative per tagliare sulle relative retribuzioni e indennità, con un regolamento del lavoro a distanza, che offrirebbe sollievo mettendo lontananza tra i compiti e il luogo spesso fatiscente e malsano di lavoro, tra i più insensati e restrittivi d’Italia, condannati in vecchiaia alla miseria dal sistema pensionistico contributivo puro della riforma Dini aggravato da decenni di para subordinato prodian-berlusconiano, cui bisogna aggiungere lo smantellamento del mio settore, considerato dall’amministrazione alla stregua di un salvadanaio da rompere tagliandoci tutto il possibile, che ci svuota di ogni senso lavorativo riducendoci tutti a esecutori del livello di servizi più elementare, deprivandoci di ogni soddisfazione professionale, crescita e direi vita mentale, pur essendo spesso tra il personale più formato e qualificato nel proprio campo. E bloccando sistematicamente ogni richiesta di trasferimento che non sia sostenuta dal padreterno come certi ministri, ad esempio. Giacché ovviamente chi può fugge. Prigionieri di un’amministrazione in questo tra le più stolide e incapaci, con una solida tradizione di disprezzo per le persone nella gestione del personale, a detta dei più anziani, e delle sue condizioni logistiche e lavorative. A lume di naso chi è tornato meriterebbe i ponti d’oro, se si tiene tanto a trattenere il personale. Basterebbe questo a mostrare l’intelligenza di certi uffici.

Non immaginavo che avrei dovuto passare per questo, per aver fatto qualcosa di perfettamente legittimo e non certo di favore come prendere un’aspettativa per vittoria in un concorso e subire in seguito la folle situazione di trovarmi non per mia colpa invischiata in un ricorso che non mi contesta nulla personalmente. Se avessi immaginato una tale sadica e inutile meschinità forse avrei sfidato la sorte, anziché tornare, benché la disoccupazione sia il mio incubo da quando ho dovuto attraversare per un decennio la precarietà prodiana - ah, l’amato Prodi, che brava persona. Ma, con tutta la disistima che potevo avere nei confronti dell’amministrazione, una simile concezione di come trattare degli esseri umani era per me del tutto inconcepibile e fuori dal mio orizzonte. Sbagliavo.

Vorrei disfarmi. Non resisto più. Passo i giorni piangendo senza scosse, senza singhiozzi. Le lacrime scorrono senza la mia volontà.

Ho ancora dieci anni da passare li’ dentro per ora e la pensione non è mai stato il mio orizzonte.

Mi vedo tornare al lavoro per sempre senz’anima, indifferente a qualsiasi cosa, agendo come un automa per il minimo indispensabile. Pur di sopravvivere. La caricatura del dipendente pubblico, del servizio pubblico, di un essere vivente. 

Quello che per tutta la vita ho tentato di evitare. 

Non posso arrendermi a questo destino. Ma non ho armi.

Fantastico di piantarmi un punteruolo acuminato nel petto. Non posso accettare questo destino né tantomeno questa immobilizzazione in questo momento. Avevo predisposto tutto per passare queste vacanze e questo periodo in ragionevole serenità, metabolizzando e dandomene il tempo per ricominciare a guardare l’avvenire. Mi ero costruita intorno un ambiente provvisorio ma sereno, con piccole cose che mi piacciono: un fotoforo variopinto a forma di elefantino, un ramo di agrifoglio fuori dalla finestra, un mazzo di fiori e una candela galleggiante azzurra, una nuova borsa termica molto colorata per il pranzo perché quella vecchia, in briciole era da tempo finita nel cestino. Qualche svago che mi dà soddisfazione: l’oratorio di Bach per Natale in un luogo bello, una sera a teatro, e un’attività gratificante per completare impegni presi da tempo. Qualche sorriso aveva ricominciato a spuntare, una volta lontana da un luogo di lavoro insostenibile, qualche minimo desiderio, qualche capacità di riflettere su un lavoro stimolante, beninteso non remunerato, di altra natura. Adesso sono piegata in due dai singhiozzi e non riesco a tenere il ritmo del momento per momento in cui mi ero avvolta come in una coperta. Non è più la distanza apatica ma autoprotettiva che descrivevo a novembre, in cui mi sentivo una corona circolare intorno. È una disperazione piana e continua che non si appaga mai e mi svelle la capacità di ragionare o di pensare ad altro. Ricomincia il mal di testa costante. Ricomincia la nausea forte. Tensioni ai muscoli e dolori osteoarticolari lancinanti. Tutto è diventato smorto e non ha più importanza. Solo le lacrime che scorrono e cadono sul tavolo. Disordini alimentari: spinta compulsiva a mangiare ogni venti minuti. Dimenticanze delle cose importanti, anche le più amate: oggi il concerto di Capodanno che ascolto ogni anno con assoluta regolarità. E altri comportamenti inediti e dannosi... Ansia paralizzante ogni riflessione. Non riesco a uscire, non riesco a dare importanza a nulla, non riesco a pensare ad altro che a questo incubo, un gesto gratuito e stupido, oltre che controproducente - se non mi volevano bastava darmi la possibilità di restare fuori, come avevo chiesto - contro cui non posso fare niente perché viene dall’alta gerarchia.

Non mi è mai successo in vita mia. Né davanti ai lutti, né ai problemi economici, alle perdite, alle sconfitte, alle difficoltà, alla malattia, mia o dei miei cari. Nemmeno a qualche periodo di disoccupazione. A niente. Mai.


lunedì 25 dicembre 2023

Natale di strage. Uno strazio senza fine, che ha accompagnato tutta la mia esistenza.

 Vivo in un paese dove gli esponenti di partito dei penultimi governi si gloriavano di chiudere ospedali per “tagliare la spesa pubblica e abbattere il debito”. (Oggi li privatizzano ancora con liste d’attesa infinite e intra moenia pur di non pagare il personale in modo congruo. Siamo sempre al taglio della spesa pubblica corrente: lo vuole mamma UE.)

Vivo in un continente dove in un paese “a pochi chilometri da noi” come una volta si diceva della guerra nell’ex-Jugoslavia, in un’altra guerra non dichiarata ma non per questo incruenta, i governi dei memorandum dei fondi UE hanno aumentato la mortalità infantile del 43% e non solo quella, con i loro programmi folli e insensati di tagli alla spesa pubblica. (Lo vuole mamma UE. E noi cani da guardia taciamo, apposta.)

Non posso non inorridire davanti alle affermazioni dell’OMS secondo cui non ci sono più ospedali funzionanti in un paese da mesi bombardato senza risparmio.

W la democrazia.


sabato 16 dicembre 2023

Sto cercando una carezza

 Dopo l'ennesima scenata su tutto e niente, mentre sono ancora convalescente, stravolta dai farmaci, e l'ennesima lamentazione sulla sua triste sorte in cui peraltro non ammette l'aiuto di nessuno. Mai una sola parola di conforto o di cortesia su quello che mi è successo, inclusa la morte della mamma di un'amica di scuola. Mai un apprezzamento o un'accettazione su quello che faccio nel quotidiano, o su qualcosa che gli offro. Solo odio, svalutazione, disprezzo e rimbrotti. Capisco come si può diventare un ragazzo selvaggio o un bambino di strada. Rientrare sempre più tardi girovagando al freddo e alla pioggia, i giorni di festa e di riposo che diventano incubi perché è tutto chiuso e non sai dove andare. Aggrapparsi ovunque a qualsiasi briciola di attenzione che non passa le ventiquattro ore a cercare pretesti per attaccarti. Magari poi ti passa una bottiglia o peggio, quella briciola trovata per strada, tra chi anche lui non sa dove andare, perché è reietta come qualsiasi ragazzino scomodo scacciato di casa senza averne l'aria, perché è lui quello che non ti rispetta. Non sono a quel punto, non m'attira affatto, ma capisco perfettamente la pressione psicologica in cui ci si può trovare e che spinge a quelle derive, per esasperazione, per tristezza, per sfinimento e voglia di sopravvivenza, di accoglienza, anche nell'autodistruzione collettiva, se altro grumo di rifugio, altro tetto non c'è. 

Invece della bottiglia ti becchi  la polmonite, magari. Sono qui da poche settimane, con due WE lunghi fuori, tra mille impegni e difficoltà logistiche, oltre che psicologiche e di salute, non da un anno e in ogni caso la mia permanenza non potrebbe mai protrarsi così a lungo e lo sa. Hanno una casa in campagna dove vanno sempre: ci sono stati un giorno, guai mollare la posizione, se proprio gli sono insopportabile. Le stesse richieste ripetute quando non ci possono essere risposte: quando guarisci? Oggi non mi reggevo in piedi. Se fossi più giovane e lui più forte, mi avrebbe del tutto schiacciata. D'altra parte mi azzera anche così, mi sento una torturatrice per il solo fatto di esistere e di avere bisogno di una soluzione transitoria. Il che, nella mia situazione attuale, è come versare veleno in una piaga. E impedisce di elaborare e recuperare quanto ho passato, bloccandomi in una situazione di allerta perpetua, mentre la sberla lavorativa mi ha messo nella condizione che descrivevo due post fa e che non si è alleviata. Avrei disperatamente bisogno di un ambiente sereno per potermi concentrare su qualcosa che porti l'attenzione su altro e risvegli la voglia di vivere, colmi il bisogno di riposo, inutile illudersi, non c'è. Per vedere altro colore, oggi ho tirato fuori tutti i rossetti e mi sono truccata sul letto. Il minimo gesto di uno sconosciuto che mi veda come un essere umano nella vita quotidiana, una banale parola civile e gratuita in un negozio o sul portone mi riempiono gli occhi di pianto.

Dio se i patrigni esistono. Altro che le fiabe sulle famiglie ricomposte dove tutti son tanto civili e solidali e comprensivi e tanto tanto bravi.

venerdì 15 dicembre 2023

Di nuovo

 Dopo un mese di ottobre pâssato a tenere a freno i malanni di stagione ripetuti. Di nuovo febbre tosse mal di gola, l’energia che di colpo scompare e riappare.Di nuovo l’opacità nei polmoni dopo venti giorni di antibiotico. Di nuovo l’aria che ogni tanto scompare. Di nuovo la caccia alla carne nel piatto come se restituisse la vita.

Di nuovo sventole di antibiotico per settimane; di nuovo effetti collaterali pesanti così duri da obbligarmi a sospendere la cura e a cambiare principio per uno che non è efficace perché un dolore simile si sopporta solo se si è in pericolo di vita. Tra l’altro sono allergica a una intera classe di antibiotici, proprio i più efficaci in questo caso e i principi che posso assumere sono pochi. Di nuovo il cortisone che scatena istinto di mangiare perpetuo. Di nuovo le nausee di ore.   

Vado a fare l’orale del concorso febbricitante, in una nebbia, con la pura forza di volontà, ma soprattutto con l’impressione di non reggermi in piedi. Non è neppure troppo difficile, ma sono così rimbambita che su una domanda non proprio della disciplina mia, semplicemente dimentico di sapere l’ovvia risposta che mi torna in mente appena uscita dalla sede del concorso, e mi do’ i pugni in testa. E loro mi avevano anche  chiesto se avevo qualcosa da aggiungere. Devo dire una commissione squisita. Del resto il distacco dal primo candidato dopo lo scritto era tale che non avrei comunque potuto colmarlo neanche con un orale perfetto a meno che costui non facesse scena muta. E di posto, dato il ruolo, ce ne può essere uno solo. Ripiombo a letto svuotata per un’altra settimana. La gente mi sollecita ovunque tutti i lavori e le incombenze rimaste a metà dopo il trasferimento inutile in dieci giorni nella nuova sede durata pochi mesi. Non ce la fo: semplicemente non ce la fo più. Di nuovo le mille beghe piombatemi addosso: la patente perduta nel trasloco, il CAF che ha trasmesso una cifra sbagliata all’Agenzia delle entrate e io che devo restituire trecentocinquanta euro di rimborsi. Il marito di mia madre non fa che umiliarmi, attaccarmi e tormentarmi su qualsiasi pretesto per rendermi la vita impossibile, arrivando a sobillare mia madre stessa, rinfacciandomi tutte le scelte che ho fatto negli ultimi diciotto anni - si diciotto. Non lo fermano la mia depressione, il mio bisogno di calma se non di affetto di cui non è capace dopo quanto accaduto con il ricorso, non lo ferma che stia preparando un concorso, non lo ferma neanche la malattia che per lui non è un impedimento a nulla, quando è la mia. « Ah, non sei da sanatorio » commenta. Segue e controlla ogni cosa che faccio, o che fa la mia mamma, che non può prendere un libro piuttosto che un altro, non può alzarsi e fare qualcosa in un’altra stanza, non può avere un attimo di respiro. Quanto a me, mi viene dietro in cucina per controllare se ho messo un pentolino o un bollitore sul fuoco e quanto ce lo tengo. E sempre perpetuamente a incalzare su cose che io non posso sapere perché richiedono il loro tempo, che non dipende da me e che riguardano la mia permanenza qui, come gli ho peraltro spiegato. La mamma è arrivata a prendermi di forza e portarmi a sedere nel soggiorno, dove fa più caldo ed è soleggiato. Lui se mi vede li’ si risente. E se non ho nessuna voglia di rimanere qui, sono anche straziata all’idea di lasciare mia mamma in quella che sembra una prigione senza sbarre di controllo ossessivo sui minimi comportamenti e gesti quotidiani, perché nulla deve sfuggire a suo marito. Ma è una situazione che mi fa terribilmente male, mina quel po’ di resistenza umana che riesco ancora a alimentare in me, facendomi sentire un peso, un vecchio straccio, un essere orribile che turba la serenità di un vecchio incattivito.

E sono ancora così. Sfinita. Senza futuro. Non riesco a pensare a qualcosa di minimamente complesso e ho il terrore di altre spese inaspettate. Voglio solo leggere in pace, magari al sole. Fa bene il sole addosso sui bronchi e i polmoni malati. Rinvigorisce di colpo. Finché ci posso stare, al sole. 

domenica 26 novembre 2023

Quando neanche vincere basta

 Ecco cosa sono stati e sono i miei ultimi mesi e ecco quello che posso dire per ora della questione cui accennavo negli scorsi post senza specificare altro.

Io uno di quei concorsi di primavera l’avevo vinto. Ero stata convocata con pochi giorni di preavviso per prendere servizio in un’altra città, in un’altra regione. Ero partita, tutta felice, sconvolgendo tutto quel che stavo facendo, perché non mi era stato concesso il tempo di riordinare tutto prima di partire. Poco male, rimedierò in qualche modo, avevo pensato.

La nuova città mi piaceva, soprattutto per la vicinanza alla natura. Il lavoro non mancava, un nuovo orizzonte si stava aprendo. Era una situazione strana, come sentirsi fiori che iniziano a sbocciare nelle chiazze di erba gelata lasciate infine libere dalla neve. La città, tutta di versa dai luoghi in cui avevo vissuto, non l’avevo scelta, la struttura sembrava avere qualche affinità con la mia specializzazione, la motivazione era l’avanzamento di carriera. Mi stavo ambientando. Ero curiosa di capire cosa sarebbe successo, come sarei diventata, che vita mi sarei costruita, piano piano. Il territorio era appassionante nella sua varietà e nelle sue memorie. 

C’erano in ballo progetti interessanti. Era tutto da inventare.

È durato due mesi. Al ritorno dalle vacanze estive arriva un ricorso dell’ultima persona idonea in graduatoria. Il ricorso non è contro di me e non mi contesta nulla. È contro l’amministrazione che ha indetto il concorso, di cui chiede l’annullamento.

A detta di tutti i giuristi che ho consultato è un ricorso debole. Il problema sono i tempi. Come tutti i dipendenti pubblici ho diritto alla conservazione del posto nell’amministrazione di provenienza per tutta la durata del periodo di prova. Questo periodo però è troppo breve per arrivare a una sentenza sia pure di primo grado. Di conseguenza, alla fine del periodo di prova sono obbligata a dare le dimissioni da una delle due amministrazioni. Io ovviamente non ho alcuna voglia di tornare indietro, ma se il ricorso fosse accolto per un qualsiasi motivo, cosa sempre possibile, mi ritroverei ad avere perduto non uno ma due posti di lavoro. 

Tento per due mesi una mediazione in tutti i modi possibili. La mia vecchia amminstrazione non mi lascia scelta. O torno o sono fuori.

Io non ho altre fonti di reddito che il mio lavoro. Non posso permettermi di rischiare di perderlo. Dopo avere resistito sino all’ultimo sono costretta a tornare indietro « di mia scelta ». In un luogo che odio, in una situazione che ho più volte descritto come insensata e vuota di ogni prospettiva di crescita. 

Siedo per ore e ore davanti a uno schermo. Mi sento totalmente inerte e passiva. Distante da tutto, senza reazioni e senza energia. Desensibilizzata. Suppongo sia una strategia di sopravvivenza del mio cervello che si è spento, perché se una emozione appena affiora si apre un torrente di lacrime.

Si aggiungono le difficoltà logistiche. Per potermi permettere un alloggio in una località turistica e studentesca a un tempo, sono stata costretta a affittare la mia casa a Roma. Al ritorno non ho più un posto dove andare e devo chiedere ospitalità al marito di mia madre, in un contesto che definire a affettivo è poco, a partire dalle prime ore che passo in casa sua - che sarebbe poi la casa coniugale, eh. Ma la mia mamma non ha più la forza di resistere alle sue intemerate. Tento di trovare altre soluzioni, ma ho bisogno di tempo. Soprattutto uscita da un’esperienza simile, in cui ho dovuto smontare con le mie mani tutto quello che avevo costruito, avrei bisogno di calore e sollecitudine.

Inoltre ci sono altri due concorsi da svolgere in questi giorni. Avrei bisogno di aiuto emotivo, per dedicarmi allo studio con qualche energia perché sono davvero piagata. Non li ho.

Non riesco a studiare e son concorsi meno vicini alla mia preparazione di quello che ho vinto. Passo lo scritto del primo, ma non avendo studiato ho un punteggio insufficiente a vincere e è sempre per un solo posto. 

Mi sento svuotata.

Se i dipendenti pubblici non fossero stati privatizzati dai governi Amato e Berlusconi avrei potuto conservare il posto precedente in caso di cattivo esito. Ora non è più possibile. 

Mi sento infilata in un gorgo che mi si chiude sopra la testa. Non ho più forze, nemmeno per chiedere un aiuto che tanto non arriverà.


sabato 18 novembre 2023

Torta minor

 Raramente mi concedo il tempo per fare qualcosa di gratuito. Oggi una mia collega che conosce la mia situazione mi ha invitato da lei nel pomeriggio con i suoi bambini.

Ho portato questa torta che volevo fare da tempo. Non ho qui nessun attrezzo tranne un frullino a immersione che mi porto ovunque, insieme al forno è la cosa che in cucina uso di più. È l’occasione per scoprire che monta anche uova e zucchero e persino farina! 

Ho messo molte più mele, 1 kg renette non molto grandi. Meno zucchero: 200 gr per me sono sufficienti. Ho usato il burro anziché l’olio di girasole. E non ho tritato le noci, troppo fastidioso e poi non amo la frutta secca a pezzettini.

Solo che nel forno di qui non cuoceva mai e poi mai, forse anche per via delle troppe mele. Ho dovuto alzare la temperatura a 200° e passa; il forno è vecchio e malandato. Alla fine invece della passeggiata prevista ho dovuto strapparla dal forno, infilarla in macchina e andare così.

La torta è molto morbida, umida il giusto, molto confortante, vera torta casalinga fatta con larghezza. Ne ho fatte due teglie, una piccolina, da cui il titolo Torta minor, l’ho lasciata a casa ed è quella che si vede in foto. Si fa in pochi minuti e è di grande soddisfazione. La ricetta come da link viene da Dolcezzedimamma.



I popi a cui l’ho portata erano due. Il più piccolo ha avuto diritto a qualche briciola posata sul piano del seggiolone che ha messo in bocca con interesse. Appena ero arrivata, però, mi aveva scrutato a lungo con sospetto e inquietudine. Era molto preoccupato all’idea che la mamma potesse andarsene e lasciarlo con me, e scoppiava in lacrime ogni volta che lei si allontanava. Finita la merenda e passati a giocare sul tappeto, ha scoperto che il mio braccio era un favoloso punto d’appoggio per tirarsi su. Va a quattro zampe come un piccolo bolide, ma ancora non sa camminare. Tirarsi su su tutti i punti verticali possibili è il gioco del momento. Così ha cominciato a sorridermi. Mi ha ricordato la mia cuginetta che ho visto imparare a camminare una gelida Pasqua passata nella ex casa del nostro paesino trentino. Lei era un po’ più avanti, perché già si tirava su da sola senza appoggi, e tentava di fare un passo avanti barcollando. Ha giocato così tutta una sera finché non c’è riuscita, una volta, due volte, tre volte. Ha fatto un gran sorriso ed è crollata esausta. Ricordo indimenticabile.
 Io felicissima, perché adoro i bimbi piccoli, l’ho incoraggiato in tutti i modi. Poi siamo passati a giocare al contrario con i suoi giochi e a chiacchierare commentando quello che lui faceva con attenzione e senza interferire. Li’ sono arrivate le grandi risatine, le braccine alzate in segno di esultanza, per poi atterrare sulle gambe di una sedia cui aggrapparsi per conquistare la posizione eretta. Sedia provvidenzialmente tenuta ferma da me perché leggerissima. Alla fine, mentre è tutto assorto nel suo nuovo giocattolo, e ride, ed è felice del suo fruttuoso pomeriggio, senza che io me lo aspetti perché oltre a fare da puntello sto parlando con la mamma e il fratellino, mi arriva, imprevista, una manina appiccicosa sulla gota destra. Una carezza. Il regalo più bello che potessi aspettarmi. Ne vado molto fiera: avevamo cominciato con le occhiatacce di diffidenza e gli strilli!
Tanti baci, piccolo nuovo venuto. Che la vita ti sia lieve e sorridente, come dovrebbe per tutti.

Qui la torta minor tagliata. Le irregolarità sono dovute al taglio da topino della mia mamma, che sbocconcella dolcetti tutto il giorno in maniera un po’ affrettata e non sempre accurata (-: 





lunedì 6 novembre 2023

Se la voce dell’onor / in te appien non ammuti’

 In questi giorni sono ospite forzata di mia mamma e di suo marito, nella casa di proprietà di lui dove vivono da sposati.

Per motivi logistici suo marito mi informa che stanno « buttando via un sacco di libri ». Un po’ inorridita chiedo spiegazioni e vedo che il sacco di libri è un sacco di libri di mia mamma, e più precisamente sono tutti libri che in qualche modo riguardano interessi condivisi con mio papà (il cinema italiano, il marxismo), o libri che le ho regalato io « tanto non li ha mai letti ». Tra la carta da riciclare scopro poi delle carte scritte da mio padre, praticamente l’unica cosa che potrebbe in qualche modo trasmettermi.

Costui mi ospiterà pure in casa sua, ma sta buttando via i ricordi e le cose di mia madre, sua moglie, senza sicuramente avere un suo consenso cosciente. Sta eliminando qualsiasi cosa di lei che costituisca un passato in cui lui non è compreso, e costituisce anche, per forza di cose la mia eredità familiare, ovviamente di nessun valore materiale ma di grande peso simbolico per la ricostruzione del mio passato e in parte della mia stessa identità.

Quando l’ho visto ero annientata. Non posso nemmeno reagire perché sono ospite sua, anche se sarebbe più corretto dire loro. Guardavo gli scaffali e le prossime vittime designate attanagliata da una desolazione difficilmente descrivibile.

Alla televisione c’era la bellissima, struggente e delicata a un tempo Traviata con la regia di Martone dal Teatro dell’opera vuoto in piena pandemia, febbraio 2021. La vedevo e non riuscivo a sentire voglia di scoppiare in lacrime.

Non ne posso più.



giovedì 2 novembre 2023

A scoppio ritardato

 Su di me le scenate funzionano a scoppio ritardato. Li’ per li’ tengo duro, e a meno di non rischiare particolarmente grosso, rimango lucida. Un paio di giorni dopo, però, specialmente se non riesco a allontanarmi dalla causa della scenata, mi sento minata alla radice. Svuotata, incapace di reagire, di pessimo umore e come distrutta da una tristezza di cui non mi è nemmeno facile percepire immediatamente la causa.

Non so se sia un processo normale di reazione. Però è devastante.

Ah, l’occasione della scenata è il marito di mia madre. Approfittando dello stato ormai di impotenza di sua moglie e di attuale bisogno mio senza mia colpa, non lo tiene più nessuno nella sua avversione di sempre nei miei confronti, come di tutto il passato di mia madre, che fa letteralmente a pezzi pur di liberarsene. Eppure, se voleva una donna senza passato, non aveva che da andare all’Ecole des femmes.

I patrigni e le matrigne delle favole dovrebbero dare una bella lezione di oggettività alla propaganda giuliva e conformista sulle famiglie ricomposte. Non intendo fare l’elogio del matrimonio indissolubile né della castità post separazione, ma francamente lo sciroppo delle nuove famiglie educate e rispettose che ci spacciano è falso e stucchevole al punto di diventare ripugnante. 

Io, non so. Ho la sindrome del neonato che neanche piange più perché sa che non verrà nessuno. Così è morta Diana, in silenzio. Io il modo di allungarmi a uno sfilatino ce l’ho, ma per il resto, complice la questione di cui non posso parlare ancora, non posso più. 

domenica 29 ottobre 2023

La cueillette

 Non mi era mai capitato. Ieri ero in giro per boschi e le ho viste per terra. Piccole e lustre, rilucevano nel fango. Via lo zaino dalla spalla, una prima cernita e loro dentro. 

Stamattina sul fuoco la pentola ribolliva. Per la prima volta nella mia vita un pranzo procurato totalmente da me, tranne un po' di sale e alloro.

Le castagne. (-:

mercoledì 25 ottobre 2023

Dove sta l’umano

 Non so.

Forse in questa storia un po’.

Magari quella persona ha commesso qualcosa di odioso. Chissà.

Dal sito dell’ANSA:

Nel corso del suo anno di detenzione non aveva mai ricevuto visite. Solo, senza nessuno, con la speranza però di poter riabbracciare il suo cane. Speranza divenuta realtà per un detenuto nel carcere di Lecce: nei giorni scorsi, infatti, dopo diversi mesi è tornato ad accarezzare Zair. Prima dell'arresto vivevano in simbiosi: l'uomo, un senza tetto, aveva come unica compagnia l'animale. Un legame forte e intenso tra loro, interrotto dall'arresto, e dal conseguente affido del cane ad una famiglia pugliese. L'incontro, avvenuto nei giorni scorsi, è durato quasi due ore.
    "E' stato emozionante per lui e per tutto il personale del carcere che si è impegnato affinché il desiderio di questo detenuto potesse realizzarsi", racconta Maria Teresa Susca, direttrice del carcere di Lecce che ha coordinato ogni fase dell'iter per permettere l'incontro, avvenuto in sicurezza in un'area verde presente nella struttura. 
    "Abbiamo voluto esaudire questa richiesta anche per la circostanza - spiega - che il detenuto non fa colloqui con nessuno. Si sono spesi tutti per questo incontro: la polizia penitenziaria, il funzionario giuridico pedagogico che segue il detenuto, così come anche il suo avvocato". 
    La direttrice del carcere non esclude un secondo incontro.
    Anche perchè per chi è ristretto, solo, senza letteralmente nessuno un animale d'affezione è una consolazione e può avere un grande valore terapeutico e mitigatorio in una condizione afflittiva. 
    "E' stato complicato ma è un'esperienza che si può ripetere. 
    Voglio precisare - evidenzia - che si è trattato di un evento eccezionale. E' stata la prima richiesta che ho ricevuto da quando sono a Lecce, da un anno e mezzo. E' chiaro però, trattandosi di momenti che richiedono un'organizzazione ampia va tutto valutato". 

E mi raccomando quel « va tutto valutato »: una vera perla...

venerdì 20 ottobre 2023

Gli ultimi giorni

 Ciò che mi accade è talmente enorme che non riesco ancora a capacitarmene. Tutto sta volando in pezzi eppure non sono capace di percepire la realtà che devo affrontare: smontare tutto, disfare con le mie mani quanto avevo costruito con spese e fatica, e sottomettendomi ad altre spese e altra fatica per arrivare da nessuna parte, farmi di nuovo sommergere dalla palude, automutilarmi per non morire oggi, sapendo che vorrà dire morire di fame domani.

Ancora una volta e come ti sbagli, le riforme UE targate Dini e Draghi, da quella delle pensioni a questa ignobile della PA che Forza Italia sta portando a compimento nel silenzio assenso di tutti i partiti politici, passano a schiacciasassi sulla mia vita, e sui miei sforzi di renderla non dico migliore, ma di garantirmi di non morire d'inedia in futuro, per non parlare di quel che sarà la vita professionale senza senso che dovrò affrontare per gli anni a venire.

In questo stato d'animo rileggo, attonita ed insonne, il monologo di Figaro da Le mariage. C'è tutto, ed è dire molto, se l'Ancien Régime esprime così bene la situazione economico e sociale presente, grazie alle riforme imposte dalla UE con il ritiro dello Stato dall'economia tranne per quanto riguarda la tutela della concorrenza. Anche se in Figaro la mancanza di mobilità sociale era dovuta a un sistema basato su corporazioni e ordini anziché sull'assenza di politiche pubbliche di piena occupazione e di uguaglianza sostanziale.


sabato 14 ottobre 2023

La guardia di finanza e altre fantasie

 Mi arriva un avviso di concorso. Peccato non avere i requisiti di ammissione. Non ha nulla a che fare con ciò che ho fatto finora, ma il livello di esasperazione è tale che andrei a fare il finanziere di corsa, ché poi è anche un lavoro divertente a modo suo. Una collega disgustata quanto me dalla situazione dell’istituzione in cui per anni entrambe ci siamo bruciate neuroni e decenni di studio per nulla, c’è riuscita. Non a fare il finanziere, ma, dopo avere indirizzato i suoi sforzi per anni verso altro, ha avuto la fortuna, complice la sospensione di quella follia targata UE (ovvio) che è il patto di stabilità, di rientrare nello scorrimento di una graduatoria per un ottimo posto che è poi diventato letteralmente d’oro e pure interessante professionalmente. La sua vita è cambiata del tutto, ma non rimpiange niente. Partiva da condizioni diverse e con una situazione meno svantaggiata della mia, ma credo che le mie sensazioni sarebbero esattamente le stesse. Altre persone sono scappate in tutti i modi possibili.

Paradossalmente mi piacerebbe andare a fare il lavoro che faccio adesso, mutatis mutandis, proprio in sede UE. Sarebbe molto formativo e appassionante. Lo farei con divertimento e dedizione. Ma non sono lettone né tedesca e di stage non ne faccio certo più.

Per recuperare il respiro ho bisogno di sfuggire alla meschinità altrui. Poi alla povertà mia, per trovare serenità, attuale ma soprattutto futura, vale a dire aumentare i contributi, in maniera non simbolica, entro due anni. (Grazie Dini, Amato, amatoProdi che avete escogitato il sistema contributivo puro e il parasubordinato perché serviva alla UE, dannando alla miseria irrecuperabile ormai due generazioni, dai cinquantenni in giù. Come dimenticarvi, come dimenticarlo.) 

Imprese che paiono impossibili. Più probabile che mi arrivi un serio malanno di salute, data la tensione degli ultimi tempi. Ieri avevo voglia di morire, a costo di uccidermi, talmente mi sento in trappola in una situazione da cui tutti i miei sforzi di anni e di decenni, di studio e di lavoro, non valgono a estrarmi, sentendomi solo più sommersa ogni momento da incombenze di ogni tipo e priva di mezzi e fin di una casa degna di questo nome. Non è questione psicologica, ma pratica. Non posso dare i dettagli qui, lo ripeto, ma questo stato d’animo ha motivazioni concretissime, economiche e lavorative, che mi stanno sommergendo in una mancanza totale di prospettive. « Un coup du sort » mi diceva ieri un francese, cui ho potuto, a differenza di qui, spiegare la mia situazione. Non ho potuto fare bene il mio lavoro neanche lì, talmente ho dovuto dedicare di attenzione e di energie a ciò che avviene dove mi dovrei guadagnare un pane che neanche si vede più.

giovedì 5 ottobre 2023

Sulla zattera nella tempesta

 Boh. Le persone sono strane. Nemmeno ipocrite, proprio strane a volte. Al momento c’è una persona adorabile che si sta rivelando un’arpia a 360° cosa che ha già fatto scappare qualche collega. Magari qualche ipocrita ci ha messo una buona parola, ma ad ogni modo, quando si conoscono le persone e la situazione come si fa a reagire così.

Purtroppo, ho veramente smesso di aspettarmi dalle situazioni qualche cosa che non sia il vantaggio personale. Come ha fatto da sempre una saggia collega che si ritrova al momento, dopo sforzi non indifferenti, in un posto letteralmente d’oro. Al punto in cui siamo, con le entrate che non ho, è davvero la sola cosa di cui ho deciso di occuparmi. So come si dovrebbero e potrebbero fare le cose, ma sono stufa di pazzi in libertà. Ho una carriera da ricostruire, pochissime opportunità, poche energie e zero soldi.

Basta sforzi fatti per essere abbassata e umiliata. Devo riuscire a spostare tutto altrove. È un momento di transizione. Sto affrontando un problema colossale di cui non posso parlare qui e non sento nessuno al mio fianco, nessuno, anzi, una costante sorveglianza gravida di diffidenza, tesa a crearmi impacci continui quando non sono neanche in servizio, malgrado niente sia riconducibile a me. Meschinità che si crede furba e riesce solo a far risaltare ai quattro venti la propria irredimibile mediocrità, incapace di concepire altri modi di fare che i propri. Gente che la politica economica della lesina ha portato ai vertici delle amministrazioni senza che avessero la mentalità e la preparazione necessarie, purché considerino il loro lavoro alla stregua di un pallottoliere. Non un filo volto a sollevarmi da questa situazione in cui sono l’unica a rischiare una posta enorme nell’indifferenza se non peggio di chi ha costruito una situazione che potrebbe potenzialmente danneggiarmi oltre ogni dire. Allora a cos’altro dovrei prestare attenzione e energie se non a me stessa?

Ecco, diciamo che vorrei dedicarmi alle mele e alle noci.


martedì 19 settembre 2023

Non solo le vacanze

 Anche la speranza di una x diversa. È osceno ritrovarsi a dover lottare sola in una situazione dove non sono stata messa da sola, sentire che vengono ributtate sulle mie sole spalle le difficoltà di qualcosa che non è mia prima di tutto e in cui io ho da perdere più di chiunque per responsabilità non mie. È mostruoso pensare di venire ricacciata in quel pantano a questo punto per sempre.

sabato 16 settembre 2023

La vacanza è già finita

 Se c’è una cosa certa sulle vacanze è la loro eccessiva brevità. Troppo corte, lo direbbe anche Eriadan. Stavolta ho dovuto concentrare in due settimane il lavoro previsto in due mesi, senza riuscirci, ovviamente. Non ho mai lavorato tanto su qualcosa che non conoscevo affatto e con la minaccia di cui parlavo nel post precedente a togliermi il sonno sopra la testa che ha richiesto di sprecarci su una quantità di tempo considerevole. Parigi non l’ho praticamente vista, mai fatto un giro in centro, un’uscita a teatro che adoro, niente. Neanche il tempo di annotare sul blog le infinite piccole cose che mi strappano un sorriso, una sorpresa, una meraviglia, una riflessione, una sorpresa, un amore sempre rinnovato per questo paese e che Parigi regala ogni giorno.

Solo studio continuo e forse un bandolo trovato (-: ma non oso dirlo troppo forte. Speriamo. Il solo tempo che sono riuscita a ritagliarmi è stata un’intensa domenica al rinnovato museo di Cluny. La seconda domenica però ho lavorato, sia pure ai Jardins du Luxembourg che come décor non sono male e rasserenano. 

Adesso ho tutta la casa da sistemare e il treno che parte domattina alle dieci e dieci da un posto bello scomodo da raggiungere con le valigie. Ovviamente i taxi sono fuori budget. 

Chissà quando e SE riuscirò mai a permettermi di venire in Francia per una vacanza come la intendo io. Studiare dà enormi soddisfazioni, ma ogni tanto il relax ci vorrebbe.

venerdì 1 settembre 2023

Mi vergogno un po' ma è la vita. Almeno la mia.

 Post necessariamente reticente. 

In questo momento sono come un campo di primavera su cui si sia scatenata una tromba d'aria di durata imprevedibile. Cosa ne resterà di quei teneri e sereni germogli?

Due brutte notizié ad attendermi al rientro dalle vacanze. Una terza al momento di partire per Parigi.

Mi vergogno di far sempre la tragica, ma la situazione è così sisifesca da sfinirmi. Soprattutto perché non si vedono alternative.

Per due settimane adesso sarò qui. Appena scesa nella grisaille mi sono sentita felice perché a casa. E il grigio non mi piace mica! Ma è una bolla piccola piccola. Intanto laggiù rimane a infuriare la

 tempesta. E ad aspettarmi.

Qui è tutto bello, come sempre, malgrado un'inflazione sull'ortofrutta che mette paura.

domenica 20 agosto 2023

Buio

 Io lavoro da oltre venticinque anni, facendo tutte le scale dal nero presso gli imprenditori della ristorazione al posto di dipendente pubblico, conquistato con due emigrazioni interne. Ho tentato la emigrazione estera ma per stupidità e per mancanza di sostegno da qui non ci sono riuscita.

Ma comunque ho sempre lavorato. Ecco: sarebbe troppo non dover tremare e singhiozzare se come adesso, su una montagna, la mia vecchia automobile, che non vorrei cambiare neanche potendo,  con cui viaggio, trasloco e porto in vacanza la mamma, comincia a surriscaldare il liquido di raffreddamento e molto probabilmente mi costerà mille euro se va bene e io non so dove trovarli? Non dovrebbe esser almeno questo, NORMALE, affrontare una spesa simile senza paure nel meraviglioso mondo dell’UE così pieno di futili sprechi di individui viziati e debito pubblico cattivo, quello per castigare il quale sono stata costretta lo scorso anno a tremila euro di spese mediche,? E non mi parlate di welfare aziendale, ultima scusa per introdurre la sanità privata e smantellare l’altra.

Io questo mondo lo odio. Lo odio perché minaccia la mia speranza di vita, la mia serenità, tutto lo sviluppo della mia personalità il mio presente il mio futuro e perché ha avvelenato il mio passato. Sono arrivata al lavoro insieme a Maastricht e alla sua austerità e al suo principio di sussidiarietà orizzontale (là dove per privati cittadini si deve leggere « operatori economici », padroni, imprenditori, come si vuol chiamarli, gente che cerca il profitto e bada al soldo, non al servizio) ho patito tutto l’inferno dei cococo dell’amato Prodi che mi hanno distrutto quindici anni di contributi e di vita, peraltro ingrassando le coop e aziende di in-house di sinistra che hanno sfruttato il mio lavoro ancor più di quanto lo sfruttamento esistesse prima. Mi sono salvata con un lavoro sottoinquadrato per tre anni, poi sono passata per pura fortuna, nel senso che c’è stato un secondo concorso, a un livello più consono mentre tanti altri rimanevano bloccati, ma questo livello non ha portato con sé la posizione corrispondente perché nel frattempo ARAN e austerità hanno tagliato le posizioni delle categorie superiori e stanno tuttora continuando a farlo, sotto l’ala brunettiana e gli occhi girati dell’attuale governo e parlamento. Ciò ha provocato un ritardo praticamente irrecuperabile nella mia carriera e nelle mie prospettive economiche e professionali.

La mia pensione è interamente a contributivo puro. Grazie ai cococo dell’amato Prodi sommati alla riforma Dini io andrò in pensione a 71 anni ma la cosa che mi spaventa non è quella. È che grazie a queste due pestilenziali riforme ci andrò con meno di cinquecento euro, e non perché non abbia lavorato. Da che sono pubblico dipendente contrattualizzato ho sempre avuto il salario sopra il minimo, per i fautori de’ du’ spicci spacciati per welfare rinnovato e tanto tanto solidale anziché per povertà aumentata, in ultimo da questa figurante nullità che si guarda bene dal chiedere di abrogare le leggi di chi l’ha preceduta e si spaccia per suorina di carità dall’alta morale e dallo strillo facile. E qualcuno ci crede pure.

Prodi, Dini, Biagi (il giurista), Fornero, Renzi, Monti, Bersani, Ciampi, Cassese, Severo Giannini, Boeri, Ichino hanno fatto di tutto per creare i working poors in Italia e ci sono egregiamente riusciti. Compreso istillarci l’idea della loro « necessità » sommata ai sensi di colpa per i nostri consumi eccessivi, perché abbiamo un’auto a GPL, perché siamo viziati e perché vorremmo stabilità di vita e pagarci tre settimane di vacanza l’anno quando siamo obbligati a prenderle. E naturalmente i loro propagandisti da quattro soldi ripetono lieti cotante stupidità. E di individui ancor più laidi meglio non parlare.

Ricomincio a piangere di stanchezza e di disperazione. Non ce la faccio più e non so cosa letteralmente fare.


venerdì 18 agosto 2023

Ascoltare gli imprenditori

 È diventata la nuova parola d’ordine da un quarto di secolo. Loro sì che se ne intendono. Evidentemente quando si tratta di stare dietro ai loro interessi, che poi non sono i nostri, e basta dover prenotare un biglietto aereo o anche di treno per accorgersene. 

Quindi, quando si leggono sul sito di una prestigiosa agenzia giornalistica frasi come queste: « Per arrivare in Italia ci vogliono di solito 7 o 8 giorni... dipende dal meteo e dagli ostacoli durante il percorso", afferma Abu Ramez. "Il punto più difficile è vicino alla Grecia, perché i greci mandano pirati mercenari ad affondare le barche, mentre l'Italia è il primo Paese che accoglie veramente » ci si interroga.

Saprà o no calcolare bene i suoi interessi e i suoi profitti l’operatore economico, investitore in un mercato di sicuro successo, ergo, bravo per definizione?

lunedì 14 agosto 2023

Propaganda, ancora

 La piaggeria e la sfacciata propaganda di tutti i media sulla guerra russo-Ucraina, cioè USAUE che han fatto di tutto per sfasciare qualsiasi ipotesi di cessate il fuoco, invocato dai generali stessi all’inizio della guerra, per lasciar massacrare una popolazione e ormai più di una per il proprio potere e per la smania di regolare i conti a spalle altrui, mi ha portato a livelli di insofferenza tali da chiudere occhi e orecchie davanti a chiunque ne parlasse qualsiasi  cosa dicesse, per l’istintiva repulsione che ho sempre provato verso le balle consapevoli e no. Ormai se qualcuno vuole una sfuriata da me deve solo affrontar l'argomento che gli taglio qualsiasi protuberanza possegga.

L’insofferenza da propaganda smaccata, peggio di quella vista nelle guerre agnello di dio-democratiche contro l’Hitler di turno dei passati decenni (alla faccia di chi dice che è stato un fenomeno unico, che molte volte sono poi le stesse persone), si trasforma oggi in disgusto quando in seguito alla morte di una studiosa francese ho avuto la fantasia di ascoltare i suoi interventi in una trasmissione in cui si parlava dell’argomento. Svettando sopra gli altri con maestria e buonsenso riusciva a novantatré anni a non farsi mettere in bocca quello che il prono intervistatore voleva a tutti i costi farle dire, tranne alla fine, in cui comunque riaffermava il principio della non ingerenza, corredato dalla saggia osservazione che solo così si può pensare di far accettare un cambiamento a un paese.

Il resto della trasmissione era talmente ridicolo nella sua smaccata parzialità salottiera e benpensante da far veramente ridere delle « democrazie europee occidentali » che tollerano e incoraggiano prassi del genere. Se mai c’è stato un problema di libertà di stampa nella pretenziosa Europa, questo è quel momento, davvero.

Se codesti cantori e chi li ispira avessero senso della misura il loro lavoro riuscirebbe meglio. Ma buonsenso e misura tali spregevoli personaggi e istituzioni devono averlo lasciato alla fine della storia. Mi chiedo cosa avverrà nella prossima campagna elettorale per le elezioni UE e quali censure si scateneranno, prima di tutto in rete. E l’oscuramento di Twitter, forse la rete più politica e diffusa, in sola lettura mi sembra un primo passo per nascondere l’informazione a chi, come me che ho scelto di non essere sulle reti sociali di alcun tipo, non aveva intenzione di iscriversi. Con buona pace di chi sostiene il ruolo di traviamento delle reti sociali.

 Capisco Sartre quando si sentiva in trappola fino a ammalarsi tra le scelte impossibili o odiose di rimanere senza assoggettarsi o partire in caso di invasione sovietica. Io non ho ovviamente alcun valore simbolico, le mie scelte non impegnano che me senza avere rilevanza per nessuno, il contesto non impone di prendere in considerazione simili drastiche scelte, ma il senso di disagio e di rivolta impotente davanti a questi cialtroni di urlatori e ai loro sottoprodotti in sedicesimo da reti sociali, che ripetono con mediocre  sfacciataggine modalità stantie da Invasione degli ultracorpi sono veramente inaccettabili prima che nauseanti.

Sta di fatto che questa roba mi ha talmente infastidito che la prossima volta che avrò occasione di votare, verosimilmente alle europee di maggio, darò il mio voto a chi si proporrà di finire immediatamente gli scontri a qualsiasi condizione. Come gridai una volta a un tizio che si faceva propaganda ai cancelli del Policlinico nel 2012, spiegando che avrei votato chiunque, fosse pure il diavolo purché all’opposto dell’agenda Monti che all’epoca Bersani rivendicava. E oggi aggiungo: fosse pure il diavolo, pure i cosacchi al Campidoglio, pure gli spiedini di neonati a Ferragosto.

Basta.

giovedì 10 agosto 2023

La prima volta

 Arriva per tutto, si sa, ma non sempre è una bella cosa.

Domani, come ogni anno, partiamo con la mamma per la montagna, se tutto va bene.

Un carissimo amico mi scrive: a Ferragosto guiderà un gruppo tra i monti fino al cimitero di guerra. Un luogo di splendore fra i prati e le cime, che entrambi amiamo per la storia che contiene. Una bella mattina all'aria aperta. Anche all'alba, volendo.

Ora, la mamma all'alba no, ma la gita, avendo passo sicuro, forma fisica e lunga pratica, sarebbe perfettamente in grado di farla a tutto vantaggio del suo sistema nervoso e dell'umore. Se solo accettasse di fare checchessia. Ma ormai la sola cosa che sa dire è no. No a ogni cosa. Che è davvero triste.

Per la prima volta sento la sua presenza come un peso e un impedimento che mi infastidisce soltanto. Vorrei andare a quella gita, anzi, quel che davvero vorrei è che ci andassimo insieme, e mi dispiace che lei ci sia, a mettersi di traverso per principio con la sua ostinazione malata, non solo al suo stesso benessere, ma anche a me. Ovviamente da anni ho rimodulato le attività in montagna su di lei, ma era diverso.

Forse perché devo rinunciare a tanto - una casa, una cucina, un bimby nella cucina P-;, un lavoro amato, vivere in un paese che mi corrisponda, integrarmi tra persone che mi fan sentire bene, predisporre una vecchiaia serena, concedermi il piccolo agio di un taxi quando occorre, non tremare davanti a ogni spesa non essenziale e anche solo davanti alle bollette triplicate che arrivano in continuazione - non riesco a trovare proprio niente di positivo o appagante nel sacrificio. Tanto più quando, come in questo caso, non apporta nessun tipo di beneficio a nessuno.

Ce ne saranno sempre di più, di casi come questo.

Non è una bella prima volta.



giovedì 3 agosto 2023

Estate

 Quest'estate vorrei riuscire a leggere. E a pensare. E s.

giovedì 27 luglio 2023

Rimedi

 A quei momenti mogi che l'incertezza regala. "Mentre canuta senesco come il mondo", scopro il rimedio non visto in gioventù: attaccare un bottone alle amiche e agli amici, anche in successione quando il caso è serio. E sentirsi subito meglio!


venerdì 30 giugno 2023

Sedici

 Sedici anni. Troppo per fare finta di nulla, troppo poco per rassegnare

Troppo per non avere rimpianti. Troppo poco per non voler guardare avanti. A me piace guardare avanti. Se solo i segni inquietanti che ho colto si lasceranno conciliare con qualche impegno importante nei prossimi sei mesi.

giovedì 29 giugno 2023

Ebben...

 

Nota a parte: Che sarebbe anche una storia intéressante peccato per la musica alle mie orecchie inascoltabile

lunedì 19 giugno 2023

Dopo l'ansia

 Il risultato non ce lo abbiamo ancora almeno non noi comuni mortali, a quanto pare, ma le impressioni sì.

Non era la mia materia e si è visto. Con tutto ciò credo di essere andata meglio sulle domande più specifiche che sulla parte generale, assolutamente cervellotica. Probabilmente per via del solito appalto che ricicla domande a ogni concorso perché il privato è bello e il pubblico deve risparmiare. 

Ma penso che decisiva sia la quantità di candidati per cui la materia è la loro, eccome. Se anche avessi avuto una probabilità di passare le preselezioni, cosa che non credo, mi avrebbero senz'altro stracciata allô scritto.

Comunque una prova utile, dispiace che non ci siano altre possibilià dello stesso genere. La materia generale non mi piace ma la parte specifica sì, molto.

Su qualche apprezzamento sull'odierna organizzazione dei concorsi e preselezioni avrei più di qualcosa da dire. Ma dopo essermi riposata, però.

domenica 18 giugno 2023

ANSIA

 Ansia. Ansia. Ansia. Ansia. Aaaaaaaannnnnnssssssiiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa.

Deliri: ci ammettono tutti senza quiz. Il présidente ha una crisi mistica e rimanda di una settimana. Vanno in panne i pc e rimandano di due settimane.

Insomma non domani, no!!!!!

Non voglio. 

Ansiaaaaaaa. Ansia. Ansia.

Che almeno non vada peggio dell'ultimo concorso che ho fatto. Eh.

Ansia. Ansia. Ansia.

L'ho già detto? Ansia.

Per sicurezza mi ripeto: ansia!!!!!!!

sabato 10 giugno 2023

Programmi

 Quando ti svegli presto tutta contenta pensando che puoi finire il capitolo, il sottocapitolo, iniziare quello nuovo e poi fare una bella passeggiata distendiva Di fine giornata e alle sette sei ancora a nove paginé dalla fine di quel capitolo che dovevi finire per prima cosa ))))))-,,,:

Odio le preselezioni a crocette. O anche a pallini.

Uuiuuuueeeeeeeeraaaaa sniff.

giovedì 8 giugno 2023

Rififaaaa ua aaahhh auuuu ahhh uhh iaaaaaaaaaansiaaaaaa ANSIA ANSIA ANSIA ecc. ecc. ecc. Le delizie dell’ansia preventiva

Aggiornamento: oggi non ho fatto che perdere tempo. Perché distrarsi allontana l’ansia. Ecco, vedi di smetterla, perché poi torna insieme con la depressione “perché non so niente e ci sono centinaia di pagine da studiare in una settimana”. Così oltre all’ansia ci guadagniamo pure i sensi di colpa. La sola maniera di allontanare l’ansia è approfittare di tutto il tempo per studiare fino a imparare. Devi arrivare a avere i capelli bianchi per rendertene conto???? E basta! Che poi studiare, come ballare, ti diverte sempre, perfino per i concorsi! Hm meglio non fare mai un concorso di ballo, però. Idiota, fila a fare quiz! E a leggerti il manuale, bestia, deficiente, stupida che non sei altro e finiscila di fare idiozie!!!!! Comunque, a chi ha inventato i concorsi a quiz vorrei riservare l’esecuzione immediata senza diritto alla difesa. un concorso a quiz in pratica è il diritto alla decimazione.

Altro concorso in arrivo. Molto difficile. Soprattutto perché è un po’ fuori dal mio campo, anche se credo che potrei fare bene, anzi molto bene quel lavoro dopo averci preso un po’ la mano. Il faut de l’audace... 

Tuttavia, essendo fuori dal mio campo, ho dato la precedenza, pur se a malincuore, all’altro concorso che invece era del mio settore. Quindi mi ritrovo a preparare una montagna di roba in buona parte estranea in ehm, quindici giorni. Inutile dirsi che non ho niente da perdere. Ansia. Inutile dirsi che alla peggio resto dove sono: ansia. Inutile pensare alla soddisfazione di un giorno di permesso concorso che mi tenga lontana da quel luogo dove mi fanno sprecare tutto ciò che sono e che potrei e vorrei dare al servizio pubblico che mi piace e che difendo: ansia sempre ansia. Inutile dirsi dato che non è la mia materia ogni risultato sarà già buono. ANSIONA. Inutile dire che magari ci sarà un concorso migliore: cosa? Migliore di questo obiettivamente sarà difficile. ANSIA!!!! Inutile dire che magari nella vita le cose cambiano. Cambiano? Ma quando mai! Mooolta ansia.

Insomma: ansia. Il problema dell’ansia è che ti impedisce di studiare. Soprattutto l’ansia preventiva. Che è quella che non ho mai avuto agli esami e che va diventando la mia specialità per i concorsi. Più ne faccio e più divento ansiosa in anticipo. Il giorno dell’esame lo so: devo leggere fino a che il presidente non mi richiama all’ordine e mi fa mettere via gli appunti; fuori discussione assistere agli esami degli altri candidati o chiamano le ambulanze di tutto il circondario. 

La memoria a breve non riesce più a contenere le cose con i ritmi di prima ))))-:

Ma accidenti dell’ansia preventiva che mi rompe le scatole con oltre una settimana di anticipo, ne farei proprio volentieri a meno!!! 

Dov’è il bottone spegniansia? 

AHHHA UAHHA friiiiii rrrraaa smannnnnn ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh aiuto!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh

giovedì 1 giugno 2023

Il Maestro

 L’antivigilia del mio concorso. 

Un sorriso che si è spento. 

Un’allegria che mancherà.

Una curiosità che non si ritroverà.

Qualcuno che scommise ma non troppo su di me quando mi vide in mano una Montblanc. 

Perdere il maestro è complicato: non è un genitore, perché lo si sceglie, ma il rapporto è sempre di filiazione sia pure immateriale. Ci si affida come a nessuno, perché svegli alla conoscenza. 

Frastornante. Si acchiappa più che si può senza voler sapere che anche quella conoscenza è finita, che anche quella persona che pare dominare il caos dandogli ordine, è finita. Anche quando non siamo d’accordo con lui, sentimenti di rispetto e ammirazione prevalgono.

Nostalgia di quando qualcuno ci spiegava “tutto” dandoci gli strumenti per spiegare a nostra volta.

Tristezza e debolezza.

Ricordi di esplorazioni e parole.

Privilegio e perdita.

Pesa.

Sensazione di peso, di un carico di cui non si sa cosa fare. Legame allentato, Francia un passo o un baratro più lontana.

Difficile. Più del previsto, più del pensabile.

Maggio di prove, l’una dopo l’altra.

Pianti.

mercoledì 31 maggio 2023

Inutile piangere sul latte versato

 Il senso pratico della creatrice de Il #Clan del risotto del venerdì, che ha scelto questo come tema per la settimana, si mescola all'agitazione residua per la cattiva prova di martedì che malgrado la stanchezza accumulata mi tiene sveglia da un'ora alle prime luci dell'alba. Cerchiamo di sceverare il dispiacere dal dispetto, e da quel filo di competizione che malgrado tutto si insinua in questi casi.

La sede era carina e intrigante, mi sarei divertita a scoprire un mondo nuovo e avrei lasciato Roma, che non amo, ma non era priva di controindicazioni. Soprattutto era una realtà che al servizio sembra tenerci sul serio e non per dovere, mentre qui lo stanno smantellando. E questo per me è molto importante. Il dispetto dovuto al non aver meglio padroneggiato i miei difetti, perché sarebbe anche ora di imparare, è amaro da affrontare, ma bisognerà farlo senza angosce, sensi di colpa né esagitazioni ecessive, a parte lo sfogo rituale sul momento che ha pieno diritto di cittadinanza. Si tratta di un problema pratico, pur con risvolti  psicologici - bisogno di attenzione? - e come tale va  trattato. L'ansia vera è la mancanza di occasioni per construire un'alternativa degna. Su quella c'è poco da fare, bisogna avere pazienza e tentare. C'è un altro concorso per cui ho fatto domanda, più comodo sul piano pratico ma senza i lati positivi della sede perduta. Cerchiamo di accumulare sapere nell'attesa e di uscire dall'idea di star facendo una prova eroica cui legare un'istanea di considerazione o ricompensa. Questo mi indebolisce. E la prima cosa da fare sarebbe dormire. Mi sono svegliata con dolori al collo, alla testa e la sinusite regalatami dall'aria condizionata dei quattro treno presi in trentasei ore.

Finiamola con il prendere ogni giorno come un redde rationem, tra l'odio per l'ufficio dove languo senza considerazione per un servizio di cui non importa, per rozzezza, nulla a nessuno, e la carica apocalittica che metto su ogni tentativo di uscire. Certo, se avessi una prospettiva del quotidiano più rosea del lavoro che non lo è,  e del rimprovero constante del marito di mia madre perché non allevio le sue condizioni e di una casa perpetuamente in disordine, sarebbe almeno più semplice trovare una ragionevole serenità per gestire una fase che spero quanto più transitoria verso un luogo di lavoro meno umiliante.


martedì 30 maggio 2023

Uaaaa sniff non ce la farò mai!!!!

 Fatto esame. Come una scema. Non capivo cosa dire e quando lo capivo ero sicura che mi sarei confusa su cosa dire. Insomma ho fatto una prova da orecchiante presuntuosa. Véro è che anche se avessi studiato di più quelle cose non me le sarei comunque mai ricordate. Scotto da pagare quando la tua formazione primaria è un'altra e certe cose le hai apprese da grande. Ne sei consapevole, le rimeggi mille volte, ma la meccanicità non ce l'hai. Insomma una prova in cui si capiva che sapevo di cosa si parlava, ma la ragazzina più fresca di studi te le snocciola con maggior précisione e esattezza. E allora meglio andare sul sicuro, no? Mannaggia a me e alla mia vulcanicità caotica. Una figuraccia da superbiosa, pure. Aiutoooo voglia dimenticare tutto. Ma rimane, sola, l'angoscia del domani.

Spero almeno di essere in graduatoria perché dà punteggio. Ma che razzia di inguaribile stupida eccessiva sono. Un caso disperato. Eppure alla mia età avrei dovuto imparare, ecco, invece Di giovare a fare l'isterica. Stupida che non sei altro. Bastaaa!

venerdì 26 maggio 2023

FIFA!!!!!!!!!!!!!!

Tra colleghi facciamo tutti concorsi da tutte le parti in questi giorni. Vale a dire quanto ci sentiamo utili apprezzati e motivati dall’amministrazione di appartenenza. L’aumento di stipendio che avremmo dovuto avere per quest’anno dopo SETTE anni salta ancora.

Io ho FIFA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! A me toccherà martedi’. FIFAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

C’è una mole di roba e non ho più la memoria a breeeeeveeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!

FIFAAAAAAAAAAAAAAAAAA!

In tutto questo, per aiutarmi, il marito di mia madre non trova di meglio che mandarmi dei messaggi di rimbrotto perché ho portato in tintoria dei loro vestiti macchiati e bisunti di lana e vellutino e fibre del genere, spendendo cento e otto euro dopo anni se non decenni che quella roba non veniva pulita ma rimessa nell’armadio a ogni stagione. Pare che si siano staccati gli alamari del suo cappotto e comunque non dovevo fargli spendere quei soldi. Della serie quando ti voglio incoraggiare, tanto più che la scenata tintoria me l’aveva già fatta dieci giorni fa. Ha il potere di destabilizzarmi non so perché, ma non ne posso più di costui. E’ come se mettesse su di me tutto il rancore che ha verso mia madre e la sua malattia, e che su di lei non sfoga, la sua possessività verso di lei e la gelosia retrospettiva verso mio padre, peraltro morto e sepolto, ma lui è capace di essere geloso pure del cimitero.

Di fatto in certi momenti mi ha aiutato. Gliene sono riconoscente. Ma è come se mi avesse sempre voluto fuori da tutto, tranne nelle due o tre occasioni comandate l’anno, in cui si’ faceva lo splendido (con moderazione, eh) ad accogliere me e la mia famiglia, cioè quella di sua moglie, nella casa in campagna o nella sua.

Per il resto di noi si è sempre lagnato. Salvo poi chiedere all’occasione come se non avesse fatto altro che sacrificarsi per noi, quando ha sempre dettato le regole lui e ha sempre fatto pesare qualsiasi cosa se ne discostasse o si discostasse dal suo tran tran. Mentre noi avremmo dovuto abbracciare e fare quelle stesse cose che lui scansava, e in generale con meno mezzi e meno possibilità di lui, come le più scontate, dovute e naturali del mondo. Ecco, quello lì è il punto. Una colpevolizzazione di partenza per ogni cosa che si discosta da come dev’essere secondo lui.

N.B.: io sono sempre stata felice che negli ultimi decenni lui sia al fianco di mia mamma. Ma sinceramente, a quei cantori a priori delle famiglie ricomposte, dove tutti sorridono alla Mulino Bianco dell’inclusività, tanto compunti per il bene dei figli - che poi io non ero certo una bambina - vorrei dire che la fanno davvero facile. Non sono luoghi idilliaci come non lo sono le altre, non sono luoghi in cui l’affetto il rispetto e l’accoglienza regnano scontati e senza paletti. Ma manco per sogno. Nel nostro caso poi lui era separato da molti anni, quindi avrebbe potuto essere più facile, meno traumatico: ebbene no. Malgrado nei momenti di crisi lui ci sia sempre stato con la porta aperta. Nell’andamento quotidiano dei decenni, però, io non ho mai trovato posto in modo sereno né la mia famiglia d’origine, nella casa del marito di mia mamma. Sono sempre stata un’intrusa con cui contrattare anche i cinque minuti. Certo, c’era il sostegno alla famiglia in quanto gruppo sociale. Il che serve, quando di mezzi ne hai pochi. Ma fuori dalla condivisione della vita. Estemporaneità vietata, naturalezza di avere una casa dove rifugiarsi un’ora o una sera, nel bene e nel male, idem. A me, non certo ai suoi figli. Diciamolo, magari, eh. Fuoriusciamo da questa melassa soffocante come una piena di fango. 

Io devo studiare. Calmarmi e studiare. Sto fra il pianto e l’isteria, la concentrazione va a farsi benedire. Non ce ne sono molti di concorsi per chi è nella mia categoria, oserei dire meno di due l’anno in media e non sempre in luoghi possibili economicamente se non hai li’ una casa di proprietà. Sto invecchiando. Divento meno appetibile, i candidati più giovani hanno la precedenza, e ho meno capacità di memoria. Non ho più molto tempo. Questo, congiunto alla devastazione contributiva di quindici anni di cococo grazie all’amato Prodi e al contributivo puro dell’ur-salvatore Dini, aumenta l’ansia, fino alle stelle.

E poi sono una che agli esami è sempre andata con il puro terrore.

Insomma:

Aiuto. Ho PAUUUUUUUUUUUUUUUUUURAAAAAAAAAAAAAA!!!!!! Fifa! Fifa!! Fifa!!!!

P-;

giovedì 11 maggio 2023

Le nostre pensioni

 ... tu stai spendendo i soldi di tua madre per pagare il tintore e per le zanzariere mentre le nostre pensioni servono per la badante! Voglio il controllo almeno dei muri di questa casa!" Dixit il marito di mia madre appena dimesso dall'ospedale e furioso perché io in sua assenza ho dovuto giocoforza trasferirmi da loro per stare con mia madre mettere le zanzariere per non farci pungere e nel frattempo preparare e dare lo scritto di un concorso e organizzare una visita medica importante per mia madre su cui lui stava traccheggiando da mesi. E ne manca ancora un'altra. Sì, e ho anche fatto una mezza dozzina di lavatrici con l'acqua calda e persino una lavastoviglie, perché il suo lato genovese lava tutto e sempre con l'acqua fredda, con quali vantaggi per l'igiene è facile immaginare. Quando si vedrà in bolletta avremo una nuova puntata.

Già cinque anni fa io avevo smesso di andare a casa loro in campagna per la maniera inaccettabile con cui  mi aveva aggredita verbalmente una mattina che ero partita un quarto d'ora in ritardo sul ruolino previsto: "Maledetto me che c'ho le case! Tu chiudi con tutti!". Non avevo più accettato di mangiare da loro né men che meno di andare in campagna o a casa loro per più di pochi minuti. Poi si è ammalata la mamma, non poteva uscire e quindi lui ha insistito, perché sostanzialmente gli faceva comodo, perché  andassi da loro in visita. Difficile fare diversamente se volevo vedere la mamma. Non avevo mai voluto trattenermi più a lungo, perché non volevo ritrovarmi in quelle situazioni che sapevo si sarebbero inevitabilmente ripresentate. E infatti: nel momento in cui ha dovuto accettare la badante perché i suoi figli gliel'hanno imposta a muso duro mentre lui era in ospedale e poi la visita medica perché io ho fatto altrettanto mettendolo davanti al fatto compiuto, ecco che divento io il bersaglio del suo sfogo e della sua frustrazione, dato che sono rimasta a dormire da loro anche stanotte perché la mamma me lo ha chiesto.

E poi chi ha comprato queste pere che sono insipide (la mamma con la badante che finalmente lui ha dovuto accettare per alcune ore al giorno) e invece questa mela è sfatta (la colpevole fui io dieci giorni fa, correa la mamma, quando le mele erano in buona salute) e i piatti che domani li facciamo spostare perché nel pensile sono messi confusi (in realtà sono perfettamente separati, per tipi e provenienza, ma a lui non va giù che si possano prendere facilmente quelli che vengono dai miei nonni e che sono un regalo dei loro figli ai genitori, perché ha sempre voluto cancellare tutto quello che veniva dalla mia famiglia) e non sappiamo cosa darti per cena perché la mamma ha buttato quello che era previsto, e vuoi un po' di formaggio ma perché non hai comprato quello tondo (perché tua moglie si è permessa di sceglierne un altro insieme alla badante) ma se prendo un secondo cucchiaino di stracchino per tutta cena insieme a un un terzo di fettina di petto di pollo che mia madre ha avanzato mi lancia occhiate di disapprovazione per la mia indiscrezione esagerata. E non c'è il vino - che non c'è perché come lui sa la mamma non riusciva più a moderarsi nel suo consumo.

E insomma, cattivo come una iena. Non irritato, non spazientito. No. Proprio cattivo, quella cattiveria che vuole fare male ad ogni costo, soltanto del male e basta.

Diciamo che se non altro abbiamo la prova che si sta riprendendo egregiamente... ma non ho la forza di reagire con l'ironia, non funziona più, il meccanismo è rotto, lo slancio non riparte. 

E io sono prigioniera di questa vicinanza, che non ho scelto.

Devo preparare l'orale e avrei bisogno di un po' di tranquillità mentale e di serenità, ammesso che nella mia situazione si possa. Ho saputo solo oggi di essere passata, non ci speravo, forse per scaramanzia; e anche se c'è un candidato locale su cui sono chiaramente modellati il bando e pure la commissione bisogna vendere cara la pelle. Ma non ne posso più di ricevere soltanto ceffoni da tutte le persone che mi circondano sul lavoro e pure in famiglia. Non ho più forza né forze, ecco.

Serve un abbraccio per ridare energia.

Insomma è ancora una volta mezzanotte - dovevo scrivere per sfogarmi sperando di riuscire a dormire - e appunto devo andare a letto. Oggi per la prima volta mi sono addormentata sul divano e domani devo uscire di qui alle sette per poter poi uscire dal lavoro in anticipo per correre a strappare qualche nozione sul programma di concorso a una collega riluttante benché non concorrente... quanto detesto la povertà.

domenica 16 aprile 2023

Senza sorpresa

 Dopo settimane di pestaggi, all’ultima scontata approvazione del massacro sociale macronista, nessuno tiene più vive proteste iniziate solo per forma da tutte le organizzazioni coinvolte. Senza quelle, le folle spontanee non reggono, dovremmo saperlo.

Bisognava agire prima dell’approvazione, non dopo. E la prima cosa da fare era eleggere chiunque purché non fosse quel personaggio già sperimentato.

La Francia che ho amato se ne va in pezzi e in briciole. Peggio per tutti, per quanto fessi siano stati a pensare di imporre legge a costui - e alla loro bilancia dei pagamenti, finché restano in zona euro, si capisce.

(Oggi giornata di gaffe e la cosa mi stizzisce. Tutto sommato sarebbe meglio evitare di pensarci, non era niente di grave, però dispiace.)

venerdì 14 aprile 2023

Riso pigro

 Ieri a Roma giornata di nuvole basse e grigie, quelle che mi fracassano le ossa e l’umore con troppo rari piovaschi. Giornata di stanchezza accumulata, fisica e psicologica, dovuta agli avvenimenti che ho raccontato. Per farla breve: grazie al tema libero il risotto è di quelli assemblati con il minimo sforzo, saccheggiando congelatore e frigorifero, il che non significa che sia breve da preparare partendo da zero, perché ci sono comunque brodo di ossa e verdure già cucinate. L’intenzione non era un risotto degli avanzi perché è capitato per caso, non ce ne fossero stati avrei ideato qualcos’altro dal minimo sforzo. Il riso nasce da un gigantesco pollo ruspante comprato tempo fa per una visita di amici venuti da lontano e che nelle sue varie parti, a mo’ di maiale, ha nutrito la casa per settimane - e ce n’è ancora qualcosa in freezer. In particolare con gli scarti s’è fatto un brodo di ossa ben saporito e con le rigaglie dei crostini ai carciofi. Con gli avanzi di queste due preparazioni ne è uscito pure il riso.

Riso pigro 

Brodo sgrassato di ossa di pollo q.b. (carcassa, pelle, verdure e spezie)

2 pugni di riso

1 spicchio di aglio, o di cipolla

Vino bianco (io un prosecco avanzato)

1 bella mammola tenera e ben pulita dall’ortolano

Prezzemolo liscio e saporito

Aglio 1 spicchio

Olio

Pecorino stagionato romano

Tirare fuori dal frigorifero un avanzo di carciofi preparati così: soffriggere uno spicchio d’aglio, poi unire un bel ciuffo di prezzemolo con le foglie intere. Quando saranno lucide, aggiungere la mammola a fettine sottilissime. Dev’essere ben pulita da tutte le foglie dure. Bagnare con il vino e finire di cuocere con un po’ d’acqua se necessario. Frullare l’avanzo.

Scongelare in un pentolino una decina di cubi di brodo di ossa.

Soffriggere il secondo spicchio di aglio o altrimenti la cipolla in olio. Unire e tostare il riso, sfumarlo, portare a cottura con il brodo. Unire a tre quarti la crema di carciofi.

A questo punto fare l’eroico sforzo: di mettere giù la comodissima e maneggevole microplane e tirare fuori la grattugia da parmigiano quella vera, perché il formaggio grattato con la microplane non si scioglie bene per niente. Grattugiare una bella dose di pecorino e mantecare aggiungendo se del caso un filo d’olio. Non so perché, ma pur essendo una galactofila dichiarata i carciofi m’ispirano olio, non burro.

Fotografare di corsa prima che si asciughi troppo.


All’assaggio verrà fuori che la pigrizia ha colpito ancora; i chicchi sono appena appena gommosi: mezzo secondo in più di cottura gli avrebbe fatto bene. A me comunque non dispiace, perché non è quell’effetto centro crudo e farinoso, mentre il piatto si svuota quasi scompare. Però ecco, un po’meno flemma non avrebbe guastato P-; 







venerdì 7 aprile 2023

Risotto del compenso

 Di nuovo venerdì e non si può dire che questa settimana sia scorsa tranquilla. Anche il gioco del #Clan del risotto del venerdì continua, con per tema il riso di magro. Ora, gli unici esseri umani di cui seguo i precetti alimentari sono vestiti di bianco ma non portano la pianeta. 

Quindi per oggi c’è il riso del giorno di compenso: fatto cioè con gli ingredienti che il mio dietologo ha stabilito essere giusti per me nel giorno di compenso, vale a dire, quel o quei giorni che precedono o seguono una serie di pasti festivi e rituali più ricchi e elaborati del solito.

E sarebbero:

100 g. di petto di pollo

20 g. di cereali o pasta - ovviamente riso nel nostro caso

Zucchine a piacere

Cipolla a piacere

1 cucchiaino di condimento

Brodo, se sgrassato

Vino per cottura: una spruzzata

Cosa fare?

In mezzo cucchiaino d’olio, far divenire translucida la cipolla tritata, unire le zucchine tagliate finissime con la mandolina. Rosolare, poi unire il riso e infine il pollo tagliato a cubetti piccoli ma erti (io non ho potuto farlo, perché avevo solo delle fettine già pronte, ma è molto meglio). 

Spruzzare di vino, poi portare a cottura con il brodo di pollo ben caldo. Il mio era di ossa, verdure e spezie. Alla fine unire mezzo cucchiaino di burro e una scorzetta di limone.

Parlar di mantecatura con queste proporzioni è impossibile: o c’è una sorta di sughetto o si secca tutto. Quindi l’estetica è quella che è. Tuttavia queste dosi danno la possibilità di apprezzare appieno l’elemento più essenziale del risotto: il brodo. Elemento da non trascurare mai, dev’esser saporito e intonato agli ingredienti e a mio parere non troppo acquoso. In particolare il sapore di questo riso sta tutto nel brodo, molto avvolgente e profumato per quanto assolutamente sgrassato. 




giovedì 6 aprile 2023

Espansione tragica

 Avevo appena fatto in tempo a sentirmi per una volta a mio agio sul posto di lavoro quand’ecco a poche ore di distanza, il giorno dopo, vengo a sapere che la struttura è destinata a a essere smantellata, il che raddoppierebbe il mio carico di lavoro; e che dopo un primo capo senza titoli dovrebbe arrivare qualcuno che li affabula senza sostanza, perché specializzato in qualcosa di ampiamente riciclabile a volontà; non solo, di questa persona si ricorda l’aver sfasciato altre situazioni di lavoro non riferibili a me, causa i suoi modi inaccettabili. Ma tant’è: questa persona deve andare avanti e la fanno andare avanti; non ci sono contromosse possibili né vincenti, il tutto per la politica di smantellamento dei nostri servizi e il salvataggio di pochi individui che l’istituzione persegue da anni. A ciò si aggiunga che i nuovi contratti dei vari comparti del pubblico impiego stanno riservando di fatto la categoria superiore alle professioni abilitate. Questa misura, unita al taglio dei fondi - grazie e sempre grazie all’UE e alle sue violente politiche di bilancio liberiste - rende del tutto impossibile che, se non lì, almeno altrove io possa riuscire a rientrare in una graduatoria purché sia. Non ci sarà infatti più disponibilità di posti di funzionario di livello alto, che poi alto, diciamo quadri di diritto oltre che di fatto, per le professioni non abilitate, e questo bloccherà definitivamente le carriere del pubblico impiego contrattualizzato (grazie Massimo Severo Giannini, grazie governi Amato e D’Alema: come siete stati bravi a tagliare gli stipendi voi, ce n’è pochi). Insomma mi sta venendo addosso tutto il futuro di miseria e di contenzione burocratica del mio cervello, perché costretto a una sottomissione e a un’impotenza senza scampo, dei prossimi decenni. La giornata passa così, annientata, in vana ricerca di uno spiraglio diverso di futuro.

Mercoledì all’alba mi sveglio con dei dolori allo stomaco per me insoliti, non certo causati da pesce e insalata di finocchi, cena della sera prima, mi devo alzare perché sdraiata non mi passano. La giornata scorre ma stamani all’alba ho di nuovo i dolori così forti da svegliarmi. Non c’è verso di riaddormentarsi. 

Nel frattempo lo scatto stipendiale che stiamo aspettando dal 2016 non è certo se arriverà. Tante amministrazioni hanno approfittato degli ultimi due anni per farli, le pulciare che gestiscono quella dove tento di lavorare ovviamente no: l’umiliazione del personale gli è sempre troppo piaciuta. Io avrei dovuto arrivare l’anno prossimo tre posizioni economiche sopra quella in cui sono: a stento forse riuscirò a salire di un livello prima che l’avello si richiuda per altri sei anni.

Da dopo la pandemia, quando lavorando da casa stavo benissimo, serena, attiva e in forma, la casa uno specchio e un nuovo progetto messo su a distanza in tre, io so perfettamente che il mio corpo si rifiuta di rientrare in quel luogo. I primi tempi, nell’agosto del 2020, ad ogni passo che facevo verso l’ufficio sentivo il mio corpo trasmettermi una sensazione di estraneità profonda unita a un istinto di fuga puro e semplice. 

Quest’autunno il lungo periodo di malattia infettiva che ho cominciato a raccontare viene senza dubbio dall’esaurimento delle energie psicofisiche dovute in buona parte allo smorire in cui mi lasciano sul luogo di lavoro insieme alla struttura per non metterci a volte pochi soldi se ben investiti.

Adesso che da fine marzo stavo recuperando le forze quest’ennesima sberla mi ha di nuovo fracassato l’organismo. Non so più come gridare che me ne devo andare.

domenica 2 aprile 2023

Ebbene no, io non ci riesco a commentare sul mio blog

 « Ma come puoi non riuscire a commentarti. Io ci riesco », scrisse Bia, una lettrice forse molto scaltra su certe faccende.

Non mi stupisce che tu ci riesca. Io no e posso solo raccontarti quello che succede.

Scrivo un commento e tento di postarlo. 

    Blogger mi risponde che devo essere connessa per farlo.

        Mi connetto.

                Invio il commento.

                    Blogger risponde che devo essere connessa per, guarda un po’, inviare il commento.

Riprendere dalla prima riga.

Succede col mio blog e succede su quelli altrui, tranne pochissimi casi, come ad esempio qui. Il fatto che in qualche caso non succeda vuol dire che non dipende né dal mio apparecchio né dal browser ecc. Il problema viene da Blogger e Google.

Ovviamente è molto seccante perché non essendo io sui social capita che ti tagli fuori da ogni contatto con le persone e senza alcun modo di farglielo sapere.



venerdì 31 marzo 2023

Risotto al sugo di polpo (senza burro, come il pesto)

 Per mesi non ce l’ho fatta a cucinare: volevo riprendere a partecipare al #Clan del risotto del venerdì ma da ottobre ho cominciato a stare davvero meglio solo a metà marzo. Ogni volta che mi ripromettevo di sperimentare un risotto con mantecatura alla banana al momento di mettere mano alle pentole mi mancavano le forze e la voglia.

Allora ho pensato: faccio un risotto extra venerdì. Poi ho letto che questo venerdì il tema era libero e mi sono detta che avrei potuto sfruttare gli avanzi che avevo in casa per fare un risotto che un tempo facevamo regolarmente: il riso al sugo di polpo. Rientra nei piatti ‘scapà perché ovviamente il polpo non c’è. Nella mia personale classificazione zoologica il polpo è il maiale del mare: non si butta niente - e che lotte per evitare che il pescivendolo lo spelli a tradimento - e tutto quello che viene dal polpo è estremamente saporito. Quindi è un piatto assolutamente casalingo e banale.

Si mette un polpo verace pulito ma non spellato in pentola, di coccio se c’è, con prezzemolo e passata. Si chiude con un coperchio, si copre con un peso e si fa cuocere a seconda del peso del polpo. Quando è cotto si apre e si fa concentrare il sugo.

Si mangia il polpo e si tiene il sugo!

O si tiene il sugo e si mette da parte il polpo.

Si fa appassire la cipolla in olio, si tosta il riso, si sfuma con del vino bianco, si copre di sugo di polpo aggiungendo se ci va una stella di anice e si lascia asciugare. Si porta a cottura con del fumetto caldo, si unisce dell’origano pestato e della scorza di limone grattugiato e un pochino di olio nuovo (a mio parere questa aggiunta soffoca un po’ il polpo, ma io sono molto parca nei giri d’olio finali. Trovo molto meglio l’effetto dato dal burro, ma francamente, oltre che nel pesto in cui proprio non ha senso alcuno se non andare al risparmio, non lo vedo neanche nel polpo dove non c’è neanche quel motivo).

Tutto qui. Il sugo di polpo è molto ricco e saporito, condisce perfettamente il riso e lo rende morbido.



lunedì 27 marzo 2023

Dies albo notanda lapillo.

 Oggi per tutto il giorno, in ufficio, ho preparato e eseguito un compito che mi piace, che so fare, che sfrutta le mie conoscenze, preparazione e capacità in modo appropriato, che mi diverte e mi appaga e che è venuto come lo avrei voluto, diciamo al 95%, perché la perfezione non esiste (-;.

Dato il contesto in cui lavoro dovrebbe rappresentare un terzo di quel che faccio, mentre un altro terzo dovrebbe essere dedicato a preparare e approfondire occasioni simili e l’ultimo terzo a compiti di altro tipo.

Purtroppo non è così. Per una serie di ragioni dipendenti da fattori molto vari sono situazioni occasionali e rare, con perdita per tutti, non solo per la mia soddisfazione personale.

Oggi è stata la prova, l’ennesima, di quanto malgrado tutto io funzioni ancora bene. Non solo per i riscontri nettamente positivi che ho avuto.

La prova vera è che mi sento felice. Non viva, come ho scritto nel post precedente, non soltanto. Felice di aver fatto bene il lavoro cui tengo, certo, ma soprattutto felice per avere ricucito la scissione costante tra il mio lavoro effettivo e la mia capacità professionale. Felice, quindi sì, anche viva. 

Sono appena arrivata a casa con un sorriso stampato in faccia e non ho mangiato da ieri sera. Corro a fare merenda! (-:

domenica 26 marzo 2023

Qui comincia il racconto di un anno faticoso

 Lo scorso anno è iniziato bene, a Parigi. Mi avevano segnalato dall’Italia un buon concorso subito prima, a Natale. Concorso difficile non impossibile se non avessimo  avuto davvero poco tempo per prepararci, e se il programma non fosse stato davvero sbilanciato su materie non tecniche pur essendo in teoria un concorso tecnico. Dove lavoro siamo tutti talmente felici che chiunque avesse i requisiti lo ha tentato, tranne un pugno di capi già promossi. Nessuno ci è riuscito e chi è andato più avanti era diciamo dotato di una preparazione collaterale a quella tecnica, o aveva facilità di accesso a chi quella preparazione l’aveva. Anche così all’orale di noi non è arrivato nessuno. 

Era probabilmente un concorso come tanti da quando c’è la famosa norma Brunetta per cui se vuoi promuovere qualcuno devi mettere a concorso una certa quota di posti esterni, cosa questa doppiamente ingannevole perché obbliga gli interni a fare un concorso esterno in cui gli esterni a meno di non essere sotto la mano del padreterno non possono avere la minima chance. Per di più in periodo quasi elettorale. 

Comunque la fatica e lo stress ci sono stati, la paura anche, perché davanti a un esame capitale io ancora non riesco a non avere paura, e tanto più hai paura quanto meglio sai che se perdi quel concorso di altre chance vere ce ne sono pochissime. 

Nel frattempo diventa ufficiale che malgrado le intenzioni del precedente pensionando direttore non sarò io a succedergli, per motivi in larga parte ignoti: non so cioè se l’ostacolo viene direttamente dai colleghi più alti in grado per motivi di carriera personale che contemplano la mia esautorazione o da altri settori dell’amministrazione. A prescindere dal giudizio sulla persona, che non ha particolarmente brigato per avere quel ruolo, chi arriva non ha nessun titolo professionale specifico e in confronto a quelli che ho io, be’, meglio non infierire.

Ci avviamo verso un’estate precoce, e nella mia casa che è mal isolata da maggio non si resiste.  Senza sole, perché sole non ce n’è mai, ma sotto il tetto, per cui ho tutto il calore immaginabile senza godere della luce.  Questo mi impedisce di rilassarmi nei momenti in cui riesco a stare fuori dall’ufficio, mentre il mio reddito mi impedisce di trovare svaghi altrove, men che meno di partire per il fine settimana in un posto più ameno.

Con sorprendente coincidenza la mamma, che secondo me patisce il caldo anche lei, inizia a dare di matto sul serio e a rendere impossibile la vita a suo marito. Il quale chiama me a qualsiasi ora per spiegarmi quanto lei dia di matto, ma si rifiuta di chiamare un medico perché guai a disturbare. E guai una bandante perché no. Ovviamente di andarsene in un posto più fresco non se ne parla, perché per lui esistono solo casa sua e la sua casa fuori, entrambe calde mentre il resto costa soldi e guai a spendere benché la sua famiglia sia di condizioni economiche di gran lunga  migliori della mia. 

Il dolore per il peggioramento sensibile della mamma, ridotta a un esserino sconvolto che sta male senza capire ne porter dire il perché né dove trovare sollievo mi atterra già da solo; devo inoltre fare i conti con la continua colpevolizzazione implicita da parte di suo marito che si attende da me non si sa cosa: qualcosa tra l’ infermiera e la badante taumaturgiche con hotel annesso per ogni minuto in cui non sono in ufficio, suppongo. Nel frattempo io devo gestire, come faccio da anni, e come tocca anche a lui con sua moglie, l’addio alla mamma, perché questo è un addio, lunghissimo, straziante, sconvolgente, in cui le generazioni si confondono e si ribaltano, cosa che atterrerebbe chiunque anche senza ulteriori preoccupazioni logistico-materiali. Si comincia con medicine tremende che solo a leggerle vien voglia di scappare urlando.

Nello stesso periodo dell’anno  arriva una scadenza importante dove lavoro, a cui sono chiamata a collaborare, cosa che volentieri faccio, perché mi diverte e perché la persona che dirige la cosa è forse la sola con cui abbia un rapporto di cordiale collaborazione e legame anche personale. Scopro con grande sorpresa e sbigottimento, poi dispiacere e dolore che la persona che conoscevo, con cui avevo già lavorato, che mi ha anche difeso mettendosi a rischio in una circostanza difficile, arrestando così una serie di avvenimenti che avrebbero potuto diventare molto sgradevoli, si sta trasformando in una specie di individuo capriccioso che si diverte, si direbbe, a smontare il lavoro di fronte a tutti. Un atteggiamento assolutamente inedito che mai e poi mai mi sarei aspettata, ma che reiterandosi in vari episodi che non posso raccontare qui, culmina in due momenti talmente spiacevoli e pretestuosi che la nostra relazione professionale e personale ne finisce temo alterata per sempre, malgrado una spiegazione da lei voluta. Sono molto triste per questo, per me è una ferita affettiva prima che di orgoglio, ma quanto accaduto mi ha abbattuto moralmente ben più e più a lungo di quanto pensassi.

La cosa che mi ha deluso e su cui sono riuscita infine a metter un nome è l’idea che per una certa categoria noi non saremo mai altro che dei domestici. Ancora una volta sarà la Francia a soccorrermi per trovare una definizione. Ci si può riconoscere un certo livello intellettuale, offrire persino un attestato formale delle nostre capacità, ma quando e se dimostriamo di poter uscire dalla categoria dei domestici, anche se lo facciamo a servizio del lavoro comune e anche se nemmeno con la bacchetta magica potremmo mai insidiare il loro ruolo e la loro innegabile e meritata supremazia in certe circostanze neanche volendolo - volontà che peraltro non è mai stata il mio caso né il mio desiderio né il mio pensiero - andiamo abbassati, ci va fatto sentire che possiamo essere ridotti a niente se così piace a chi può, senza spiegazioni né motivazioni. E io tutta la vita mi sono trovata in questa situazione, con persone diverse, a cui  avevo affidato la mia fiducia, le mie speranze e talvolta il mio stesso avvenire, per non parlare dell’ammirazione e financo dell’affetto. Ma io ero e sono un domestico e devo dimostrare di non poter esser di più; altrimenti ci penseranno loro a ricordarmelo. Non posso essere troppo simile a loro, è inammissibile, non c’è mica l’eguaglianza a questo mondo. Altrimenti a costoro cosa resta?

Solo a fine giugno riesco a avere qualche ora di respiro: il 29 a Roma è festa. Dopo essere rimasta imbambolata senza riuscire a prendere l’iniziativa per far nulla talmente sono esausta di tutto riesco a proiettarmi fuori di casa sino a Anzio, dove hanno vissuto i miei nonni appena sposati dopo essersi trasferiti a Roma da Milano. Per loro era stato un nido d’amore di cui parlavano sempre con rattenuta tenerezza. Mi tuffo nella spiaggia tra le scogliere, cercando di non vedere l’orrore dei due lidi coperti da ombrelloni e grattacieli e gioco con le onde. Respiro tra la frescura e il mio amato mare, non c’è troppa gente perché è un giorno feriale, sono felice. Felice: no, sono viva e in pace, mi sento esistere e lavare via le ossessioni dopo mesi e mesi. Come se quella fuga di meno di un giorno fosse la sola vera scelta che ho potuto fare negli ultimi mesi. 

Su queste premesse affronto l’estate, calda fin in fondo alle Alpi. Tremila km in due andate e ritorno di dieci giorni ciascuna tra fine luglio e Ferragosto, inframezzate da settimane lavorative e notti in forno. La mamma rifiuta di mettersi la mascherina in qualunque luogo, se non mi vede per un attimo mentre sono in bagno esce dalla stanza o dall’appartamento gridando a squarciagola il mio nome e vagando disperata: tutti mi guardano come la irresponsabile figlia degenere. Solo la padrona di casa di uno dei due luoghi sa cosa vuol dire , ma anche così non le garba troppo il disturbo agli altri pensionanti. In luoghi meravigliosi siamo comunque sotto un clima quasi bollente, perseguitate dai tafani e con la mamma che non vuole più camminare; avanza a passi microscopici da bambino imbronciato e dispettoso, non mangia, neanche le cose di cui era più golosa, e grida tutto il tempo che vuole andare all’ospedale; getta nella pattumiera qualunque cosa mia sua o della casa non riconosca o non le garbi, come un fascio di preziose cartine accumulate nel corso dei decenni e ormai introvabili. Per di più in nessuna delle due case dove siamo riuscite a trovare posto c’è una stanza tutta per me: dormo in cucina, o meglio in quei disgraziati « angoli cottura » che andrebbero banditi per legge. In una di queste dev’esserci qualcosa di annidato nel divano dove dormo: mi risveglio con le gambe sfigurate di punture per quattro notti, finché decido di spostare una poltrona letto attraverso porte che la lasciano passare solo rovesciandola su un fianco, e mettermi lì’: il trasloco dura circa due ore, però le punture miracolosamente si arrestano. Quelle che ho pruderanno per un mese. 

A settembre comunico che partirò per i fatti miei una settimana, ovviamente la cosa è presa con impazienza mal celata dal marito di mia madre che continua a rifiutare una badante, parla malissimo della mia famiglia perché non passa con mia madre il tempo e le ore che lui vorrebbe e dio sa cos’altro ancora. Mi immagino anzi non ho voglia di immaginare cosa dirà di me agli altri, perché insomma è un maldicente e anche alquanto maligno, pur non essendo una persona cattiva, anzi.

Sono talmente oppressa che le vacanze senza la mamma sono di fatto un lungo poltrire stordito senza saper decidere cosa ho voglia di fare nel tentativo di riacquistare equilibrio e recuperare energie; ma dieci giorni sono troppo pochi. Le ferie sono finite e in ogni caso non ho i mezzi per permettermi nulla di più, neanche fuori stagione (grazie moderazione salariale). A Roma settembre è sempre caldissimo: quando esco dall’ufficio presto mi precipito a Anzio, a fare il bagno e guardo il tramonto dalla spiaggia di Enea. Ritorno a notte fonda mangiando un gelato. In casa non si resiste fino a notte inoltrata: come se fosse ancora agosto.

Dalla Francia malgrado precedenti accordi mi hanno comunicato a primavera che la casa non sarà disponibile. Dopo la fine della mia casa solita nel 2019 e la coabitazione con un’alcoolizzata nel 2020, con il rischio che mi sbattesse fuori di casa ad ogni settimana e infine con un ceffone e un’ingiunzione di andarmene su due piedi a tre giorni dalla prevista partenza ho deciso che non voglio più coabitare. Nel 2021 la pandemia ha permesso ancora di trovare a prezzi accettabili, ma ormai sono rincarati ancora di più e la soluzione amichevole che avevo trovato per quest’anno viene disdetta senza tanti complimenti. Andrò a Natale: a settembre compro i biglietti.

A ottobre inizia a fare freddo in ufficio, dove mi sento sempre più impotente malgrado le nuove cose che ho imparato e le idee che ho avuto e vorrei mettere in pratica, mentre fuori è ancora caldo. Anche lì non entra mai il sole, non nella mia stanza. Gli avvenimenti mi hanno fatto ingrassare orrendamente: la forma perfetta che avevo trovato nel lockdown è ormai meno che un ricordo e soprattutto per quanto tenti di stare a dieta in modo serio, non riesco né allora né ora a dimagrire neanche di poco, mentre il peso sta diventando se non obeso in modo patologico di certo eccessivo e imbarazzante. Conservo la silhouette perché ho una corporatura che lo permette, non mi trasformo in un barile ma mi sento sformata, tutti i vestiti che ho non mi entrano o mi stanno male e la moda non aiuta a trovare cose di foggia giusta (leggasi: scollature a ovale o a barchetta, maniche importanti, vita alta e segnata, gonne fluide o attillate in modo giusto, colori graziosi, fibre naturali).  

Nel frattempo arriva la risposta alla domanda di assegno di accompagno: negativa, perché viene giudicata autosufficiente, dato che ancora cammina. Eccerto, che altro, con quella diagnosi? Dobbiamo risparmiare! Il debito pubblico! Cottarelli e Della Vedova che frignano da bravi compari. Ora il marito della mamma si era categoricamente rifiutato di farle rifare le analisi prima di presentare domanda, malgrado le mie insistenze. Adesso fa il sostenuto e affida la cosa a mia zia che lei sì conosce un’associazione che... quattro mesi dopo risulterà che l’associazione è la stessa dove sono già andata io e dove, dopo il rifiuto, mi avevano fissato un appuntamento per il ricorso che lui mi ha fatto disdire protestando che era un’altra cosa rispetto a quanto stava facendo mia zia. Che farà gli stessi passi con due mesi di ritardo. E’ così  sistematicamente per tutto: ogni volta lui viene a piangere che succede qualcosa di catastrofico, ogni volta la sua scelta è di non fare nulla, e se faccio qualcosa io, lui deve sistematicamente sabotarla con ogni mezzo, disdicendo appuntamenti, trascurando visite analisi e controlli fissati da tempo (tra cui quella dermatologica e quella per l’osteoporosi), mettendo in mezzo altre persone e in buona sostanza montando una grande agitazione pur di non far nulla - e non pagare nulla - finché può. Lo spavento che ci ha fatto prendere quest’inverno è nato da un malanno trascurato che è iniziato a settembre e lui ha curato con lo sciroppo, senza dirmi che la mamma aveva la febbre da allora, pur di non andare dai medici. E io mi devo ancora giustificare per quanto non sarei stata capace di fare. Se non fosse che ci va di mezzo la mamma, lo coprirei di insulti e me ne laverei le mani per sempre. Già così ne trascura la salute oltre il livello di guardia e mi impedisce di occuparmene io. L’unica cosa che vuole è il mio tempo libero e quando sono stata male, alla fin fine mi rimproverava di trascurarli.

Devo riprendere la costosissima fisioterapia alla schiena perché mi sento più rigida che mai e ho dolori continui: sono spese significative, un terzo del mio stipendio ogni mese.

Un giorno, dopo esser andata alla fkt ho i brividi, ma non ci faccio caso. Dopo qualche giorno però inizio a tremare e a avere mal di gola. Tutto il giorno fino a sera, quando tornando a casa penso di passare in farmacia. Mi danno il propoli vediamo se funziona. Lo metta ogni due ore, va bene. Tampone? Passi domani. 

L’indomani il tampone segna 0,63.

(Continua)