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Toulouse en érasmienne

martedì 30 aprile 2019

Les tours de Notre-Dame

Ci sarebbe, sorpresa sorpresa, la lesina alla spesa pubblica dietro al mancato reperimento del focolaio d’incendio sotto il tetto di Notre-Dame. Le cronache avevano subito detto che il primo allarme era stato dato dai segnalatori antifumo alle 18 h16. Il servizio di sorveglianza pero’ non aveva trovato il focolaio, rimettendosi tranquillo dopo un giro di perlustrazione. Solo mezz’ora dopo un secondo allarme aveva condotto la sorveglianza nel posto giusto.
Secondo Le Canard Enchaîné la Direzione degli affari culturali del ministero della cultura avrebbe soppresso a partire dal gennaio 2016 la sorveglianza notturna, malgrado fosse prevista dal piano di sicurezza del 2013, e avrebbe poi soppresso il secondo sorvegliante al pc di sicurezza installato nella sacristia. La sorveglianza è stata inoltre affidata a una società privata - IL PRIVATO! QUELLO BRAVO!!! QUELLO EFFICIENTEEEEE!!! QUELLO CHE FA RISPARMIAREEEEEE!!!, la quale, appunto, ha risparmiato sui costi per aumentare i profitti.
La persona sul posto la sera del 15 aprile non conosce l’edificio, perché ci lavora da pochi giorni. Chissà poi con che criterio è stata scelta e come è stata formata. La cattedrale come ognun sa è immensa,e bisogna anche avere una minima familiarità con questo tipo di edifici e le loro parti per orientarcisi.
Ad ogni modo costei visto il segnale luminoso dell’anticendio telefona al sorvegliante della chiesa spiegandogli che il segnale d’allarme riguarda il sottotetto della sacristia, anziché quello della navata. Il sorvegliante della chiesa che è addetto proprio all’anticendio va nel sottotetto sbagliato dove non puo’ trovare un incendio che non c’è. Solo al secondo allarme il sorvegliante della chiesa, accompagnato dall’amministratore della cattedrale riesce a localizzare l’incendio e ad avvertire il dipendente della società privata che infine chiama i pompieri alle 18 h 51, un tetto, quarantacinque minuti, sette secoli e svariati miliardi più tardi.
I dipendenti avevano peraltro tentato di avvisare la società dei rischi: se sono in bagno o in pausa come faccio a sapere che suona l’allarme, si preoccupa uno di loro scrivendo ai suoi resposabili. Inoltre, quando i sorveglianti erano due, a turno facevano il giro dell’edificio per familiarizzarcisi, precauzione divenuta impossibile da quando ce n’è uno solo.
Infine diversamente da Versailles e Orsay Notre-Dame non ha un plotone di pompieri all’interno.
Un altro grande successo degli invasati della spesapubblicabrutta e isoldinonsitrovanosuglialberi, UE, liberismo e porcherie connesse.

Fonte: Christophe Labbé, Hervé Liffran, A Notre-Dame la surveillance incendie ne pétait pas le feu, in Le Canard enchaîné, 30 avril 2019, p. 3

mercoledì 24 aprile 2019

Le peuple de Paris

Convinta che non sia mai il caso di andare a insegnare agli altri cosa debbano fare del proprio destino, comportamento purtroppo quanto mai diffuso di questi tempi, non ho mai voluto dire nulla sulle manifestazioni che da novembre attraversano la Francia ogni sabato e che hanno a lungo presidiato in autunno le strade e i caselli autostradali.
Sono pero’ altrettanto convinta che ci siano dei punti oltre i quali scatti ove che sia un segnale di allarme, e sono quando si toccano in modo massiccio, generalizzato e non casuale le figure di garanzia: medici, giornalisti, fotografi, avvocati. In questo millennio l’Italia ha oltrepassato ferocemente un punto simile durante le disastrose giornate di Genova 2002. Diciassette anni dopo, in Francia, @davduff raccoglie e segnala i casi di maltrattamenti e ferite durante le manifestazioni dei Jaunes. 690 è il bilancio provvisorio che ha dato luogo a 290 denunce verso le forze dell’ordine da parte dei manifestanti. L’ONU ha domandato spiegazioni alla Francia macronista sull’uso eccessivo della forza dispiegato durante le manifestazioni.
Sanguina il cuore per il paese del mio cuore.

Tra i 690 vi sono già 79 casi di giornalisti e trenta di medici volontari che assistono i feriti e i gasati (eggià, con lacrimogeni, urticanti e probabilmente anche gas che tolgono le forze) durante le manifestazioni.

Sabato scorso un fotografo indipendente (cioè precario e non garantito, nel magnifico mondo dell’UE liberista e progressiva votata alla difesa delle rendite tramite la stabilità dei prezzi, di quelli che fanno ormai il lavoro sul terreno dove le testate sempre più raramente mandano gli ormai scarsi propri dipendenti) che lavora da anni per le principali testate francesi, riceve un tiro di granata su un piede, mentre ha appena finito di parlare con il comandante di una squadra di poliziotti. Cerca di protestare, verbalmente, ma non riesce più a parlare con un graduato della squadra. Come si vede sul video dell’agenzia di stampa Hors-Zone, un poliziotto lo spinge via, lui fa un gestaccio e urla qualcosa. Viene fermato per 48 ore « per partecipazione a assembramento con lo scopo di commettere violenze o vandalismo » e « oltraggio a pubblico ufficiale », poi passa davanti al giudice che gli proibisce di partecipare alle manifestazioni del sabato e a quella del Primo maggio fino al processo, fissato per il 18 ottobre. Nel frattempo la prima accusa è caduta, il processo sarà per l’oltraggio. Si tratta, secondo i giornali francesi, di una restrizione alla libertà di stampa e a quella di manifestare. Libertà quest’ultima che molti vedono ormai compromessa, come mostra questo messaggio degli avvocati parigini. Per Glanz è anche un forte danno economico che rischia di fermare per sempre il suo lavoro. associazioni dei giornalisti e redattori di diverse testate hanno firmato una dichiarazione a suo favore.

Il fotografo, Gaspard Glanz, non ha mai negato di essere un professionista con un passato di militante. Segue soprattutto le manifestazioni di strada. Niente di troppo scandaloso in un paese dove esistono cattedre e specialisti di storia delle rivoluzioni senza che cio’ causi soverchio clamore. Ha lavorato in passato durante le manifestazioni contro la « loi travail », l’equivalente del Jobs Act di Renzi, sull’emigrazione dalla Siria, sulla bidonville di Calais, dove migliaia di immigrati, non desiderati in Francia più che in Italia, si erano accampati  per tentare di passare in Inghilterra, e su Notre-Dame des Landes dove la popolazione insieme a altri sostenitori si è a lungo opposta alla costruzione di un aeroporto. In seguito alla denuncia sulla stampa degli incidenti di Place de la Contrescarpe a Parigi durante le manifestazioni del Primo maggio scorso Glanz ha ritrovato diverse immagini di Alexandre Benalla, consigliere personale per la sicurezza di Macron, che partecipava al corteo munito di equipaggiamenti della polizia. Oggi Benalla è accusato di comportamento violento nei confronti dei manifestanti, di non aver restituito passaporti diplomatici cui non avrebbe avuto più diritto e di contatti con uomini d’affari russi sospettati di avere legami con il crimine organizzato.

Ma il problema forse sta altrove. Durante le manifestazioni contro la loi travail, Glanz scorge ripetutamente due sedicenti giornalisti in testa alle manifestazioni. I due sono poliziotti in borghese. Glantz li filma e posta il video, denunciando una violazione della Convenzione di Ginevra del 1987 che protegge la professione di giornalista proibendo di farsi passare per tale. Da allora viene minacciato di morte sulle reti sociali le quali, a loro avviso, non trovano stavolta niente di contrario alle loro regole.
Qualsiasi ipotesi si puo’ avanzare sulla dinamica di quel tiro di granata - quale il rapporto con il graduato con cui aveva finito di parlare? La truppa stava da sola proteggendo « il collega »? Si trattava di un ringraziamento « personale » di qualche amico dei poliziotti in borghese? Si tratta di due storie diverse? Il passato di Glantz non ha niente a che vedere con l’essere stato preso di mira in quel preciso momento?

Oggi sembrano i giornalisti qualsiasi, quelli che trovano difficoltà sul terreno, a essersi mobilitati per lui. Non le grandi firme che paiono piuttosto preoccupate di escludere per un collega qualsiasi possibilità di militanza, pena la perdita dello status di giornalista.


martedì 23 aprile 2019

La catastrofe (psico drammatica) pasquale

Più ci sto in mezzo più mi convinco quanto sia ridicolo, per non dire altro, che ci voglia un’autorizzazione per abortire. Se mai, l’autorizzazione ci vorrebbe per farli i figli, non il contrario.
Non è morto nessuno,  non ci sono feriti fisici, le armi non sono state sfoderate.
Ma la giovane donna perdutamente presa di un uomo che mai fu realmente suo, pur amandola senza dubbio, mai rinuncerà a costruire nella sua mente quella famiglia ortodossa e piena di affetto che non è mai esistita e ad applicare quell’ideale a una  vita reale posteriore di decenni e decenni che non gli corrisponde. Una vita reale in cui fa danno perché crea legami e sentimenti inesistenti alterando la percezione di chi è coinvolto e finendo col pretendere azioni incongrue a partire da presupposti sbagliati:
Madre, lasciami respirare. Tuo marito non mi ama di amore paterno: ama te. A me sta benissimo e a lui pure. Io son felice che lui ti protegga e ti accompagni nella vita dopo una solitudine che non meritavi. Ma basta così. Non si realizzano i sentimenti forzando le situazioni. Io ho dovuto imparalo a spese degli affetti più cari. Tu non ancora?
Sì ho passato Pasque migliori che a far psicodrammi in internazionale.
Sono stremata.
 Voglio la mia vita. Voi due vi siete fatti la vostra, tu e mio padre. Malgrado sua moglie e suo figlio vi siete vissuti il vostro amore che vi appassionava. Fatti vostri, non voglio saperlo.
Adesso tornate nel vostro passato incompiuto, mi avete oppresso abbastanza con la vostra incapacità a risolvere i nodi della vostra vita. Lasciatemi vivere, lasciatemi vivere in pace!

lunedì 22 aprile 2019

La prima

Eccola, sbocciata il giorno di Pasqua:



Se sono già sbocciate deve avere una cour, mi diceva lo scorso anno un appassionato molto intelligente. In effetti è così lei è nata al riparo dei minuscoli giardini che fioriscono qui dietro ai palazzi, in alto sul muro di cinta godendosi i raggi di sole. Quello del vicino trabocca di glicini e rose rosa rampicanti.
La speranza è di vederle fiorire anche la prossima primavera.

lunedì 15 aprile 2019

La più amata

Lei, la bella tra le belle. I pompieri hanno annunciato che la struttura sarebbe salva (22 h 50).
Era la cosa che mi piaceva di più di Parigi, da quando l’ho vista per la prima volta, a tredici anni. Non riuscivo a decidere quale parte preferissi, il fianco, le torri, l’abside, i rosoni. La guglia che non esiste più.
Nel dubbio, facevo collezione di tutte le cartoline esistenti.
Chissà quale Jack si era nascosto sotto al tetto.
Chissà se il coro si salverà.
I magnifici rosoni.
Per fortuna oggi non tira vento come i giorni scorsi. Chissà per quale fortunato gioco di circostanze ha aspettato lunedi’ per bruciare, invece del fine settimana ventoso e gelido come pochi.
Non ero ancora andata a fotografarli con il telefono nuovo, ché la mia macchina non c’era mai riuscita, troppo poca luce. La fila per entrare mi aveva finora scoraggiata.
Ma l’avevo salutata l’altro giorno, tornando a piedi da una biblioteca, svettava nell’aria gelida piena di sole. Avevo un libro recuperato fortunosamente sui quai, di quelli introvabili, il peso mi aveva dissuasa dall’entrare. Tutt’intorno alla guglia una rete di impalcature. Solidissime perché hanno retto più di lei.
La vedevo sempre scendendo dalla montagne. Le passavo sotto tornando dal porto lungo le banchise. Ricordavo serate estive sul barcone che le carezzava il fianco. Attraversavo il suo giardino sotto l’esplosione di fiori della primavera nordica. L’avevo negli occhi quando mi sdraiavo al sole.

Stavolta mi hanno tolto un pezzo di me.

Il tetto non era un semplice “tetto”. La “charpente”, cioè tutta l’armatura in legno che sostiene il tetto, in Francia è una religione. Nei castelli, nei palazzi, nelle chiese è vezzeggiata, restaurata, conservata e mostrata con orgoglio ai visitatori. Indicata nelle guide turistiche. Quella di Notre-Dame risaliva in parte al XIII secolo, in parte ai rifacimenti ottocenteschi di Viollet-le-Duc. Qualcuno ci aveva trovato dei graffiti dei carpentieri o dei visitatori. La sua perdita è sentita e sicuramente molto grave.
Le torri paiono essere per ora fuori dall’incendio. Non si capisce se il soffitto sotto la charpente abbia bene o male retto, proteggendo in parte l’architettura e le sculture sottostanti, oppure no.
Da una foto aerea sembrava un braciere ardente.
Dalle finestre dell’abside non si vedono fiamme, neppure dalle torri. Questo potrebbe voler dire che il soffitto ha bene o male retto. Finora.

22 h 54 I pompieri hanno appena annunciato che la struttura complessiva sarebbe salva, comprese le torri.
Speriamo.

B... uon uomo, quella non è dei cattolici. È dell’umanità.


Diversità culturali

Istruzioni per l’uso: questo post non contiene richieste né inviti di alcun tipo, né espliciti né impliciti. A buon navigante poche parole, ma molta moderazione.

A Parigi c’è qualsiasi creazione umana possa valere la pena di sperimentare, credo, purché si abbiano i soldi necessari. Tuttavia e per fortuna, non sono Abu Dhabi e NON hanno, grazie al cielo, le ‘mmereganate che ricostruiscono finti ambienti naturali al chiuso. O meglio, forse una finta spiaggia con finto mare discreti da qualche parte ci sono, ma non sono pervadenti.
Con la geologia insomma qui non si scende a compromessi e quindi c’è una lamentevole carenza di percorsi con dislivelli accettabili. Il che mi ha obbligato, con zero entusiasmo, a iscrivermi in palestra, ambiente artificiale e odioso quant’altri mai, perché altrimenti la schiena protesta. Poi sono riuscita a farla protestare il doppio, ma questa è un’altra storia. E adesso che sono a riposo forzato, forse per ravvivarmi la memoria, sono decisi a non far soffrire di solitudine la mia casella postale.
Per cui stamani trovo una lista di regole ippocratiche di vita sana, tra il rotocalco e la moda new age, che si conclude con un invito a praticare nella propria vita privata una “sessualità e una sessualità di qualità, con ascolto di sé e dell’altro” perché indispensabile al benessere e appunto alla qualità della vita.
E magari mi sbaglio, ma credo che nella cattobigottafrustrataitalia mai e poi mai capiterebbe di trovare questo tipo di consiglio, tra le cinque porzioni, l’esclusione delle bevande gassate e l’attività fisica regolare, come quella nozione banale e scontata, tutto sommato innocua nel suo banale buonsenso, che in effetti è. Pensate all’orrore dei genitori che dovessero vedere sui cellulari dei figli una notazione simile, e che farebbero immediatamente causa alla palestra. Troppo pessimista? Mah, dato che c’è in giro gente che riesce a credere che nelle pubbliche scuole le maestre non abbiano di meglio da fare che impartire lezioni tecniche di masturbazione ai propri allievi, forse perché hanno avuto la lungimiranza di parlare dell’esistenza della sessualità e delle sue tante innocenti manifestazioni naturali, nulla è impossibile e nulla è più certo.

giovedì 11 aprile 2019

Esperimenti 1

Benché la mia vita e i miei pensieri in questo momento non passino in cucina, non so perché riesco a fermarli nella scrittura soprattutto attorno a questo argomento.
Dopo la lettura di un post di Experimental cook che descrive le sue pasticcerie parigine preferite mi è venuta voglia di verificare sui suoi passi gli esperimenti presentati.
Alcune le conoscevo senza grande entusiasmo (Angelina, dove ti vendono soprattutto il décor ma francamente i dolci lasciano un’impressione di vuoto e per di più tocca pure fare la fila per un’ora nello smog di Rue de Rivoli in mezzo a ‘mmeregani barbàri urlanti che in questo non la cedono ai peninsulari, come dice il mio antico maestro di teatro barocco) altre non avevo mai avuto voglia di provarle perché troppo francamente posticce e insensatamente costose a detta degli stessi Francesi, per cui la gastronomia di lusso è pure tutt’altro che una follia smodata (Ladurée) altre infine erano soprattutto un nome.
Stamattina avevo da fare da quelle parti ecco perché ho deciso di andare a pranzo da Jacques Genin che si trova a poche strade di distanza, con cioccolata e un dolce.

EC lo presenta come il suo favorito, precisando che la cioccolata calda pur molto impegnativa è un’esperienza da non mancare per gli amanti della pasticceria. Il dolce più interessante, una vera passione, è per lei la torta al limone e basilico. Genin nasce in effetti come cioccolatiere e nei suoi negozi vende soprattutto realizzazioni in cioccolato. In Francia l’arte del cioccolatiere è appunto un’arte che non ha paragoni in Italia, come del resto quella assolutamente sbalorditiva della scultura di zucchero - che non c’entra nulla con le decorazioni in pasta da zucchero appunto ‘mmeregana che furoreggiava qualche anno fa. Basti pensare al premio che la Bibliothèque nationale de France ha istituito per gli allievi della scuola alberghiera che si fossero ispirati ai libri di Brillât Savarin in linea sul sito Gallica per realizzare delle torte e sculture in zucchero. La gastronomia e la pasticceria e, i loro autori e la loro produzione editoriale sono parte del patrimonio e della cultura nazionale e vanno jassunti come tali, sì, anche se sono solo ingredienti e calorie o spregevole edonismo elitario - m      dopo una colazione mattutina leggera mi avrebbe permesso di sperimentare anche portate mmmpiuttosto robuste senza soverchia difficoltà.
 direbbe da noi qualcuno ancora convinto della necessità di porre fratture tra la cultura “alta” e tutto il resto. Vanno quindi mantenuti vivi e valorizzati - dal pubblico, non affidandoli al privato, come da noi qualche politico ahimè va spacciando di voler  fare con gli immobili di proprietà appunto pubblica.m

Pranzarci dopo una colazione mattutina leggera mi avrebbe permesso di sperimentare anche portate piuttosto robuste senza soverchia difficoltà.

Tra Marais e République il negozio e sala da thé occupa il piano terra di un immobile antico di forma trapezioidale che si affaccia su un crocicchio alberato. Sul lato corto del trapezio era installata almeno dal 1699 la fontana  detta del ... ora rimossa.
All’interno la sala è arredata sul shabby chic ben fatto e ci credo. Grattare le pareti di un capannone mm industriale permette risultati un po’ diversi da quelli dell’arenaria parigina. Fiori arancioni e mm bianchi tra cui le calle che amo molto ma non eccessivamente lussuosi sui tavoli e alle pareti. Tavolini bassi rétro o finto antico e una scalone elicoidale che porta alle cucine continuano il rimando tra passato e presente vagamente fusion.
Le realizzazioni in cioccolato sono moderne e insolite. Le uova di Pasqua riprendono i colori e le fantasie africane. Si trovano anche scène di fondali marini con conchiglie e coralli, balene e pesci forse rimasti dal 1 aprile.

Per personale cocciutaggine di osservatrice voglio provare la famosa cioccolata. Si tratta di indovinare l’abbinamento con un dolce appropriato. La carta propone oltre alla millefoglie pralinata una torta al caramello e burro salato con miele e noci, la famosa limone e basilico con gelato alla liquirizia e poi una al cioccolato capperi e gelato al cioccolato. Sceglierei quella ma ho paura che sia veramente troppo cioccolato, per cui non amando la praline e trovando stucchevole il caramello al burro salato rimane la limone basilico che ha pure il vantaggio di essere la preferita della EC sui cui passi mi muovo.


Il personale non potrebbe essere più partecipe nello stile dei ristoranti di lusso. Prima di tutto offrono una gelatina al mango e frutto della passione. Sul tavolino bassi arrivano porcellane bianche e bicchieri di bella forma. Offrono anche due cioccolatini perché dopotutto questa è una vetrina per vendere il prodotto principale.

Assaggio. La cioccolata, non nerissima,  è effettivamente molto spessa. Niente di irreparabile per cl’osservatore ancora traumatizzata da qualche  esperienza con Eraclee e dintorni. Finisco il bricco. Con l’aiuto, bisogna dirlo, di un bicchiere di panna montata alla vaniglia. La torta ha un guscio friabile, sottile, non stucchevole. La crema non è la classica crema da torte, piuttosto una variazione fra una chiboust e un budino - almeno a mio parere. La pallina di gelato al vago sapore di liquirizia ha anch’essa la consistenza con un che di gelatinoso più che del nostro gelato che sta su con il freddo e l’aria  e senza molti grassi. Non

I due cioccolatini sono una ganache alla noce che mi fa ricredere sulla mia opinione relativa al pralinato e una misteriosa ganache con una sfumatura tra l’affumicato e il carbone che non riesco assolutamente a definire.

Commento tecnicamente da inesperta direi di livello abuono, medio alto. Dividerei però il giudizio in due. La fantasia sperimentale è riuscita e non eccessiva nel suo lato épater. Diciamo che oltre alla discrezione delal buon gsto gusto, ha sempre presente che chi ha i soldi per permettersi questi consumi èpur sempre anzitutto il bourgeois. I tre gusti stanno bene insieme e si esaltano l’un l’altro. La realizzazione mi convince solo in parte. Malgrado un’indubbia attenzione a far risaltare i sapori di base degli ingredienti. La crema, indipendentemente dalla consistenza è molto zuccherina: ricorda uno sciroppo di limone più che il limone puro: eternaa paura dell’aroma Non addomesticato di un frutto non « sintetico ». Ance la pur ottima panna alla vaniglia li è zuccherata e il sospetto che si tratti di zucchero vanigliato c’è.

Il gelato e la crema sono sodi e sostenuti in maniera piuttosto bizzarra.

Una spiegazione potrebbe stare nella clientela: in due ore che passo li’ dentro, inclusa la scrittura di questo post, sono l’unica francofona, vale a dire l’unica che possa ragionevolmente esprimersi nella lingua locale con l’eccezione di due signore che comprano qualche cioccolatino al banco. La clientela è anglosassone o comunque turistico internazionale. Ora va fatta la tara dell’ora, del quartiere e del giorno feriale, pero’ il mio sospetto è che questo tipo di gusto ricerchi l’approvazione di una clientela abituata appunto a una cucina USA style, carica di grassi e consistenze pappo- remote, per cui un gelato è una via di mezzo tra un buddino e un semifreddo e un gusto pungente diventa accettabile solo se ridotto a uno sciroppo.
Quindi la fantasia nell’ideazione Della preparazione sconta una realizzazione commerciale molto « world » che si appiattisce su una sorta di gusto internazionale a scapito di una originalità locale che viene confinata nella sola ideazione degli abbinamenti avventurosi - ma anch’essi in un certo senso ammessi da questo tipo di gusto.
Alla fine la cosa che mi pare più equilibrata è la gelatina al mango iniziale, non troppo dolce malgrado il tipo di preparazione, e la panna montata alla vaniglia, se non ci fosse quel sospetto sullo zucchero.

Diverso il discorso sui cioccolatini. Quelli francesi sono tutti farciti e piuttosto pesanti. Questi non fanno eccezione, ma sono certamente curiosi (l’affumicato)e intensi (il pralinato alla noce mi fa cambiare idea sulla mia scarsa simpatia per la praline).

Rimane la cuirisità per la torta ai capperi che forse merita una sperimentazione a sé e per dei cioccolatini alla ganache di pompelmo che se non troppo dolce, potrebbe essere riuscita.
Secondo: per chi come mle non puo’ permettersi consumi del genere che molto occasionalmente, il gioco è un elemento essenziale del piacere. Ad esempio non saprei rinunciare al gusto di mangiare la Tortona con le mani dopo averla tagliata in pezzettini. L’apparecchiatura Permette questo ed altro assolvendo al suo ruolo di vetrina. La cosa assolutamente insopportabile è la temperatura glaciale in cui è tenuto il negozio. Ho passato i tre quarti del tempo avvolta nella giacca a vento per ripararli dal freddo che spirava dalle belle pareti di pietra e dalle bocche di areazione. Non oso immaginare come si debbano sentire i commessi in giacca leggera e camicia. E si’ che avevo addosso un maglione di lana non dei più sottili. Questa disattenzione, forse dovuta a un guasto momentaneo, è per me una mancanza grave.

Ora me ne torno a piedi sulla Rive gauche in un bel pomeriggio di sole.

mercoledì 3 aprile 2019

Nei dintorni del cefalo

Post suscitato dalla corrispondenza con Cristina di Poverimabelliebuoni

Il cefalo è stato il primo pesce che ho cominciato ad apprezzare tanti anni fa, quando ho iniziato a mangiarne sistematicamente per motivi dietetici. A casa mia non si usava per la difficoltà di pulirlo e prepararlo. La mamma alla sola idea di pulire un pesce rifuggiva con una smorfia. Una volta in vacanza a Ventotene con mia zia decisero che era giusto comprare del pesce e presero dei pesciolini piccoli, a caso, seguendo il prezzo, perché non abbiamo mai avuto tanti soldi e all’epoca ancora meno, e quindi si cercava di risparmiare in tutto. Penso fossero dei sugherelli, perché mi sembra di ricordare una specie di lisca sul fianco, poi una seconda volta anche dei piccoli scorfani, avevano delle pinne terribili, dure e acuminate ed erano rossi. Insomma, arrivarono con questi pesci, ovviamente non puliti, e siccome non avevano il coraggio di toccarli, obbligarono me a pulirli, perché a loro disgustava e i bambini non si potevano rifiutare di « fare ogni tanto qualcosa ». Ma con cosa? Non sapevano farlo e mi diedero per tutto strumento delle forbicine da unghie mezze sgangherate. Anche a me disgustava, ma non potevo ribellarmi « visto che non fai niente tutto il giorno, per una volta che ti chiediamo qualcosa ». La terza volta che arrivarono con l’involto del mercato pero’ dissi che basta, adesso toccava a loro. Venne messo sotto mio zio, marito di mia zia.
Ora il pesce lo pulisco e con risultati alterni lo sfiletto pure. Più ostico spellarli, ma con le sogliole e i rombi, di sotto e di sopra me la cavo. Tutto sta avere i coltelli giusti: è un utensile che mi piace moltissimo, ho una vera passione per le lame, ma come sempre le cose eccellenti sono troppo costose. Disosso e farcisco polli interi con una certa soddisfazione... mai provato con i conigli, pero’. All’estremo opposto immaginami in barca con il marito di una compagna di scuola e suoi colleghi: fighetti, revisori dei conti, figurati. Insomma, ‘sti qui partono a mo’ di brianzolo con la canna da pesca perché devono fare chissà quali safari e per tutta preda un giorno tirano su un tonno, bellissimo. La povera bestia rimane sdraiata agonizzante sul ponte (ché io non sono vegetariana, ma pietosa si’) e nessuno osa maneggiarne il cadavere. A quel punto, in nome del « se si pesca si mangia » mi faccio avanti io, considerata l’handicap della barca perché non so manovrare le vele (pero’ mi diverto alquanto al timone, specie con un po’ di ondine, ma questa è un’altra storia), viaggio con la valigia di cartone cioé una vecchia valigia della nonna, molto ma molto fuori moda, pero’ a me piace (: e non ho i vestiti firmati fintomarinier, mi dico che è un pesce comodo perché non ha le scaglie e cerco un coltello, senza trovarne di accettabili. Mi porgono un pugnale da sub con tanto di denti su metà della lama con cui sventro, pulisco, faccio trance, davanti a cinque facce impallidite e basite.
Eh, la giungla, datemi la giungla!
P.S.: oggi come oggi, anche qualche capo marinier come il maglione blu abbottonato sulla spalla, purché rigorosamente francese, non lo disprezzerei affatto.