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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

sabato 28 maggio 2022

Tempeste in arrivo

 Sul lavoro ovviamente. In un bicchier d’acqua o molto troppo più incisive, dannose o padroneggiabili, decisive o temporanee, in cui sarò sola o troverò  un improbabile solidarietà presso gente troppo preoccupata della altrui violenza verbale, chissà. Di sicuro in mala fede.

Devo resister fino alla fine dell’anno per poi sperare di riuscire a scappare, ma niente dice che mi daranno il permesso di farlo né troverò dove andare né altre mille cose.

Nel frattempo meglio evitare la tempesta, perché il periodo è breve tutto sommato e mostrare una situazione chiusa è meglio. Come vorrei una raccomandazione - per avere il permesso di uscire da lì del tutto e sul serio, mica per altro, eh. Ma che senso ha rimanere fedeli e attaccati a un luogo dove il primo dovere è paralizzarmi e il secondo tarparmi il cervello? Ma meglio una raccomandazione per andare sperabilmente dove quel che so fare possa essere impiegato per il bene della collettività anziché bloccato per tacitare le ansie patologiche di persone disturbate ma che non si deve disturbare perché « pas de vague », santo cielo.

Tanto la raccomandazione non l’avrò mai, perché non ho niente da dare in cambio se non il mio lavoro e le mie idee. A quanto pare è roba inflazionata di secondaria importanza.

domenica 22 maggio 2022

I passanti

 Ieri mi sono concessa due ore di passeggiata. Avrei voluto comprare un paio di pantaloni leggeri da abbinare a una camicetta con grandi maniche, ma erano finiti.

Tornando a casa vedo un ragazzo fermo in attesa di attraversare. Biondo, pelle cotta dal sole, con l’aria di straniero. Sta lì e non si decide, lasciandomi un po’ perplessa. La strada non è particolarmente pericolosa, né trafficata, così dopo essermi guardata attorno inizio a avanzare sulle strisce. Il tipo mi segue con andatura nervosa e mentre comincio a preoccuparmi mi guarda e fa: « You are very brave » almeno così credo. « Why? » rispondo io perplessa. « These cars are crazy!!! » fa lui. Eh, sapessi. Solo a Ferrara ho visto in Italia le automobili fermarsi, che dico, inchiodare, come anche le biciclette, davanti a qualcuno che vorrebbe attraversare. Non fossi stata brave avrei passato la vita in attesa di attraversare la prima strada che m’è capitata.  

Comunque fa piacere!

La settimana scorsa vado a una proiezione gratuita di un film sui combattenti della guerra di Spagna. Siamo a Trastevere dove sono tornati anche troppo numerosi i turisti. Camminando verso casa passo davanti ai ristoranti di Santa Maria in Trastevere pieni di gente ai tavolini anche se è molto presto. Un bell’uomo distinto, seduto in compagnia di un altro, mi guarda decisamente compiaciuto come chi vede arrivare qualcosa di bello e attraente, ma in modo educato, come si guarda una felice sorpresa. Ho un maglioncino bianco con scollatura a barchetta e un tailleur di lana grigia dall’aria rétro che mi piace molto. Potrei essere uscita da un film degli anni ‘50 e anche il quadro è perfetto.

Comunque fa piacere! 

Messaggi

 Dispiace dover ritornare sempre sugli argomenti meno ameni, ma che farci, la mia vita è così. Ci sarebbe per la verità un nutrito gruppo di medici costosissimi a completare il quadro, dentista in primis, ma facciamo finta che sia « normale » spendere più di uno stipendio per cure di base, perché ovviamente « nonpossimopiùpermettercididaretuttogratisatutti - celochiedel’EUropa »: ditele che s’impicchi: crepare per i ricchi no non ci garba più, si sarebbe risposto una volta.

« Ieri quando hai telefonato ho perso le staffe. Avevo sognato 48 ore da solo, una cena con i miei familiari senza di lei convitato di pietra, che quasi non ha toccato cibo e non guardava in faccia nessuno. Che cena è stata per me! Della salute non me ne faccio niente a queste condizioni. Non posso leggere un libro, lei sta lì  impaziente perché non sa che fare. Non posso scegliere un programma TV, devo pensare a cosa fare e fare da mangiare due volte al giorno (l’aiuto che mi dà lei mi rende più faticosa questa attività) N.B.: ricordiamo che chi scrive queste righe rifiuta categoricamente la sola idea di una badante, caldeggiata da noi tre figli dei due insieme - deo gratias concordi -  che sia per accompagnare in giro la mamma o per aiutare in casa un po’ più a lungo delle due ore settimanali della domestica. (...) La volta alla settimana, e non sempre, che vengono W o Y, che ora si porta anche Z (prole), sto da solo un’ora circa poi devo sorbirmi le solite chiacchiere. Smetto, ci sarebbe ben altro. Per quanto potrò andare avanti? »

 Premessa: accennavo due post fa a un fine settimana fuori con la mamma che stavamo programmando. Il giorno della partenza mi telefona una carissima collega per dirmi che i suoi genitori si sono ammalati entrambi di Covid. Tre giorni prima ci eravamo parlate a lungo animatamente al chiuso senza mascherina. Scema io ventimila volte, che l’ho fatto soprattutto per pressione sociale, perché ormai da me nessuno la mette e io passo per la solita strana. E anche perché a quanto pare continuare a proteggersi può portare svantaggi a lungo andare e finché si è più protetti meglio venire a contatto con il virus, magari in piccole quantità.

Ma loro due sono troppo anziani e lui troppo fisicamente debilitato perché io mi senta di metterlo a rischio passando tre giorni a stretto contatto con sua moglie - la mamma probabilmente ne uscirebbe, lei che, è atroce dirlo, ha meno da perdere oramai, lui no. Non è questione di « salute » come scrive lui, ma di vita. Fare un molecolare è presto e ad ogni modo non avrei il risultato in tempo. Gli antigenici sugli asintomatici (l’unica cosa che ho è un mal di testa atroce che ricorda la prima dose di vaccino) lasciano il tempo che trovano. Son cose che capitano. Seccanti, ma capitano, santo cielo!

Quindi cospargendomi il capo di cenere spiego che bisogna rimandare la cosa, disdico tutto e per fortuna che non mi fanno pagare penali. Sono realmente triste per tutto quanto e cerco di fissare subito una nuova data per il fine settimana del 10 giugno, il primo in cui potrò uscire dall’ufficio presto e partire godendoci anche il pomeriggio. Capisco bene la sua delusione e la sua frustrazione: quando sono con la mamma la mia vita non è diversa dalla sua ed è defatigante, dato che se lui è stanco per la vecchiaia io lo sono fisicamente e mentalmente per il lavoro frustrante e misero cui si somma quello domestico consistente nell’impossibile impresa di tenere ordinata e pulita una casa dove nulla ha un posto perché di posto non ce n’è - non ditemi di buttare i libri, le tovaglie o le pentole, grazie. Capisco meno bene il fatto che lui mi attacchi ogni santa volta come se io facessi le cose per mio capriccio o vantaggio, stavolta dicendomi che lui è depresso e chiudendomi il telefono in faccia: cosa ci avrei guadagnato dedicando un fine settimana al cambio di stagione e alla cucina per i prossimi cinque giorni anziché a una bella gita in luoghi a noi emotivamente vicini lo sa solo lui.

Questo mi infastidisce, ma la cosa che più mi secca e mi mette in difficoltà è il giudizio che lui non cessa implicitamente e spesso esplicitamente di dare sulla mia famiglia di origine che poi sarebbe quella dei parenti di sua moglie. Famiglia che lui ha fatto di tutto per tenere lontana, me compresa. Certo, la vigilia di Natale e il giorno di Pasquetta si andava a casa sua in città e in campagna, e qualche volta J andava a casa in campagna, ma per il resto, stai fuori dalla mia vista. E poi non cessava di recriminare non solo davanti a me, ma pure a sua moglie, quanto gli pesasse incontrare tutti i miei parenti che vedeva due volte l’anno e che lo hanno sempre accolto volentieri e con letizia. L’unica persona che lui apprezzasse era X. Ma ogni santa volta che io entravo in casa sua mi sentivo fuori posto: lui non era mai sereno, sempre impaziente e a disagio sembrava calcolare i minuti perché io me ne andassi. Il che ci poteva anche stare se non fosse che mia madre si sentiva obbligata a non lasciarlo solo per più di un paio d’ore e ogni volta vedersi era un problema di minuti contati, dovuto anche al fatto che loro due abitano a oltre un’ora di distanza dal quartiere mio e di W e Y. Questo mi è pesato molto, per decenni. Di fatto ha sottratto quasi ogni spontaneità al nostro rapporto di madre e figlia. Vedersi era diventato una trattativa e molto spesso lei veniva a pranzare nel mio ufficio mezz’ora per potersi incontrare. 

Ora non voglio raccontarlo per peggio di quello che è. Nelle situazioni gravi lui c’è sempre stato, anche di recente per il concorso, con consigli avveduti, ospitalità e economicamente, cosa quest’ultima che nelle mie condizioni ha sempre contato purtroppo più di quanto volessi. È una persona molto responsabile e previdente, ciò che nella mia famiglia è poco presente... Ma nel quotidiano non va mai bene niente. E non si priva di assestare delle frasi particolarmente cattive che qui non riporto, ma che mi hanno devastato più di una volta, anche se ho fatto di tutto per non fargli capire quanto.

Da un punto di vista pratico esistono solo palliativi, purtroppo, ma qualcosa da fare c’è e relativamente semplice: sarebbe d’aiuto sia avere una badante, sia fare un test RBD per tentare di capire se entrambi hanno in qualche modo risposto al vaccino o niente del tutto, sia accettare di parlare con il neurologo in caso di necessità, come il medico stesso ha richiesto. Infine rivolgersi a un aiuto psicologico per persone che assistono i malati di demenza che hanno anch’esse bisogno di attenzioni e sostegno particolari. Chissà come mai però tutte queste cose non vanno bene, anche se forse la visita periodica con il neurologo sembra intenzionato a fargliela fare. Telefonargli per i momenti di crisi, giammai: tutte le scuse sono buone.

La costante delle sue conversazioni, e forse qui ci avviciniamo al punto, è in un modo o nell’altro quanto sia cattiva mia madre perché «il problema è che non sopporta la mia famiglia » e quanto siano inadeguati i miei parenti settanta-ottantenni che, anche per ragioni economiche, « non hanno la macchina » e « su cui non c’è da contare » e « Tu devi sapere queste cose » riferito alla scenata di mia mamma a sua nipote o ad altri episodi spiacevoli molto personali. Entrambi gli atteggiamenti non mi vanno giù. Cioè, posso capirli, ma non mi va giù che lui venga da me a esternare questi sentimenti, perché anzitutto mi pare il colmo dell’indelicatezza e perché oltretutto ho l’impressione che lui si attenda o voglia provocare in qualche modo un mio giudizio su queste persone, ciò che io non ho nessuna intenzione di fare, men che meno con lui, né in generale, né rispetto alla mamma, né in merito al comportamento degli altri parenti verso una malata di una malattia non facile. Ma, e forse qui è il nocciolo del problema, pur essendo razionalmente convinta della giustezza della mia scelta, non farlo mi fa sentire manchevole, orribilmente manchevole nei suoi confronti, in quelli dell’universo mondo e di me stessa. Come se sprofondassi nel vuoto. On ne refuse rien aux amants de la mère... il faut pas être malpolie, sois sage... même au prix de ton intégrité physique.. souviens-toi... La France m’a sauvée, comment puis-je l’abandonner? Eh, be’, in circostanze del tutto diverse e con altre persone, sto cercando di dire « No », o come sarebbe più appropriato, di non consentire. E di non cedere. Ma questo è difficile, faticosissimo emotivamente, dopo tanti decenni passati a piagarsi nell’angoscia dell’incomprensibile. Oggi per dire, ho passato tre ore su questo post, invece di fare altro di più necessario o piacevole.

Torniamo un attimo a lui: è senza amici, salvo accusare me di rompere con tutti. Non ha allontanato solo i parenti di sua moglie, ché quelli alla fin fine non si scelgono. Ma tutti, chiunque tentasse di avvicinarsi a loro, lui ha sempre lasciato cadere la cosa, spesso lamentandosene come di un’ingerenza insopportabile, una seccatura intollerabile: conoscenti, vicini, amicizie di lunga data, della mamma e pure sue « Non siamo mai soli io e te ». Geloso, possessivo, chiuso, scostante, maldicente, pur con mille altre ammirevoli qualità, avvedutezza, attenzione, responsabilità, affidabilità, capacità professionali. Certo che adesso non sa con chi sfogarsi. Solo la sua famiglia e sua moglie. Solo loro, sempre loro. Suo figlio no perché non chiacchiera, sua figlia si’ perché chiacchiera, i miei parenti no perché sono le « solite chiacchiere », i nipoti si’ ma non vengono mai - hai provato a proporgli di fare questo o quello? - no perché ilcielolalunalenuvole. La mia mamma ne ha sicuramente patito, le sarebbe piaciuto avere una vita sociale di coppia dopo decenni di solitudine. Ma anche basta, con tutta la buona volontà di dare una mano, non ne voglio patire io.

À essere sincera, io pure detesto cordialmente sua figlia, perché la trovo falsa, manipolatrice, ipocrita, molto attenta al proprio interesse facendo finta di prendersi cura dell’universo mondo, prepotente, vacua, soffocantemente perbenista e conformista nella sua omologazione imbellettata di anticonformismo. La poveretta riunisce praticamente tutto quello che io aborro nelle persone. La evito accuratamente, certo e se dobbiamo stare insieme in occasioni sociali mi piazzo all’altro capo della stanza e guardo nella direzione opposta. Soprattutto da quando, a quattr’occhi, mi aggredi’ in maniera inaccettabile sulla questione della badante, come se fosse in qualche modo una decisione mia o della mamma e come se, in ogni caso, certe maniere fossero giustificate. Discuti con tuo padre, piuttosto e ad ogni modo prima di urlare informati, o almeno chiedi scusa alla fine. Macché. Poi, mielosa, davanti ai nostri genitori miagola melensa: « Ma ti accompagno io a casa, non vuoi? Proprio non vuoi?» « No. Grazie, no.».  Da allora, un ciao è fin troppo. Ma mi guardo bene di andare a soffiare un fiato in merito a chiunque! Magari si vedrà, ma si può sempre aver visto male ;-P.

Per fortuna invece con suo figlio le cose stanno molto diversamente e ho stima di lui, mi piacciono sua moglie e le loro figlie. Speriamo che questo non cambi! Perché ci tengo davvero.


venerdì 20 maggio 2022

Frutta e verdura: cicoria e nespole

 Tra pasticci familiari e seccature lavorative mi sono guadagnata il mal di testa del decennio. Dovrei partire con la mamma per un fine settimana nei luoghi delle nostre vacanze della mia infanzia. Speriamo bene (vedi post precedente). Poche parole per l’appuntamento di oggi.

Riso nespole e cicoria

appena letto che il tema comprendeva la frutta ho pensato a un risotto fragole e tonno. Il tema completo però era frutta e verdura di stagione, non solo frutta. Metterci una verdura però l’avrebbe snaturato e poi a me il pesce continua a piacere marinato, semicrudo o al massimo al vapore.

Non mi sentivo da risotto fresco e delicato, prettamente primaverile. Né volevo usare i legumi freschi ché non sono propriamente verdura. Così ho optato per qualcosa di più corsé. Come sempre l’idea mi piace ma la realizzazione mi lascia un po’ incerta. Nel frattempo mi sto accorgendo di quanto l’attesa tra messa nel piatto e scatto della foto possa compromettere l’aspetto di una mantecatura magari non eccelsa ma comunque decente. Pazienza. 

Avrei bisogno di lezioni di tecnica non tanto del risotto, ma di cotture in generale: come realizzare bene un abbinamento che ho in testa, è qualcosa che va al di là delle normali capacità casalinghe.

Comunque eccolo qui.

1 pugno di cicorino 

2 pugni di riso

Nespole a piacere

Olio

Burro

Parmigiano

Brodo di carne sgrassato (anche di ossa di pollo, ma deve avere un gusto un po’ rotondo)

Vino bianco

1 spicchio di aglio

Scavare a palline un paio di nespole e metterle  nel congelatore. Soffriggere lo spicchio di aglio, unire la cicoria appena sbollentata e tagliuzzata, poi il riso. Sfumare e unire le altre nespole tagliate a lamelle. cuocere con il brodo bollente.

Mantecare con burro e parmigiano. Nel piatto unire le palline di nespole.




Sarà efficace contro il mal di testa? :-P Lo spererei tanto!

venerdì 13 maggio 2022

E insomma

 Lavoro: ramanzina a me per via dell’inciviltà altrui. Senso di nausea e voglia di vomitare per il paternalismo ipocrita in cui sono costretta a vivere - fosse solo quello. 

Casa: doveva venire un vicino per un micro lavoretto, non s’è visto.

Programma: spediti i vecchietti in campagna, rassettare casa e prendermi un po’ di tempo per me. Progettare il prossimo fine settimana a Gaeta con la mamma, dove andavamo in vacanza quando ero piccola e dove non siamo poi mai più tornate.

Tre quanti d’ora fa, mentre sto postando il brano precedente ché sono in ritardo, chiama il marito della mamma, affranto. Lei si è scagliata contro una delle sue nipoti, una ragazzina simpatica e gentile, ospite del nonno per la notte, urlandole ingiurie e insulti di cui « puttana » era il più ricorrente. Premetto che mia mamma non ha mai usato la parola in questione in mia presenza neanche rivolta a terzi e ha sempre avuto come tutta la mia famiglia un vocabolario più che castigato, una parola volgare le sarà scappata forse quattro volte nell’arco dei decennni. Giovedì erano andati a fare una visita medica di controllo, con una donna, ma la mamma è ormai in fase di negazione assoluta della sua malattia, e dopo un momento in cui non voleva prendere le medicine, adesso non accetta più di vedere i medici. Probabilmente il suo sfogo era contro questa donna che aveva dovuto vedere senza volerlo, e la paura che la coscienza tutta particolare della malattia che può avere una persona con quella patologia le provoca.

Lui mi chiama disperato, ma come ogni volta che dopo averlo ascoltato sfogarsi gli dico di chiamare il neurologo, trova mille scuse per non farlo. Le ha ridotto di testa sua la terapia che il neurologo le ha dato e se lo chiamo io, il medico ovviamente chiede di parlare con lui. E lui non lo fa a nessun costo. Però poi piange che non ce la fa più, il che è vero e giustificato, ma non vuole una badante a nessun costo né dare retta a un medico.

Io mi sento in colpa per motivi indecifrabili e sovrapposti, ma vorrei solo andarmene da una situazione del genere. E vorrei anche parlare con la ragazzina per scusarmi e perché avendo vissuto da piccola scene insensate, so che non deve patirne lei senza che nessuno le dica una parola. Ho chiesto a lui di mandarmi il suo telefono perché non ce l’ho, ma ovviamente lui non me lo dà, perché nella sua testa e nella sua famiglia meno le persone comunicano tra loro meglio è.

Insomma: se avessi un lavoro decente e una situazione economica migliore, che mi permettessero una vita più soddisfacente e confortevole, con qualche svago vero, forse affronterei questa situazione con maggiore serenità. Così come stanno le cose, dovendo sforzarmi per cinque giorni di non urlare fino a far crollare i muri dell’ufficio seppellendoci sotto tutta la dirigenza con annessi e connessi, l’idea che il fine settimana diventi un tour de force perpetuo mi fa venire voglia di buttarmi dalla finestra per non dover più sentire cose insensate né affrontare problemi che non ho i mezzi di risolvere. Scriveva Musatti che buttarsi dall’alto è un modo di esprimere la volontà di annullare il mondo.

Replica del risotto in cerca di miglioramento

 Davanti al tema dei prodotti regionali ho chiesto a Cristina come migliorare il risotto fave e pecorino. Il pecorino romano saporito e friabile è infatti un prodotto caratteristico del Lazio e l’abbinamento con le fave un classico del mese di maggio, come scrivevo nello scorso post.

Avrei voluto che si sentisse di più il sapore delle fave. Il risultato è in evoluzione: la cosa che mi ha convinto di più sono le erbe su suo consiglio aggiunte separatamente le une dalle altre alla fine.



Riso fave e pecorino romano

2 pugni di riso

Fave fresche sbucciate a crudo, in abbondanza

Un pezzetto di porro

Menta, basilico, prezzemolo

Pecorino romano autentico, in abbondanza

Vino bianco

Olio EVO

Pestare le fave nel mortaio a crudo, unire le erbe e pestare tutto.

Tritare finemente il porro, soffriggere con olio, unire il riso, sfumare con il vino bianco.

Cuocere con acqua.

Alla fine unire le fave.

Mantecare con olio e unire ancora le erbe stavolta solo sfogliate.

Cospargere con abbondante neve di pecorino, grattugiato e a scagliette.