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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

venerdì 16 dicembre 2022

Piangere al cinema

 Non mi viene mai. Due eccezioni: la fine de L’attimo fuggente, quando gli studenti, in un chiaro preludio del’68, salgono sui banchi molto determinati a difendere il loro insegnante e la propria curiosità intellettuale e di vita opponendosi alla brutale e ottusa dirigenza del college, e la fine de Il caso Spotlight, quando i camion carichi delle copie del Boston globe partono per diffondere nelle edicole il numero del giornale dedicato alla copertura data dalla santa madre ai preti pedofili durante almeno la seconda metà del XX secolo.

Sono entrambi due finali e non sono del tutto negativi, anzi, sono liberatori. Sono anche due immagini di rivolta e ribellione di gruppo e vincenti all’ingiustizia e all’oppressione.  

Abito a poca distanza dalla sontuosa basilica dove Woytila, si’, il caro santo, accolse il cardinale Law dopo che lo scandalo lo forzo’ a lasciare Boston, dandogli il titolo di Santa Maria Maggiore. La chiesa è magnifica, ma entrarci richiede uno sforzo.

mercoledì 7 dicembre 2022

S

 Sono un po’stanca.

Tipo un uovo caduto da crudo su un piano più duro.

Il mancato scatto di stipendio rinviato sine die mi ha molto abbattuto: volevo iniziare le pratiche del trasferimento subito dopo e invece non ci sono prospettive.

Poi arriva la polmonite.

Il braccio tirato d corde taglienti come acciaio.

Gridare di dolore per infilare un maglione, io che stupivo un intero studio di FKT per la mia soglia altissima del dolore. Dolore tutto il giorno in qualsiasi posizione, sotto cortisone.

La prospettiva di restare nello stesso posto in perpetuo.

Sentirsi esausta per il minimo sforzo fisico.

Non respirare, spenzolarsi fuori dalla finestra per trovare aria.

Vedere ogni tentativo faticosamente perseguito e cercato di migliorare la mia posizione lavorativa ed economica svanire a un passo più senza orizzonte.

Esser sull’orlo delle lacrime senza avere l’energia di piangere.

Il marito di mia madre che mi incalza ogni giorno, velenoso e letale, facendomi sentire un mostro degenere: « Quanti giorni di malattia ti hanno dato ancora? » perché devo precipitarmi là con un’ora e mezzo di metro come se fossi fresca come una rosa a portare in giro mia madre fuori di casa perché lui non la sopporta più tutto il giorno, ai miei parenti non vuole chiedere niente perché non gli garbano, mentre io riesco a fatica a camminare per cento metri e anelo a qualcosa di bello fatto in modo calmo e che ristori me, anzitutto e non perché tirata da un altro. Badante no, eh, sia mai! Io voglio bene a mia madre. Desidero passare del tempo con lei. Magari portarle un dolce fatto in casa. Programmare la decorazione dell’albero di Natale che lei ama fare come quando ero piccola e farlo insieme. Ma non sopporto di essere considerata da suo marito una turnista da sollecitare con aria scontenta perché non risponde presente ogni minuto in cui non lavora non perché ci sia un’urgenza, ma perché lui non ha voglia di chiamare un aiuto neanche qualche ora a settimana. E adesso, dopo cinquantaquattro giorni di malattia, ho bisogno di riprendermi anche facendo qualcosa solo per me stessa. Eppure mi ha vista cadere quasi per terra poche settimane fa!

Mi sento spegnermi e vorrei tanto ridere.  

Mi hanno chiesto un articolo per una bella rivista: non riesco neanche a connettere un germe di proposta. D’accordo per me il tema libero è sempre stato difficile, ma qui va oltre.

E quest’anno sono in Italia per la prima volta dal 2009 non posso nemmeno ascoltare l’inaugurazione  della Scala perché in casa mia radio 3 non prende e non essendo abbonata alla TV che neanche possiedo non mi connetto su internet. Boris non è certo tra le mie opere preferite ma l’avrei ascoltato lo stesso, non fosse che dopo le follie di questa primavera in cui si volevano censurare gli autori russi e chiunque ne parlasse, andrebbe mandato a reti unificate per tre mesi. L’interruzione di questa bella tradizione mi infastidisce parecchio, mi avrebbe distratto.

Non ne posso più.

Aiuto.

sabato 3 dicembre 2022

Corona e lucette

 Per la prima volta ho comprato una corona natalizia. Cinese, ovvio, ma piuttosto di bell’apparenza. Verde, palline rosso satinato, foglie dorate. Per anni ho sognato di farla da me, amerei creare composizioni e decorazioni naturali e naturalmente profumate, ma con mio gran dispiacere non ho mai trovato gli arnesi giusti per fissare i rami e i frutti. 

Avevo voglia di uno sbrilluccichio e di festa, di Natale mentre il diluvio non si arresta e io sono chiusa in casa con la polmonite - in via di risoluzione apparentemente - a lottare contro le regole dell’INPS (dipendenti pubblici sospetti anche nel fine settimana, guai se ti viene sonno durante tutto il giorno e sei da sola) e l’ottusità sul lavoro da dove con malcelata soddisfazione ti comunicano che i turni che hai chiesto e che poi saresti la sola a fare senza togliere niente a nessuno “non si possono dare per contratto” vale a dire un regolamento interno contorto e malfatto dovuto alla mediocrità incapace, cavillosa, insicura e presuntuosa della dirigenza. Dio come detesto fino alla nausea la meschinità stizzosa che si crede fuuurrrrbaaa e che per sua essenza sa controllare solo sulle quisquilie stupide. Cipolla dove sei.

Come nel lockdown quando non ero malata, sto molto meglio fuori di lì. Stavolta sono malata sul serio e soddisfatta comunque di stare lontano da quel luogo, mezza scassata e squassata dalla tosse, dolorante da urlare letteralmente nelle articolazioni, ma preferisco ancora così al dover stare in quel luogo da dove non posso andarmene perché un trasferimento non me lo concederanno mai. Gli servo sottoinquadrata, sottoutilizzata, ogni avvenire precluso, ma guai se chiedo di andarmene, come tutti quelli che si trovano nella mia situazione, non è una questione personale, anche se l’episodio odierno rappresenta una soddisfazione meschina e malcelata da parte di qualcuno perché sono stata malata piuttosto a lungo e quindi faccio stridere l’insieme complessivo. Che spreco, prendersela con una malattia di qualche settimana per poi non darmi i mezzi per lavorare quando ci sono e vorrei agire come dovrei e so fare. 

Non ho la forza di articolare ragionamenti più complessi, ma sono convinta che questo punto sia cruciale.

Poi ci sono le lucette cinesi comprate il primo anno che sono arrivata qui. Sono un globo rosso che emana una luce rasserenante e assolutamente infotografabile da accesa senza fare discoteca equivoca, mentre dal vivo è molto dolce e calma. Ieri sera dopo gli spiacevoli scambi di cui sopra mi sono rasserenata cenando solo alla sua luce. 

Oggi ho spedito via PEC (ansia!) un’altra domanda di concorso, uno dei pochissimi adatti che escono, un solo posto ovviamente già assegnato a qualche precario o facente funzione da anni. Già, perché ormai i concorsi di un certo tipo sono in realtà sanatorie di situazioni distorte durate per lustri, il che rende impossibile agli esterni partecipare con qualche speranza. Non si dovrebbero semplicemente creare situazioni del genere: se c’è bisogno di un profilo lo si cerca regolarmente con concorso, senza aprire posizioni che poi andranno sanate. Già, ma siccome mammà UE dice che bisogna ridurre il numero dei dipendenti pubblici e tutti in coro a applaudire e fustigarci, o a fare tante belle aziende in house o rivolgerci a “gli operatori economici” degli schiavi, anche le amministrazioni più serie spesso non hanno altra scelta che bloccare per anni le carriere dei non più giovani e non aprire mai veri posti di lavoro di livello appropriato agli esterni. Solo che io sono stanca. La situazione della mamma e ancor più la pressione continua di suo marito, che aspetta il week-end quando io sospiro per tirare il fiato, per piombarmi addosso come un avvoltoio perché io lo dedichi a lei, mi stanno prosciugando totalmente e il lavoro non è di alcun aiuto per staccare da questo pensiero. Io rimango senza risorse per concentrarmi davvero su qualunque cosa, dai compiti casalinghi agli hobby allo studio e alla scrittura che avrebbero bisogno di tempo, concentrazione e tranquillità. Ho pensato che questa malattia fosse una vacanza che il mio corpo o meglio ancora il mio spirito mi imponeva perché razionalmente e logisticamente non ero capace di dargliela da anni. Ma il dolore fisico è stato ed è così forte da impedire una reale distensione.

Devo solo trovare la forza fisica e mentale di studiare, mentre non riesco neanche a riordinare la casa per il dolore alle braccia. Se non altro mi sarò riposata un po’. 



Che brutte foto, se non altro perché dietro c’è il bordello. Auff. Torno ad abbattermi sul letto.