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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

mercoledì 22 dicembre 2010

Stefano non mi risponderà più







gni tanto ci sentivamo anche dalla Francia.

(Avevamo persino lo stesso gestore, non molto diffuso).


Era capace di mandarti da un capo all'altro della terra con qualsiasi mezzo di trasporto. Quanto a lui, preferiva l'autobus, il più economico. A volte prendeva l'aereo, quando non metteva a repentaglio il suo calcolatissimo bilancio. Era molto soddisfatto del suo camper. Per comprarlo, di seconda mano, aveva rimandato l'acquisto della casa. Viveva in pochi metri quadrati, ma una delle prime cose che ci aveva messo era il pianoforte nuovo comprato per la sua donna. Una delle pochissime persone per le quali il motto "nella buona e nella cattiva sorte" è una regola di vita. Non ne ho incontrate molte. Coerente e coraggioso nelle sue scelte, a volte molto lontane dalle mie, grande viaggiatore. Lacrimoni sul tavolo della Réserve della BNF, col rischio di innaffiare qualche giuntina. Non va affatto bene.
Perdere un amico vuol dire perdere qualcuno che pensa che il mondo è un posto più interessante e migliore perché ci sei tu, e te lo fa capire. Vuol dire anche sentirsi soli. Perderlo così, vuol dire non riuscire nemmeno a concepire che quel che è successo sia reale. Era in macchina, con la sua giovanissima e brunissima moglie incontrata a Tbilisi al volante. La macchina non cammina, si accostano al lato della strada. Sempre razionale e disciplinato, aveva la cintura di sicurezza allacciata. Qualcuno li ha investiti in pieno, da dietro. Stefano non si è più svegliato, è morto ieri sera, dopo una settimana, il cervello pieno di sangue, nel giorno del solstizio d'inverno. Un giorno non qualunque, per un laureato in astronomia... Lei ha riaperto gli occhi all'ospedale, le stavano tagliando (sic) i vestiti da dosso. Non si ricorda nulla. Stamattina al telefono aveva la voce di una bambina col magone. Due giorni dopo l'incidente avrebbero festeggiato cinque anni di matrimonio. Un abbraccio fortissimo.

La foto di Beetlejuice risale al 2004 ed è stata fatta da Hubble. Dovrebbe essere sul sito della Nasa, ma sono riusicta a trovarla solo su wikipedia, voce "star".
Avrebbe dovuto fare da capolettera alla parola "ogni" che apre il post. Purtroppo non riesco a manovrare il layout in maniera da non fare appiccicare il testo all'immagine se è posta a sinistra e di evitare il salto delle righe dopo la foto. Lunga è la strada dell'editoria elettronica...

domenica 19 dicembre 2010

Bibliotecari necessari a Sala Borsa

La nuova canzone di Daniele Silvestri



mi sembra il migliore commento alla storia dei bibliotecari necessari di Bologna. Come raccontano qui (peccato che il sito non sia proprio l'optimum della leggibilità), in questi giorni si stanno definendo i tagli al servizio per il prossimo anno. Chiusura della grande biblioteca pubblica bolognese di Sala Borsa il lunedì - la domenica è già chiusa - probabili riduzioni dell'orario di apertura anche per le altre biblioteche pubbliche bolognesi. Sala Borsa è una biblioteca particolare, un punto di riferimento per tantissime persone. C'è chi ci ambienta dei racconti. Per molti dei bibliotecari che sono precari e lavorano tramite la cooperativa Working la chiusura significa una riduzione dell'orario lavorativo del 25% e ovviamente una riduzione dello stipendio. Significa inoltre riduzione dell'orario dedicato a lavori che fanno quando la biblioteca è chiusa (così ha deciso il committente), come la ricollocazione dei libri sugli scaffali (stiamo parlando di una biblioteca che effettua 2500 prestiti al giorno) e che adesso andranno svolti in minor tempo - mezz'ora raccontano i bibliotecari. Grazie alla facilità di modificare i contratti di lavoro del personale esternalizzato, la sempre vantata - anche nei manuali di biblioteconomia - "razionalizzazione delle spese" si traduce così in una mera riduzione dell'orario di lavoro e nell'intensificarsi dei ritmi del medesimo.
L'alternativa strategica dei bibliotecari necessari propone invece un ragionamento complessivo sulla politica bibliotecaria e in senso più lato, culturale. I finanziamenti per la cultura vanno, ovviamente, aumentati, rientrando in un capitolo di bilancio senza essere delegati a interventi sporadici e volontaristici di fondazioni o privati. A loro volta gli aumenti devono essere utilizzati per potenziare e migliorare strutture e servizi esistenti, quindi quelli di base, costantemente utilizzati da tutti i lettori. Assolutamente da evitare che le risorse siano adoperate per i cosiddetti "eventi" o per nuove strutture delle quali non si può garantire il funzionamento a lungo termine e magari non si sono nemmeno pianificate le funzioni in temini di politica culturale del territorio. Proprio in una prospettiva di valorizzazione delle strutture e dei servizi che io chiamerei "quotidiani", che reggono nella realtà il peso delle esigenze informative e culturali dei cittadini, cioè, quando si tratta di biblioteche, le loro richieste di informazione, cultura, studio e svago, si deve puntare a una stabilizzazione del personale precario, dato che questi bisogni non solo non si comprimono a fisarmonica, ma andrebbero come ogni buon bibliotecario sa, portati alla luce e indirizzati verso le biblioteche (per dirla in marchettese, promossi).
"Ah, ma la cultura non si mangia", dice qualcuno.
Provate l'ignoranza.

sabato 18 dicembre 2010

Un 14 dicembre

Mi aspettavo un giorno di lezioni come tanti altri, con momenti interessanti, altri meno. Ci sono stati in effetti, ma c'è stato anche molto altro.
Non mi sono ancora ripresa. Dall'effetto di sentire tutti gli altri parlare di tutto tranne che di quello che ci stava succedendo intorno e che prepara il nostro non-futuro, mentre un elicottero volava sopra la nostra testa in lunghi insistenti giri. Ah sì, alla fine qualche raccomandazione sulle strade da evitare rimandata dall'uno all'altro. Raramente avrei voluto essere, anzi ero, altrove come in quelle ore in cui, da bravi, "facevamo lezione". Ho orrore di questo paese. E di questa sua gente pure.

Oggi mi sento così

Avevo aperto il blog per scriverci tutt'altro. Ma poi lo scambio di lettere con un amico mi ha fatto andare a pesca nella rete e ho deciso di postare una vecchia canzone. .

domenica 5 dicembre 2010

Wikileaks risorsa autorevole?

Io non sono riuscita a entrare in Wikileaks. Volevo vedere come era organizzata la banca dati. Ma non ce l'ho fatta.

Come tanti, credo, anche io mi chiedo a cosa serva questa valanga di documenti improvvisamente accessibili su Wikileaks. Un grande favore fatto agli storici, ai documentalisti, ai catalogatori di RER open access? Magari! Cercate il bibliotecario di reference ;-). Non concedereste i vostri favori a chi vi mette a disposizione tanto bel materiale? Sul serio, chi altri se non queste categorie potrebbero andare in estasi per una simile massa di risorse finalmente - per quanto? accessibile? E quante disquisizioni sull'autorevolezza di queste fonti potremmo fare? Come facciamo a sapere se un documento del Dipartimento di stato ha proprio quella filigrana lì?
Che i diplomatici mandino rapporti più o meno riservati ai loro governi sui temi di loro interesse, come soldi, punti deboli, amicizie pericolose di amici e alleati, noi poi lo sappiamo da qualche secolo. Quegli inutili parassiti degli storici ci hanno permesso di dare un'occhiata persino ai dispacci segreti degli ambasciatori veneziani, già a partire dal XVI secolo (se cercate su SBN qui ne trovate molte di più).
Operazioni di questa portata fatte oggi da un pirata più o meno solitario? Mah. E a che scopo? Il rumore stesso dovuto alla mole di dati soffoca le informazioni circostanziate. Qui non siamo all'inchiodare gli USA alle responsabilità della guerra irachena. E' allo stesso tempo molto di più e molto meno utile, perché non sembra avere uno scopo preciso rivolto a illuminare un fatto preciso, se non dimostrare la vulnerabilità dell'odierna amministrazione USA. Che appunto sgocciola.
L'intervista di Peacereporter all'hacker H@rlock PeaceReporter - SmokyLeaks è il primo tentativo che leggo di proporre una interpretazione più approfondita. Non moltissimo a dire il vero. Non mi convince l'ipotesi che tutto ciò distragga dalla crisi mondiale, mi pare una lettura troppo generica e pure noiosa - sulla falsariga del "fedeli alla linea del complotto del capitale". Meglio il resto dell'intervista. Se dovessi avanzare un'ipotesi, a me sembra un gigantesco regolamento di conti tra pezzi dell'amministrazione USA e stati esteri. Se c'è qualcuno o qualcosa di certo colpito dalle rivelazioni è il Dipartimento di stato e il segretario del medesimo, Rodham. Dopo essersi concessi un tuffo nella massa di informazione a mo' di fontana di cioccolato, - ma quanti davvero l'hanno fatto tra i non addetti ai lavori? soprattutto quanti sono davvero riusciti a contattare quel sito? ci sarebbe da capire di più sul cui prodest, a questo punto.
Sì, c'è del lavoro per te ;-).

venerdì 22 ottobre 2010

E' legge

Coem al solito devo piratare un intero articolo, che fra sette gionri non sarà più visibile: :-( e con pessime notizie, perdipiù.

Massimo Roccella
Ingiustizia è fatta
Il Parlamento ha approvato il «collegato lavoro» la legge che Napolitano aveva rimandato alle Camere
A fronte di una situazione sociale di gravità estrema (disoccupazione crescente, redditi reali calanti), governo e maggioranza sono tornati ad occuparsi delle questioni del lavoro nei termini a loro più consueti: con l'approvazione definitiva di una legge che porterà nuovi e gravi elementi di squilibrio fra imprese e lavoratori, a tutto svantaggio di quest'ultimi. Dopo essere stato rinviato alle camere dal Presidente della repubblica, il famigerato Collegato lavoro è ormai pronto a dispiegare i suoi effetti. Rispetto alla versione iniziale il testo presenta qualche miglioramento: il che, peraltro, non impedisce di coglierne l'obiettivo di fondo, riconoscibile nel tentativo di circoscrivere gli spazi della giurisdizione ordinaria, rendendo per i lavoratori più difficile e incerta la possibilità di far valere in sede giudiziaria la lesione dei propri diritti.
Resta vero, comunque, che tale obiettivo risulta perseguito con norme di diverso grado di pericolosità. La nuova disciplina della certificazione dei contratti di lavoro, che tanti allarmi ha suscitato, rappresenta, a ben vedere, null'altro che un ballon d'essai. Una volta che il giudice abbia accertato che nel contratto di lavoro certificato le parti hanno voluto inserire clausole contrastanti con norme inderogabili di legge e contratto collettivo, infatti, niente potrà impedirgli di dichiararne la conseguente nullità; né egli potrà sentirsi costretto a considerare legittimo un licenziamento per il mero fatto che nel contratto collettivo o, peggio ancora, nel contratto individuale certificato vengano considerati come giusta causa o giustificato motivo dello stesso comportamenti di rilievo irrisorio (un ritardo di pochi minuti nel presentarsi sul posto di lavoro, per fare un esempio, resta un comportamento di limitatissimo rilievo disciplinare, che nessun contratto certificato potrà legittimamente far rientrare nelle nozioni legali di giusta causa o giustificato motivo).
La nuova disciplina dell'arbitrato d'equità (che, stando alle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto consentire di destabilizzare radicalmente l'impianto del diritto del lavoro, legittimando gli arbitri a decidere secondo propri, soggettivi criteri di giustizia e, ciò che più conta, senza tener conto di norme inderogabili di legge e contratto collettivo) è stata significativamente ridimensionata. L'accordo fra le parti (ovvero la clausola compromissoria), che costituisce il presupposto della procedura arbitrale, non potrà riguardare le controversie in materia di licenziamento. In secondo luogo è stato precisato che il collegio arbitrale, per quanto d'equità, dovrà giudicare non più soltanto nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, ma anche dei principi regolatori della materia: fra i quali notoriamente rientra il carattere normalmente inderogabile della norma di legge lavoristica e delle clausole dei contratti collettivi. Lo spazio dell'arbitrato d'equità sembrerebbe ridotto all'osso. Ciò non toglie che, su una materia così delicata, sono state scritte norme confuse e pasticciate, foriere di un'infinità di controversie interpretative ed applicative, che nuoceranno ai lavoratori, ma, a ben vedere, alle stesse imprese. Né si può sottacere che non basta aver stabilito che la clausola compromissoria non possa essere stipulata prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, oppure almeno trenta giorni dopo la stipulazione del contratto in tutti gli altri casi, per far venir meno il carattere sostanzialmente obbligatorio dell'arbitrato, che continua a renderne la disciplina fortemente sospetta di illegittimità costituzionale. Soltanto ragionando in termini astratti e formalistici, infatti, si potrebbe sostenere che nella fase iniziale del rapporto i lavoratori (soprattutto quelli delle piccole imprese e gli assunti con contratti precari) potrebbero manifestare liberamente il proprio consenso alla rinuncia alla giustizia ordinaria in favore di quella arbitrale.
Le disposizioni più pericolose, anche per il loro carattere immediatamente operativo (quelle sull'arbitrato necessitano il previo raggiungimento di un'intesa fra le parti sociali), sono quelle che subordinano al rispetto di drastici termini di decadenza la possibilità di agire in giudizio. Non ha ottenuto alcun ascolto l'obiezione che la norma, che impone ai lavoratori precari (a termine, interinali, a progetto) di rispettare un breve termine di sessanta giorni per contestare la legittimità della cessazione del proprio contratto di lavoro, nella pratica si tradurrà in una sanatoria preventiva degli abusi: stante la notoria riluttanza di questi lavoratori ad attivarsi tempestivamente, nella speranza di non compromettere una nuova assunzione. L'aspetto più inaccettabile delle nuove regole va comunque visto nella forfettizzazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore che si sia visto riconoscere l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Sino ad oggi il risarcimento andava ragguagliato in misura integrale alle retribuzioni perdute per effetto dell'illegittima cessazione del rapporto di lavoro; d'ora in poi andrà liquidato fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione, indipendentemente dall'entità del danno effettivo che, in ragione della durata del processo, potrebbe risultare ben superiore. Il principio costituzionale d'eguaglianza e quello del giusto processo sono stati messi all'angolo in un colpo solo.
Il Collegato lavoro rappresenterà adesso un doppio banco di prova. In prospettiva per l'opposizione, che, dopo averne ripetutamente contestato i contenuti, dovrà dimostrare la sua coerenza, assumendo inequivocabili impegni abrogativi nel contesto del programma con cui si presenterà alle prossime elezioni (anticipate o meno che siano). Nell'immediato per Confindustria, Cisl e Uil: se esse, nonostante la notoria contrarietà della Cgil, dovessero insistere sull'arbitrato d'equità, procedendo alla stipula dell'accordo prefigurato dalla legge, va da sé che si tratterebbe di un ulteriore colpo alle possibilità di ricucitura dei rapporti fra sindacati, che priverebbe di credibilità, al tempo stesso, la proclamata volontà di coinvolgere il sindacato più rappresentativo in un nuovo patto sociale.

AL LAVORO
A 15 ANNI
La legge sancisce anche la fine dell'obbligo scolastico a 16 anni. Viene introdotta infatti la possibilità di assolvere l'ultimo anno di scuola con un contratto di apprendistato.
Da Il Manifesto, venerdì 22 ottobre 2010

Tra i venticinquemila ci sono anch'io

Ho partecipato anche io al questionario di Repubblica sugli italiani all'estero. Ora che sono pubblicate le analisi, sia pure succinte, delle risposte, una folgorazione. Forse per la prima volta in vita mia mi ritrovo! in un gruppo, in un pensiero comune, no anzi in un sentire, in un clima emotivo, come non mi è praticamente mai successo in Italia. Come mai tanta differenza, tanto sentimento di adesione? Magari perché stavolta ci unisce una scelta, un'azione forte, radicale, coerente, oltre all'opinione. Da un certo punto di vista è una liberazione sentire questa comunanza con tanti altri. Poi certo, io sto solo studiando e i miei legami con l'Italia, dato il posto di lavoro e l'età saranno più difficili non da sciogliere (se potessi, anche oggi), ma da sostitutire con prospettive di lavoro qui. Saldissima è però la certezza di essere più che parte di quei tanti che se ne vanno per VIVERE una vita degna e dignitosa in un paese civile.

mercoledì 20 ottobre 2010

Cercando Pellegrina

Google non ha ancora ben capito che sono io e che sono qui, al nuovo indirizzo pellegrinablog.blogspot.com
Certo ho fatto una di quelle cose che non si dovrebbero mai fare, ma l'altro indirizzo non mi soddisfaceva proprio. Comuqnue Google, oltre a propormi più volte di cambiare sesso proponendomi un pellegrino blog che proprio non mi conviene, mi ha anche dirottata qui. E stavolta poco da fare, ha ragione lui: un bel biglietto di benvenuto. E pensare che li ho anche ballati i Branle de Champagne, qualche volta

lunedì 18 ottobre 2010

Il cuscino racconta

o meglio la sua sparizione racconta. Questa estate, come dicevo, era passata la donna delle pulizie a ritirare tutti i cuscini per portarli a lavare, ci ha detto. Bene, era ora, ho pensato, il mio traversin, quel cuscino cilindrico che piace molto qui, era semivuoto e certamente una bella lavata gli avrebbe giovato a riassestarsi un po'. Lo immaginavo felice a sguazzare nell'acqua, con quel caldo. Passavano i giorni e le settimane ma lui non tornava. Qualche giorno fa vado dal portiere a cheidere notizie. "Non li rimettiamo più", mi spiega. Spalanco gli occhi. Lenzuola, coperte, stoviglie. biancheria e ogni altra cosa "mobile" è a carico nostro, dobbiamo portarcela da casa, ma il cuscino, insomma è come il materasso, il cuscino ci vuole! Il portiere è desolato. "Una volta avevamo lenzuola, coperte, cerchioni nei bagni, tante cose. Ma con i tagli ai finanziamenti per il diritto allo studio, man mano che si consumavano non abbiamo più potuto sostituirli." Meno male che almeno le case si degradano più lentamente, ho pensato: un tetto sopra la testa ce l'abbiamo ancora. Ma ho avuto lo stesso un brivido: questa distruzione lenta, strisciante di ogni strumento per dare opportunità anche ai meno fortunati la conosco bene. Anche la Francia ha imboccato il tunnel che uccide le speranze di una vita migliore, decente, dell'apprendimento, dello spirito critico. Certo parte da un livello incomparabilmente più alto dell'Italia. Nondimeno ci si sente accerchiati da un incubo che avanza, inesorabile. Senza alternative.

domenica 17 ottobre 2010

Forains en colère

In Francia è periodo di grandi manifestazioni. Anche in Italia? Ma sì? Davvero? Chi l'avrebbe detto. Comunque qui si sono contate tra fine settembre e ieri tre manifestazioni e tre o quattro scioperi. Due organizzate dai sindacati contro la riforma delle pensioni, che vorrebbe innalzare l'età da sessanta anni per entrambi i sessi a sessantacinque, ma per avere il massimo bisognerebbe arrivare ai sessantasette pur avendo già accumulato gli anni necessari di contributi. La pensione a sessanta anni per tutti fu introdotta da Mitterand negli anni' 70. La terza è stata degli studenti che hanno solidarizzato con chi lavora, dichiarando che le pensioni non sono il loro primo pensiero, ma la disoccupazione e la precarietà sì, moltissimo. Il disegno di legge va in aula mercoledì e martedì ce ne sarà un'altra.
Ma non è l'attivismo francese a difesa delle retraites che volevo raccontare, bensì quello dei giostrai. Un quartiere popolare, quello di Saint-Michel, tiene tutti gli anni la sua festa in una zona al limite del centro, occupando per un mese un grande parcheggio e un parco con giostre e bancarelle da fiera. Michele è il santo della fine dell'estate e dell'arrivo del sonno invernale della terra, un santo molto importante per i contadini specie al nord delle Alpi (da noi è piuttosto san Martino, un mese dopo). A San Michele si facevano un sacco di cose, ci si sposava, si traslocava..
Qui il comune ha deciso che dall'anno prossimo la festa andrà spostata in periferia. Apriti cielo. Giostrai e saintmichelini hanno bloccato il raccordo di Tolosa, assediato il Municipio in maniera assai sonora e hanno fatto lo sciopero festivo. Cioè hanno deciso di rimanere dove si trovavano con bancarelle, ruota e montagne russe per un'altra settimana e il week-end di offrire tutto ai prezzi scontati. Purtroppo oggi, ultimo giorno, faceva un freddo polare e non ho avuto il coraggio di andare a curiosare. Anche perché un neo questa festa di quartiere a mio parere ce l'ha e grosso: l'orripilante musica a volume altissimo sparata da alcune giostre rende davvero sgradevole passeggiare per la fiera. Peccato.

giovedì 14 ottobre 2010

La buona notizia

Oggi c'è davvero una buona notizia. Lasciamola raccontare a uno scrittore: Luìs Sepulveda.

domenica 10 ottobre 2010

Cantates sans filet

Welt bei dir ist Krieg und Streit,
nichts denn lauter Eitelkeit...

I Francesi hanno una lunga tradizione musicale riguardo alle domeniche. Per esempio il favoloso jazz di Je hais les dimanches scritta da Charles Aznavour per Edith Piaf e musicata da Florence Véran, quiinterpretata da Juliette Gréco.
A Tolosa nel 2010 ci sono le cantate senza rete. Da tre anni in qua, una volta al mese per sei mesi l'anno, chiunque può andare a provare e cantare un corale di Bach insieme all' Ensemble baroque de Toulouse, diretto da Michel Brun. Da tre anni il loro progetto è di cantare e far cantare tutte le cantate di Bach. Alle cinque del pomeriggio ci si incontra nella chiesa di Saint-Exupère, dove il direttore illustra la cantata ai musicisti, che non l'hanno ancora provata, ma solo letta individualmente e agli spettatori che hanno potuto scaricarla da internet attraverso il sito. Alcuni passaggi sono provati davanti a tutti. Poi il direttore volta le spalle ai musicisti e comincia a dirigere gli spettatori, a cui è stata distribuita all'entrata la partitura del corale che si proverà. Quello di oggi in particolare è stato scritto da Rosemuller e Bach l'ha inserito nella sua cantata. Siccome i Francesi hanno una buona cultura musicale in genere sono anche intonati, ma qualche volta timidi. "Non è difficle questa melodia", insiste Brun, "certo è a quattro voci, magari proviamola prima tutti quanti a una voce". Mi accodo ai soprani che sono la mia, e peraltro quelli che hanno la voce più "melodica" per quanto possa esserlo un corale ai nostri orecchi, con buona pace di Lutero. Poi Brun insiste sul finale: va eseguito rapidamente, ha un ritmo incalzante che altrimenti si illanguidisce e si perde. Ore 18.30: si accordano gli strumenti. Il positivo ha dei problemi, richiede lunghe cure: la differenza di temperatura tra l'esterno piovoso autunnale e la chiesa piena del calore dei corpi lo ha disturbato, spiega l'organista. Nel frattempo noi ascoltiamo l'oboista spiegare il suo strumento, una sorta di corno da caccia, che infatti si chiama "oboe da caccia". E' fondamentale per almeno 15 cantate bachiane, tra le quali le Passioni, specie quella di Matteo, eppure fino agli anni'70 veniva sostituito dal corno inglese, dal suono duro e squillante, del tutto diverso dalla sua morbidezza. Ancora una volta Nikolaus Harnoncourt ha insegnato quale fosse il vero strumento bachiano, rintracciandone alcuni esemplari conservati nel Museo musicale di Stoccolma grazie a Cary Karp e facendone eseguire delle copie per la sua integrale delle cantate di Bach. A questo punto coro e orchestra eseguono la BWV n. 27 fino al corale finale: Welt ade! Ich bin deine mude. Tocca a noi fare la nostra parte, Brun si gira una seconda volta per darci l'attacco. Alla richiesta di bis non si scompone: ora rifate il corale con il finale alla velocità giusta, dice e in effetti è tutt'altra cosa.

In den Himmel alle zeit
Friede Freud' und Seligkeit.


Le cantate di Bach come costruzione, commenta la mia vicina, emozionata anche lei.
Ma per riportarci gradevolmente sulla terra, alla fine di queste domeniche viene offerto a tutti un bicchiere e uno stuzzichino regionale francese, a sottoscrizione libera. Variano ogni volta, a seconda del numero della cantata eseguita quel giorno. Come? Il numero viene confrontato con quello del Département (sorta di provincia) corrispondente. Il Département n. 27 è in Normandia e così stasera abbiamo assaggiato kir al sidro e tartine al sanguinaccio con le mele e con il formaggio, innaffiati da Giove pluvio senza risparmio.

Cantates sans filet è aperto a chiunque e gratuito: basta venire a Tolosa! Prossimo appuntamento 21 novembre con BWV n. 70.

giovedì 7 ottobre 2010

La storia di un libro, ben raccontata

Librai? Autori? Curatori editoriali? Cavalieri del libero sapere? Amanti del divertimento? E' bellissimo il racconto di come si inventa nella blogsfera italiana un ebook collettivo liberamente scaricabile.
Bellissimo anche per le riflessioni che riesce a infilare qua e là. Ad esempio su come usare al meglio i vari "socialcosi" oggi esistenti. La constatazione della passività sostanziale di facebookisti e twitteristi è un sollievo per una scettica riguardo alla reale capacità partecipativa dei socialcosi. Confermato anche l'effetto fan: gli autori invitati in giro per il nord Italia a incontrare di persona i lettori del digitalissimo libro. Infine la riflessione eterna: tutto questo è un gran lavoro, creativo e organizzativo. Non si regge sul lungo periodo. Poco sostenbile senza finanziamenti e organizzazione, aggiungo io, quindi destinato ad esaurirsi, purtroppo. Le cose migliori e più felici che nascono sempre nel tempo rubato. Dovrebbero essere esperimenti sostenuti? Da chi? Come? Belle domande, peraltro totalmente oziose. Sono forse i Wu-Ming a offrire un'ipotesi per la mancanza di creatività e di sperimentazione in città, come Bologna ad esempio, che un tempo ne sarebbero state ricche: niente tempo e disponibilità economiche. Se devi correre a conquistarti crediti universitari e a portare pizze per pagarti l'affitto, dove lo trovi il modo di inventare? La cultura è una creatura morbida, diceva Billanovich, vive male tra gli stenti.
Ai miei occhi sembra un prezioso pezzo di storia, di quelli che fra n decenni saranno ricercati e studiati, chissà con che strade e strategie, chissà in quali archivi. E' come assistere al formarsi delle fonti storiche nel web, fonti non istituzionali e tanto più fragili e preziose: la storia di Schegge di liberazione e Cronache di una sorte annunciata. Forse la notorietà che i due ebook hanno raggiunto lascerà traccia in qualche cronaca o in qualche libro che traccerà la storia della blogsfera e dell'editoria. O forse ne rimarranno solo documenti più informali da ripescare con il famoso fattore c della ricerca archivistica. Comunque, interessante ;-).

venerdì 17 settembre 2010

Classe media?

Dunque, ho scoperto di essere "povera". Bella scoperta, si dirà. Fai fatica a pagarti le cure mediche e qualche giorno di vacanza l'anno; l'assicurazione della macchina è il tuo regalo di Natale: cosa ti credevi di essere? Il ragionamento è appena più sofisticato di questi lapalissianesimi. Che io sia compresa tra i poveri e aldifuori in ogni caso della classe media me lo dice il privato!! il mercato!!! uno studio di un grande gruppo, una vera Azienda moderna. Roba seria, signori. Giù il cappello: ce n'è di che. La Allianz assicurazioni ha parlato, con uno studio sui patrimoni individuali che mette a confronto 50 paesi comprendenti il 68% della popolazione mondiale e il 70% del PIL, sempre mondiale.

Lo studio, almeno per come è riassunto da Le Monde è un bell'esercizio da pollo di Trilussa, ma in ogni caso conclude che la classe media nel mondo sarebbe aumentata. Si basa sui depositi bancari e i titoli finanziari, ma esclude le proprietà immobiliari. I 50 paesi sono divisi in tre gruppi:
21 paesi, i più ricchi, patrimonio medio 31.600 euro
13 paesi, ricchezza tra 31.600 e 5300 euro
16 paesi, sotto i 5300 euro.
Lo studio definisce appartenenti alla classe media coloro che possiedono tra i 5300 e 31500 euro, precisando che si tratta in tutto il mondo di 565 milioni di persone, contro i 200 del 2000. La crescita della classe media si sarebbe verificata soprattutto nei paesi emergenti, in particolare Cina, Brasile e Russia, accompagnata fraternamente da una crescita delle disuguaglianze. I paesi dell'est entrati nella UE, invece, si ritrovano con una media di 7000 euro a persona.
Curiosa e importante notazione, in confronto al 2007 la ricchezza media posseduta è diminuita in percentuale più nei paesi a economia finanziaria (tra cui gli USA) che in quelli emergenti, al punto che Allianz commenta come sia evidente che la crisi è stata soprattutto crisi dell'economia finanziaria, mentre i paesi con economie di tipo diverso se la sono cavata meglio. Già, originata da che la crisi poi? Dai mutui... sì, sì, dai mutui di quelli negli USA che non sapevano come pagarsi una casa, boh, chissà perché poi. Già, perché negli USA così tanta gente non poteva comprarsi una casa? Sono ricchi, loro! Hanno la piena occupazione! Appena perdi un lavoro, ne trovi un altro!! Sono meritocratici!!! Basta aver voglia di lavorare.. e poi non ci sono i sindacati. Non hai sentito Marchionne? Ma veramente, cosa vogliamo noi italiani, invece di andare a lavorare.

Notazione personale. Il mio patrimonio è inferiore di circa il 25% alla cifra minima prevista per essere compresa nella borghesia (24,63%, per essere pignoli). Non proprio poco. Se calcoliamo poi che saremmo in Italia, uno dei 21 paesi più ricchi, (quelli in cui il patrimonio medio supera i 30.000 euro), che io faccio parte della protettissima e privilegiata casta dei dipendenti pubblici, che il mio stipendio non è nemmeno dei peggiori, quale fossa questa politica salariale va ad aprire tra lo status di dipendente pubblico e quello di appartenente alla classe media?

Chissà se qualcuno se lo chiede mai.

giovedì 16 settembre 2010

Un futuro agghiacciante

L'essere dipendenti pubblici non ci proteggerà a lungo. A parte che per la nostra sottospecie quando la pubblica demolizione arriverà a trasformarci in Fondazioni sarà come essere dipendenti del settore privato, e a parte che il sottoinsieme di cui faccio parte lavora sotto un capo che ha deciso di trasformare l'istituzione improvvidamente consegnatagli nel laboratorio di questo sfascio, la strategia complessiva è fin troppo coerente e chiara. Noi (dipendenti pubblici, ancor più se del settore cultura-istruzione) non serviamo a questo sistema di potere. Né abbiamo saputo costruire realmente, molto spesso, va riconosciuto in fretta, per egoismi interni, pigrizia intellettuale, ignoranza e miopia, un servizio sufficientemente prezioso, diffuso e efficace da venire difeso in qualche modo dagli utenti, anche solo con la forma del malcontento. Prima ce ne rendiamo conto e meglio è.

Dal Manifesto di mercoledì 15 settembre 2010

di Antonio Sciotto
Riecco la legge «brucia-lavoro»
Al Senato il ddl rinviato dal Quirinale
Il disegno di legge che brucia i diritti, il cosiddetto «Collegato lavoro» approntato dal governo e in special modo dal ministro Sacconi, torna alle Camere: il Presidente della Repubblica lo aveva respinto a fine marzo, decidendo di non promulgarlo. Soprattutto in forza dello squilibrio tra impresa e lavoratore nel momento della firma per la scelta di un arbitro, di fatto obbligata, e la rinuncia al giudice del lavoro. È l'«arbitrato», di cui tanto si è discusso nell'inverno scorso, che ha diviso la Cgil da Cisl e Uil, e che nella versione rivista non riguarda più i licenziamenti e l'articolo 18, ma resta in piedi per tutte le altre cause. E non è l'unico punto negativo del Collegato: la Cgil segnala tanti pericoli e si prepara a una campagna di mobilitazione, con l'obiettivo di ricorrere alla Corte costituzionale a legge approvata.
Il ddl è calendarizzato per oggi al Senato, e se passerà dovrà andare alla Camera per l'approvazione definitiva: ovviamente a questo punto il Presidente Napolitano dovrà promulgarlo. «La parte centrale della legge riguarda la certificazione e l'arbitrato - dice Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil - La certificazione di fatto è già in vigore, ma fino a oggi serviva solo per identificare il tipo di contratto, se fosse a termine o a progetto ad esempio. La novità è che il ddl adesso permetterà di entrare nel merito del rapporto, e si potrà far siglare al lavoratore tutta una serie di clausole in deroga al contratto nazionale, firma di cui poi il giudice dovrà tenere conto. Si ottengono così due risultati: si introduce una prima forma di contratto individuale, e si indebolisce la funzione del giudice».
Fammoni spiega che «la Cgil sarà sempre a disposizione, con i suoi sindacalisti e legali, per consigliare e informare i lavoratori, ma non avallerà mai questo tipo di contratti nè farà mai parte di una commissione di certificazione». «Anzi - aggiunge - una volta che la legge dovesse essere approvata, nonostante gli sforzi che stiamo facendo e faremo perché non lo sia, distribuiremo un vademecum per spiegare tutti i rischi e offriremo sostegno».
Ancora, c'è l'arbitrato: «È una clausola compromissoria che si fa firmare al lavoratore - continua il segretario Cgil - imponendogli di fatto di rinunciare per sempre e senza possibilità di ritorno ad avvalersi di un giudice. Si indebolisce così non solo, ancora una volta da parte di questo governo, la magistratura, ma anche la forza e la centralità della legge. Si deve notare poi che l'arbitro che sostituirà il giudice dovrà emettere una sentenza "secondo equità": anche in deroga alle leggi e ai contratti nazionali. Sono evidenti tutti gli elementi di incostituzionalità della legge, e per questo forniremo ai lavoratori tutti gli strumenti utili per il ricorso alla Corte costituzionale».
Ancora, segnala la Cgil, il ddl contiene l'apprendistato a 15 anni, «che in un colpo solo abbassa l'obbligo scolastico e la soglia del lavoro minorile»; viene inoltre rimessa in piedi la delega sugli ammortizzatori sociali, già prevista nel Protocollo welfare del 2007: «Ma in questo caso è utilizzata per scavalcare il Parlamento e approvare una legge diversa da quello spirito, con differenziazioni a seconda dei settori di lavoro e dei territori». Peggiorano anche le norme sulla sicurezza del lavoro: diventerà obbligatorio denunciare gli infortuni solo con prognosi superiore a 14 giorni, e non più a 3. Inoltre, si abolisce il «registro infortuni» che doveva essere tenuto da ogni impresa. Secondo la Cgil, è solo l'anticipo di altre «controriforme» annunciate: la modifica dell'articolo 41 della Costituzione sulla libertà di impresa e la destrutturazione dello Statuto dei lavoratori.

venerdì 10 settembre 2010

Semplicemente geniale! "Benvenuto nell'esperienza "BOOK"!"



Grazie a Arianna Andrei che lo ha segnalato su AIB-Cur.

giovedì 9 settembre 2010

sabato 21 agosto 2010

A che cosa serve il copyright

Mai amato gli editori. Soprattutto mai amato la loro abitudine di trattare i libri come le camicette della scorsa stagione e distruggerli o semplicemente lasciarli esaurire in libreria nel giro di qualche mese e nei depositi dopo al massimo due anni. Ma i libri non sono una merce? Certo, bella scoperta, non hai letto Martin e prima di lui... Ma il santo mercato non avrebbe dovuto soddisfare tutte le sacrosante richieste del consumatore che ne era regolatore? Allora come la mettiamo con tutti quei libri scientifici che non si ristamperanno mai più perché l'editore non ne alcuna intenzione ma che continua a tener sotto copyright. Ma il copyright protegge gli autori!! E il commercio fa sviluppare il benessere di tutta una nazione... Sì, certo. Ad esempio ecco dove vanno a finire i right delle copies da queste parti .
Anche questa è storia del libro.

venerdì 20 agosto 2010

Non mi parlate più di produttività, flessibilità e liberismo, razza di ipocriti!

Pirataggio dei peggiori. Sto violando tutti i cpyright del mondo e per di più con un made in USA. Non mi salverà niente se non il fatto che questo blog non ha lettori. E' nascosto nel profondo da questo solo fatto.
Il corpo del reato è questo articolo che avrei tanto voluto linkare come fanno le persone perbene, ma che in questo caso non sarebbe più visibile tra una settimana. E il suo contenuto non lo merita.

Eccolo qui.
Il solitario di Ponzi
Leggere i giornali oggi può essere un'esperienza sorprendente. Il 26 luglio scorso i quotidiani statunitensi riportavano due storie alquanto contraddittorie. Il primo articolo di attualità di Usa Today riferiva sul rapporto trimestrale degli economisti. Il titolo recitava: «L'ottimismo degli economisti svanisce». A quanto pare la combinazione di «confusione in Europa, insignificante crescita del lavoro, mercato immobiliare debole e rallentamento nella produzione industriale» rende assai improbabile che gli Stati Uniti possano recuperare gli 8,5 milioni di lavori persi, salvo che «in tempi geologici». Inoltre temono «l'instabilità finanziaria globale».
E dunque, comprensibilmente, non sono ottimisti. Si potrebbe affermare che l'ottimismo congenito degli economisti in merito al mercato mondiale abbia finalmente toccato il duro fondo roccioso.
Alcuni di noi erano arrivati a questa conclusione già da un pezzo. Ma allora com'è possibile che, proprio lo stesso giorno, il New York Times sia uscito in prima pagina con un commento sul «balzo verso l'alto dei profitti» delle industrie statunitensi?
Anche per questo interrogativo la risposta è nel titolo: «Le industrie ottengono un balzo dei profitti da tagli più radicali». Non è che le industrie stiano vendendo di più, anzi al contrario vendono di meno. Ma hanno tagliato i costi, ovvero hanno licenziato gli operai. Hanno scoperto che, se licenziano un buon numero di operai e fanno lavorare più duramente quelli che rimangono, forse vendono meno ma hanno comunque maggiori profitti. E questo si chiama un «trionfo di produttività». Ethan Harris, capo economista alla Bank of America Merrill Lynch, è stato sincero in merito: «Le aziende riducono i costi della manodopera per costruire i profitti».
Comunque, come fa notare il NYTimes, il risultato è che «i benefici vanno per lo più agli azionisti e non all'economia in generale». E le industrie non pensano a questa come a una soluzione temporanea. Infatti, anche se le vendite migliorano non intendono assumere altri lavoratori. Al contrario, secondo le dichiarazioni di un dirigente di una grossa azienda: «L'ultima nostra preoccupazione è quando potremo tornare ad assumere fino alla piena occupazione». Piuttosto, stiamo «riconfigurando l'intero sistema operativo per una maggiore flessibilità».
Dunque le industrie statunitensi (e anche le industrie nel mondo) hanno trovato la panacea che permetterà loro di espandere i profitti all'infinito, anche nel futuro? Ma vogliamo scherzare? Negli Anni Venti del secolo scorso, Henry Ford era famoso per pagare i suoi operai più della norma perché, diceva, voglio che siano miei clienti. I suoi successori alla Ford oggi hanno ridotto la forza-lavoro nordamericana di più del 50 per cento nel corso degli ultimi cinque anni. Più profitti ma meno acquirenti.
C'è il piccolo problema di quello che Keynes e Kalecki scrivevano sulla domanda effettiva. Secondo qualsiasi previsione a medio termine, se non ci sono abbastanza acquirenti non ci saranno abbastanza vendite e ben presto i profitti si prosciugheranno. Le industrie che aumentano i profitti riducendo la forza-lavoro e spremendo quella che gli rimane sono destinate a vedere un balzo dei profitti solo nel breve periodo, prima di andare a sbattere il muso contro il muro della deflazione grave. E crollare. Possibile che non lo capiscano? Di certo alcuni lo capiscono ma si regolano in base al principio edonistico del carpe diem: mangia, bevi e stai felice, che domani potresti morire.
Si potrebbe chiamare il «solitario di Ponzi». Nei tipici schemi di Ponzi, l'operatore inganna gli altri fino a che il castello di carte non crolla, come è successo nel caso di Bernie Madoff. Nel solitario di Ponzi inganni te stesso fino al momento in cui crolli. E proprio come in un normale schema di Ponzi gli investitori (vittime potenziali) sperano che il crollo avvenga solo dopo che hanno incassato i loro profitti, così quelli che fanno il solitario di Ponzi (i dirigenti industriali) sperano di poter scappare con i loro profitti personali prima che tutta l'industria crolli. Auguri!
(traduzione di Maria Baiocchi)
Copyright di Immanuel Wallerstein, distribuito da Agence Global.
Apparso sul Manifesto di giovedì 19 agosto 2010.

mercoledì 18 agosto 2010

Oves ex ovis

Giuro. alla settanticinquesima ora di Bibbie tutte di fila siamo arrivati qui. Lo zoo. Non è un'overdose da té nero più amaro del fiele che sto ingurgitando da stamattina - la menta è finita :-(. No, questo grande editore del XVI secolo scrive proprio così:
" & ut Gallinae avesque reliquae pullos ex ovis cum excluserint ita tuentur ut & pennis foveant ne frigore laedantur, et si est calor a sole se opponunt cum autem pulli pinnulis uti possunt, tum volatus eorum matres prosequuntur, reliqua cura liberantur, eandem ad pullorum Ecclesiae (quos sub alis voluit congregare Christus dominus) conservationem et salutem posuerunt solertiam."
Detto così sembra uno stornello più che una prefazione biblica... Ah, questi operatori del libro. Sarà il mio indovinello per le prossime dieci settimane.
E non parliamo della sottoscritta che aveva letto, con terrore, "oves" al posto di "ovis"!
Per fortuna poi passa alle Sirti. Lì mi sento decisamente più a casa :).

lunedì 16 agosto 2010

La vendetta del censore

E'arrivata la donna delle pulizie in città. Quella fannullona che non pulisce un bel niente e sta tutto il tempo a ciondolare sulle scale facendo finta di spostare un carrello di detersivi. E' tornata dalle vacanze e invece è partita quella fulgida bravissima che aveva riportato persino le docce al color niveo che dovrebbero avere. Oggi la lavativa spostava invece un carrello pieno di cuscini. Mi ha sequestrato il cuscino!!! Non sa quando arriverà l'altro. Perché li portano a lavare, giustamente, ma data la sua spettacolosa indolenza certo non li riporterà oggi. Così però si è evitata di pulirci i bagni, non toccati da venerdì scorso.
Una volta Angela Vinay scrisse un articolo intitolato "L'impotenza del censore" che purtroppo non sono mai riuscita a leggere, perché dal titolo - e dall'autrice - promette bene. Mi è invece capitata la vendetta di Noel Beda, censore nell'anima, ne sono sicura. Gliene ho dette troppe e lui mi punisce nei conforti del corpo. E in più il moralista mi ha pure chiuso le biblioteche: anche la splendida Bibliothèque du patrimoine, di cui qui sotto si vede il lucernario, versione anni Trenta di quello parigino fin de siècle, resterà sbarrata per una settimana e quella della Facoltà riapre solo il 23.
E io ancora qui NON ho finito il capitolo sulle Bibbie! E di qui tutta questa chiacchiera di sfogo sul blog.

Ma come vanno in giro costoro




Non ho tempo di linkare in maniera precisa. Quel che mi interessa di tutto questo è la foto di Paetreus. Con tutte le sue striscette, le sue stellette e i suoi distintivi di stoffa sembra un pupazzino decorato da un sarto impazzito. Un generalissimo. Come si fa a respirare con quindici righe di simboli sulla camicia? E soprattuto come si fa a leggerli e a capirli, tutti quanti sono? Non lo si guarda più negli occhi per venti minuti, cercando di decifrare se c'è proprio tutto cucito lì sopra. Invece di scattare dalla reverenza e obbedire, io mi perderei nelle verifiche delle sue decorazioni e nella comicità del tutto...
Una prova ulteriore della mia incompatibilità con la mentalità militare. Sotto occupazione finirei fucilata nei primi 15 secondi, se non prima.

Fonte dell'immagine è un pezzo di Peace Reporter:
PeaceReporter - Afghanistan, Petraeus: 'Data ritiro 2011 non vincolante'

giovedì 12 agosto 2010

Signor deh non partire





Ho scoperto che la mia canzone favorita dell'estate è anche in video.
Beh, per essere precisi, è un duetto.
Sembra niente, ma ascoltarla mentre tutti i neuroni sono concentrati a scrivere sulla censura delle Bibbie latine in Francia nel XVI secolo ... come farne a meno?
Allora, la locandina (vado a memoria):
Compositore: Claudio Monteverdi
Anno: 1643
Prima rappresentazione: Venezia, teatro san Cassiano (credo fosse quello)
Direttore: Nikolaus Harnoncourt
Regia: Jean-Pierre Ponnelle (mai abbastanza rimpianto!)
Poppea: Rachel Yakar
Nerone: Eric Tappy - meglio i mezzo, ma in video ci va
Orchestra: Concentus musicus Wien.
Anno: 1979. Quando il nostro immaginario visivo non era quello delle soap opera e si vede!

mercoledì 11 agosto 2010

La notte di san Lorenzo

Sto cercando una stella. Vorrei cercare una stella. In realtà sono qui che lotto con l'introduzione del capitolo della tesi di dottorato. Q u i n d i per quest'anno niente stella per me. :-( Un po' triste e un po' stanca, lo ammetto.
Buonanotte a tutti e buone vacanze, per chi è riuscito ad andarci!

domenica 4 aprile 2010

Bella sorpresa, Presidente

L'uovo di questa Pasqua, speriamo non il pesce, per me viene dal Presidente della Repubblica. Il quale, subito prima di andare in vacanza, ha rinviato alle Camere il testo del ddl che abolisce di fatto il divieto del licenziamento senza giusta causa (art. 18). Il testo con cui si sipegano le ragioni del rinvio è una durissima demolizione dell'impianto giuridico del ddl - ampiamente meritata, del resto. Una lettura istruttiva, che come al solito ricavo da Il Manifesto del 3 aprile, ormai non più visibile.

venerdì 12 marzo 2010

Un pomeriggio




di cinema, di storia, di discussione, di racconti, di metà del Novecento che passa davanti agli occhi: il dopoguerra, maccartismo, il femminismo, l'incontro tra USA e Francia, un matematico che ti riempirà la vita amorosa e soprattutto la prediletta storia del "menu peuple", le classi subalterne, le donne senza voce e senza scrittura, le carte d'archivio, le fonti letterarie, il taglio antropologico negli studi storici, la storia delle mentalità.
Oggi Le Mirail ha celebrato Natalie Zemon Davis, affascinante donna dai tratti di comédienne, allegra, energica, curiosa, intelligente, entusiasta, vispissima, tra i più grandi storici del nostro tempo. (Anche le biblioteche si sono date da fare.) Codesto portento, saputo che nella mia tesi di dottorato c'è una parte in cui compare una donna che gestisce una libreria nella Lione del XVI secolo prorompe in una esclamazione gioiosa come se le avessi fatto un vero regalo e mi mette in mano il suo indirizzo email frugando in tutta la borsa per trovare un biglietto da visita superstite.
Che bel pomeriggio. Concluso da una lunga conversazione sulla lingua algonchina e le lingue nella Francia del XVI secolo con un professore francese attualmente all'università di Toronto.
"Non sono i re, o ricchi ad avere bisogno di me", dice, "sono i poveri, gli altri, ad avere bisogno delle mie parole". Lasciamole, a questo punto, la parola.
P.S.: qualcosa mi dice che il libro - la foto è presa da wikipedia - faccia parte della sua collezione.
I libri scritti da lei li trovate, ad esempio, qui

in edicola - La politica torni a parlare di lavoro

Già. Insisto tanto perchè a mio avviso qualunque altra questione passa in secondo piano davanti alle condizioni di lavoro, cioè alla fonte della sopravvivenza. "Prima viene lo stomaco poi viene la morale" scriveva il poeta. Con lo stomaco è complicato fare i conti e anche solo dialogare razionalmente, da ciò tutta una serie di affascinati conseguenze sulla vita di tutti. A parte ciò, da questa intervista al segretario della categoria del pubblico impiego della CGIl, Carlo Podda (e uffa! Ma quando ci sarà qualcun altro a riflettere su queste questioni?), veniamo a sapere che nel disegno di legge sul lavoro presentato dal governo non si parla solo di art. 18, giudici del lavoro e precari con falsi contratti parasubordinati.
No, ci sono anche questioni che riguardano i dipendenti pubblici e quindi anche le condizioni di lavoro di noi che siam bibliotecari. Più precisamente, tra l'altro, permessi e part time. Qualcuno è interessato, per caso?

Perché?

A chi mi chiede perché sono così contenta di essere all'estero rispondo con questo articolo sempre dal Manifesto, del 9 marzo. E aggiungo: perchè sugli altri giornali, anche i più attenti agli strappi giuridici che in questo momento non son rari, non viene pubblicato nulla di simile?
09.03.2010

* COMMENTO | di Luigi Ferrajoli
ARTICOLO 18
Il colpo di grazia
La sola regola che questa maggioranza sembra capace di rispettare è la sistematica violazione di ogni altra regola, soprattutto se costituzionale. L'aggressione al lavoro compiuta dalla legge approvata al Senato mercoledì scorso va ben al di là dell'aggiramento dell'art.18 dello Statuto che stabilisce il diritto del lavoratore ingiustamente licenziato alla reintegrazione da parte del giudice nel posto di lavoro. Essa equivale a una deregolazione e, di fatto, a una vanificazione delle garanzie giurisdizionali di tutti i diritti dei lavoratori. Il diritto del lavoro era già stato dissestato, nella sua parte sostanziale, dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro.
Questa legge è un colpo di grazia anche alla sua parte processuale, dato che vale a esautorare la giurisdizione da tutte le questioni di lavoro. È questa, del resto, la linea di questo governo in tema di giustizia: i processi - il processo del lavoro, il processo penale «breve» o variamente impedito o paralizzato - semplicemente non vanno fatti.
In materia di lavoro questa fuga dalla giurisdizione avviene ora attraverso la violazione del diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, stabilito dall'art.24 della Costituzione. Questo diritto non è solo un diritto fondamentale. Si tratta di un meta-diritto alla tutela giurisdizionale dei propri diritti, in assenza del quale tutti gli altri diritti sono destinati a rimanere sulla carta. Ebbene, questa norma-chiave del costituzionalismo democratico è stata da questa legge aggredita, nelle controversie di lavoro, sotto ben tre profili.
Il primo profilo, il più clamoroso e insidioso, è quello espresso dall'art.33 comma 9. Questa norma, inserita in un labirinto illeggibile di 52 articoli dedicati alle materie più disparate, prevede la possibilità che nei contratti di lavoro sia pattuita la cosiddetta «clausola compromissoria», cioè la decisione delle parti «di devolvere ad arbitri le controversie che dovessero insorgere in relazione al rapporto di lavoro». In altre parole, all'atto dell'assunzione il lavoratore potrà vedersi costretto, per essere assunto, a sottoscrivere la rinuncia alla garanzia giurisdizionale e la remissione delle future controversie, incluse quelle relative alla reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall'art.18, alla decisione equitativa di un arbitro privato.
Ora, come si sa, l'arbitrato è una forma di giustizia privata adottata di solito da soggetti forti, come le grandi imprese commerciali, che con esso intendono raggiungere una più rapida soluzione delle liti. Per questo, a tutela dei soggetti più deboli, il codice di procedura civile lo esclude in via di principio per tutte le controversie che abbiano ad oggetto diritti indisponibili, primi tra tutti i diritti dei lavoratori. La violazione dell'art.24 e dell'art.3 2^ comma della Costituzione da parte di questa legge è perciò clamorosa. Il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, tanto più se indisponibili come quelli in materia di lavoro, è infatti un diritto fondamentale, inalienabile e a sua volta indisponibile. E non può certo una legge ordinaria consentirne la disponibilità per via contrattuale: che poi vuol dire avallare il ricatto cui i lavoratori possono essere sottoposti al momento del contratto.
Ma nella legge c'è una seconda aggressione al diritto di azione dei lavoratori stabilito dall'art.24 della Costituzione. L'art.32, 1^ comma, riduce «il controllo giudiziale» in tutti i casi in cui le leggi «contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso», limitandolo «esclusivamente all'accertamento del presupposto di legittimità» ed escludendolo dal «sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive» del datore di lavoro. Ora è chiaro che le violazioni dei diritti dei lavoratori riguardano, di solito, non tanto la forma, quanto il merito dei provvedimenti dei datori di lavoro; e che perciò questa singolare limitazione del ruolo del giudice e degli spazi della giurisdizione si risolve anch'essa in una generale limitazione, ovviamente incostituzionale, del diritto dei lavoratori di agire in giudizio a tutela dei loro diritti.
Non basta. L'art.32 2^ comma introduce, tramite un'altra limitazione del ruolo del giudice, un'ulteriore restrizione del diritto di azione del lavoratore: «nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo del 10 settembre 2003, n.276... salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione». Il giudice, in breve, è vincolato a queste certificazioni rimesse alle speciali «commissioni di certificazione». Riemerge qui, in forme ancor più grottesche, una vecchia aspirazione del centro destra, che già in passato tentò di includere tra gli illeciti disciplinari l'interpretazione del giudice palesemente in contrasto con la lettera della legge. Ben più radicalmente, infatti, l'attività interpretativa del giudice viene ora preclusa dal fatto che queste certificazioni extra-giudiziali vengono dichiarate vincolanti, in aperto contrasto con l'art.101 della Costituzione secondo cui «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». Se allora fu coltivata l'illusione che il giudice possa essere «bocca della legge», oggi si vorrebbe che egli fosse ridotto a «bocca delle certificazioni».
Domanda: come è possibile che di questo mostro giuridico, destinato, a me pare, a una sicura pronuncia di incostituzionalità, nessuno - né l'opposizione, né i sindacati - si sia accorto nei due anni della sua gestazione?

Il parere dei giuristi - da Il manifesto 11/3/2010

Una volta si diceva che nessuno può essere distolto dal suo giudice naturale stabilito per legge.


di Piergiovanni Alleva, Giovanni Naccari
Il lavoro al tempo del partito azienda
Siamo alla legge del Comitato d'affari.
Il «Cda» che ci governa ha deciso di festeggiare degnamente i quarant'anni della legge 533/1973 in materia di processo del lavoro, che fu considerata, non solo in Italia, come un modello di garantismo e di civiltà giuridica. Figura centrale di questa legge e del processo da essa istituito era un giudice specializzato, appunto il giudice del lavoro, dotato di incisivi poteri per la realizzazione, e non solo per l'affermazione astratta, dei diritti dei lavoratori. Questa legge viene ora manomessa con un provvedimento legislativo di riforma che ha un senso di classe nettissimo, come emerge dall'analisi già da noi svolta ne il manifesto del 04/03/10 e dall'impegnato articolo di Luigi Ferrajoli di due giorni fa.
Benservito ai «pontieri»
Sembra ora opportuna, e foriera di utili insegnamenti, qualche constatazione e riflessione. Innanzitutto sulle figure di comprimari e protagonisti di quest'operazione, della quale si può dire intanto che ha dato seccamente «il benservito» ad alcuni giuristi «pontieri» che, da posizioni asserite come «progressiste riformiste», hanno da tempo costantemente teorizzato un - malcelato ma evidente - abbassamento delle tutele, per perseguire la conclamata linea della «riduzione del danno».
Linea subalterna, rivelatasi sostanzialmente sintonica a quella neoliberista di smantellamento, da una parte, degli istituti d'intervento e di garanzia nel settore pubblico e, dall'altra, del sistema delle tutele nel rapporto di lavoro. Linea soprattutto fallimentare nel diritto, in economia e in politica, in Italia e nel mondo, come dimostrano gli esiti della crisi globale. Nel caso poi della controriforma in esame, gli esiti della linea sono stati particolarmente disastrosi, perché il «Cda» non ha concesso ai «pontieri» neanche le briciole.
Modernismo riformista
Diversa e coerente con le scelte politiche di cambio fronte sembra, invece, la funzione assunta dai protagonisti dell'operazione «compressione dei diritti». Essendo approdati alla destra berlusconiana da una nobile tradizione socialista, essi esercitano nella nuova direzione la loro capacità tecnica legislativa, e lo fanno con quella sottigliezza e con la dose di perfidia già evidenziate nel nostro precedente articolo. Ma ora, di fronte alle reazioni all'operazione, con la caratteristica tipica degli specializzati nei passaggi al fronte opposto non dominano l'impulso ad esaltare i benefici risultati della loro azione. Per essi - delegati dai dirigenti della destra alla tematica lavoristica - l'arbitrato d'equità sarebbe una «ulteriore opportunità» data ai lavoratori. È questo, davvero, il culmine del trasformismo dei concetti, perché la «clausola arbitrale», che ora potrà essere inserita nel contratto di lavoro autocertificato, esclude, una volta apposta, la possibilità di ricorso al giudice. Si tratta di una vera rinunzia al buio che il lavoratore dovrà sottoscrivere nel momento in cui verrà assunto. Calcolare la distanza siderale che separa i protagonisti socialisti della prima stagione di riforme nell'antico centrosinistra, da questi loro epigoni «sfumati» nell'«azzurro» del partito azienda, dà la misura del triste presente.
Le riforme possibili
Riforme del processo degne di questo nome si potevano pensare. Ben diverso sarebbe, ad esempio, se il ricorso all'arbitro, anziché al giudice, nascesse non dalla «clausola arbitrale» di cui sopra, ma da un «compromesso» cioè da un accordo intervenuto tra le parti dopo che è insorta la lite mentre il rapporto di lavoro è già in corso o è finito. In tal caso il lavoratore sarebbe libero di scegliere se andare dal giudice o invece scegliere, d'intesa con la controparte, di sottoporre la controversia a un arbitro. Non si tratta di tecnicismi, bensì di un fatto decisivo e discriminante. In realtà proposte di vera riforma della materia sono state avanzate a suo tempo, ad esempio, dalla Cgil e dalla sua Consulta giuridica; altresì dalla Commissione ministeriale presieduta da Raffaele Foglia. Il progetto della Commissione è stato ampiamente saccheggiato dai cattivi riformisti con lo stravolgimento di tutti i sui contenuti progressivi.
Vaniloqui sull'occupazione
S'impone ora una valutazione generale e conclusiva della legge varata. Di fronte alla gravità della crisi economico occupazionale, dopo i vaniloqui sulle politiche del lavoro e di difesa dell'occupazione sbandierate dalle autorità governative, sono seguite, adesso, le politiche effettive.
Il provvedimento legislativo in esame così le riassume: a) per i lavoratori: arretramento rilevante e complessivo di diritti e garanzie; svilimento della funzione della contrattazione e del sindacato; ridimensionamento della funzione imparziale e specializzata della giurisdizione; sbilanciamento normativo a favore della parte datoriale nei rapporti di lavoro e nelle relazioni sindacali; arroganti normative in contrasto con Costituzione, Carta di Nizza e importanti direttive della Ue. b) Per i datori: un messaggio dissuasivo a quelli consapevoli dell'importanza della responsabilità sociale d'impresa e del rispetto di corrette regole nell'autonomia collettiva; agli altri, un messaggio compiacente: si può abusare del lavoro dipendente e in particolare precario; l'abuso sarà difficilmente impugnabile; e anche nel peggiore dei casi lo scotto da pagare per chi abusa sarà limitatissimo.
Che fare?
La drammaticità di quanto sta accadendo implica una prima risposta di tipo giuridico, sotto il profilo sia del ricorso al referendum, sia del ricorso alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia Ue. Ma una seconda risposta deve essere una riflessione strategica della sinistra culturale, sindacale e politica, per una reazione a questo punto unitaria, urgente e proporzionata alla gravità della situazione. Noi, per quanto e per come possiamo, non ci sottrarremo né alla prima né alla seconda.

giovedì 11 marzo 2010

Si continua con le buone notizie

Che peccato dover in continuazione ricevere notizie devastanti dall'Italia. Non posso fare a meno di registrare anche questa, apparsa il 10 marzo sempre su Il Manifesto:

di Fr. Pi.
Al Quirinale sale per protestare solo la Federazione della sinistra
Sarà una piccola cosa, ma solo una formazione politica ha trovato indispensabile salire le scale del Quirinale per chiedere al Presidente della Repubblica di non controfirmare il «collegato al lavoro». La «legge che cancella le leggi», con cui il centrodestra ha portato un attacco senza precedenti alla condizione dei lavoratori italiani, imponendo procedure conciliative e arbitrato al posto del ricorso al tribunale del lavoro in caso di licenziamento. La Federazione della sinistra (Rifondazione comunista, Pdci, Socialismo 2000) - che invita a partecipare allo sciopero del 12 e a manifestare per portare nelle piazze anche il tema della difesa dell'art. 18 - è stata ricevuta dal presidente lunedì sera e ha potuto argomentare per esteso le ragioni della propria richiesta. «Abbiamo segnalato - spiega Paolo Ferrero, segretario del Prc - la manifesta incostituzionalità di questo provvedimento». Al di là delle formule giuridiche, infatti, «con questa legge ci sarebbe una parte della popolazione che, nello specifico del rapporto di lavoro, non gode più della tutela universale della legge e del magistrato». Viene insomma creata «una sorta di extraterritorialità, all'interno delle imprese, che trasforma tutti i lavoratori in clandestini senza diritti». Sul piano costituzionale, insomma, «si rompe il principio della legge uguale per tutti; è come se un comune decidesse - chessò - che nel suo territorio non c'è più la libertà di stampa».
Ma c'è anche un versante politico immediato. La Costituzione «registra l'esistenza di una disparità di potere, tra imprenditore e lavoratore, e decide di tutelare in diversi modi il più debole. Questa legge, invece, mette formalmente su un piano di parità le due figure, e quindi riconosce il diritto del più forte». Va infatti ricordato che, ad esempio, la «scelta» di ricorrere in futuro all'arbitrato viene fatta firmare al neoassunto al momento della sigla del contratto. Ovvero nel momento in cui è in assoluto più debole (quanti possono essere quelli che, specie in situazione di crisi come l'attuale, possono rinunciare a un'assunzione per tener fermo individualmente un principio che lo stato non riconosce più?). «Una volta fissato il principio della deroga alle leggi esistenti, questa può essere estesa a tutto, anche al salario». L'incontro, riferisce la delegazione, «è stato molto cordiale; abbiamo colto una forte attenzione e sensibilità alle nostre argomentazioni".

venerdì 5 marzo 2010

Fonte di questo post: www.ilmanifesto.it

Lo copio e incollo perchè tra una settimana non sarà più accessibile. Questo sarà il lavoro nell'Italia che ci stiamo costruendo. Il liberismo è l'unica ideologia ancora in grado di far danni, dice qualcuno.
Sottoscrivo.

Francesco Piccioni
Progresso italiano. Licenziamenti liberi, al lavoro a 15 anni
Zitti zitti, contando su un silenzio di tomba mediatico, politico e in buona misura anche sindacale, il governo ha messo a segno un altro duro colpo al lavoro dipendente. Un colpo che può diventare devastante perché consente alle imprese di aggirare completamente lo scoglio fin qui rappresentato dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Quello che impedisce a un datore di lavoro di licenziare «senza giusta causa»: ovvero senza colpe specifiche addebitabili al dipendente. Fin qui, in caso di «controversie» tra lavoratore e azienda, si potevano percorrere due strade: a) l’arbitrato, per i contenziosi meno problematici; b) il ricorso al giudice del lavoro in caso di licenziamento.

Con il decreto approvato con formula definitiva dal Senato il 3 marzo, invece, le aziende potranno imporre a ogni nuovo assunto di firmare ­ insieme al contratto di assunzione ­ un’«opzione preventiva» con cui il lavoratore «sceglie» di rinunciare alla via giudiziaria, accontentandosi del semplice «arbitrato». Ognuno di voi può immaginare la situazione: non trovi un lavoro stabile da anni, oppure la tua vecchia azienda è andata fallita da qualche mese. Ti capita di poter entrare in un nuovo posto; ti mettono davanti quel foglio in bianco da firmare, altrimenti puoi anche andartene. Quanti di voi troverebbero la forza di andarsene e via e rimettersi in cerca di un salario?

C’è anche un secondo modo, ancora più subdolo di importi «l’arbitrato». Nei contratti collettivi i sindacati potranno o no far inserire una formula analoga. Le imprese premono ovviamente perché sia inserita; i «sindacati complici» (Cisl, Uil, Ugl o chiunque altro sceglierà la controparte aziendale come «interlocutore privilegiato») saranno d’accordo. La Cgil si opporrà da lontano, perché intanto è stata esclusa dai tavoli di contrattazione (tranne le categorie più «disponibili» a un compromesso al ribasso). Et voilà! Nessuno o quasi potrà più far ricorso a un giudice per veder riconosciuto il proprio diritto a non essere licenziato. E’ vero, come dice Sacconi, che «l’art. 18 non è stato toccato». Semplicemente non potrà più essere applicato.

Ma non finisce qui. L’art. 52 del decreto stabilisce che i precari (o le finte partite Iva) che dovessero vedersi riconoscere dal giudice «la natura subordinata dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa», invece di essere assunti (come ora) verranno «liquidati» dall’azienda con un indennizzo variabile tra i 2,5 e i sei mesi di stipendio.

Non vi basta? Beh, se avete un figlio all’ultimo anno di scuola dell’obbligo (tra i 15 e i 16 anni, quindi) potrete tranquillamente spedirlo in fabbrica a fare «apprendistato». Varrà «come se» avesse studiato. Potrà dirsi «diplomato alla scuola della vita», come suo nonno.

mercoledì 24 febbraio 2010

Una lezione

Lo scorso anno, anzi quasi due, era il 2008.
Felicemente dottoranda da pochi giorni alla prima lezione. Come si va alla prima lezione quando si ritorna studenti davvero e non si tratta più solo di qualche corso di aggiornamento? Io molto banalmente ritorno al cliché rassicurante del quaderno e della penna nuova. Impluso consumistico-regressivo o tant'è. Un pc portatile, tanto, non me lo posso permettere. Del resto sul tavolo della sala lettura della biblioteca dove facciamo lezione non ci sarebbe nemmeno lo spazio sufficiente per posarcelo.
La cosa nuova è un professore francese - da quanto non veniva uno straniero a raccontarci di un mondo diverso? che ci parla di un viaggio mai fatto a Gerusalemme (nel XVI secolo), di un errore metodologico e del suo approccio al rischio del rifiuto. "Perché perdere qualcosa di importante che si potrebbe avere e a cui si tiene per non rischiare un rifiuto di cinque minuti?" ci dice. Poi ci ricorda che la sua università, Le Mirail di Tolosa, ha una convenzione erasmus con il nostro dipartimento romano, che siamo i benvenuti. La mia tesi ha forti legami con la Francia, in pratica si svolge li'. Perché non tentare? Poiché nessuno dei miei colleghi sembra interessato a un'esperienza all'estero sono io che faccio la domanda di borsa e ora, sedici mesi dopo, mi trovo a sperimentare Tolosa en erasmiénne.
E ne sono felice.

Fine

Questo post sarà completato in seguito.