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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

mercoledì 25 settembre 2019

Impotenza

Partire bisogna, ma fa male. Ritornare sempre più in là.
Partire in Italia significa l’atrofizzazione della testa, il dolore continuo, la tristezza, il malessere, la gabbia a ogni momento, il corpo che si contrae in modo insopportabile, l’umiliazione di un lavoro dove non ho i minimi mezzi per potere agire, in un contesto in cui è ormai più che evidente la decisione di negarci la carriera e ogni migliore remunerazione. Significa uccidersi lentamente in una situazione in cui niente mi corrisponde, in una città che detesto da sempre, invivibile ogni giorno che passa, invasa dalle zanzare e dall’immondizia, disorganizzata, cialtrona e presuntuosa.
Tornare qui significa uccidersi in un altro modo, perdendo ogni forma di garanzia economica sul futuro lontano.
Non c’è via di uscita in un senso né nell’altro.
Oggi la tristezza mi mozzava il respiro mentre andavo lungo la Senna a un incontro che non ha avuto luogo. Parigi è fatta per l’autunno: in questi giorni la sua bellezza lascia senza parole, storditi.
Per questo non sopporto il self spicciolo all’ammeregana che vede nell’individuo sufficientemente motivato la soluzione a ogni problema nei paesi occidentali. Ci sono difficoltà esterne insormontabili nel mondo di oggi, che non ci sarebbero state quarant’anni fa. La libera estrinsecazione di sé è ormai quasi sempre impedita dalle imposte difficoltà materiali.

giovedì 19 settembre 2019

Un pomeriggio

Chiamatemi beata...


...se solo durasse per sempre.
Fra pochi giorni riparto per il lungo esilio. Forse ritornerò ma per sempre meno tempo. E le parole sfuggono al calamo, le idee si fanno confuse, si sperde l’entusiasmo degli incontri.
Ancora stamattina grandi feste all’avvio di un curioso progetto.
Ma non si avanza più senza riscontri.

martedì 17 settembre 2019

Blu cobalto

Avrei voluto scrivere tutt’altro ma la violenza ributtante di questa sordida vicenda mi impedisce di pensare.
La peggiore, disgustosa, sadica ottusità dell’adulto ebbro di un miserabile potere sui più deboli; l’arbitrio di chi, approfittando di un contesto difficile, sfoga sentendosi protetto i propri peggiori istinti su minorenni indifesi perché in situazione a rischio; la frustrazione livida e meschina di chi si sente perso appena fuori dalla corazza o dal corsetto dei propri miopi pregiudizi; la funzione istituzionale piegata alla più ossessiva smania di controllo; il paternalismo grondante ipocrisia di una violenza invasiva fino nei corpi altrui.

Solo la nausea, incoercibile, infinita, riesce a tradurre il disprezzo illimitato che si prova per questi mediocri, che non si vorrebbe mai vedere in posti di funzionari.
Non ho mai più voluto rimettere piede in una scuola passati i diciotto anni e sono ben lungi dal pentirmene: vicende del genere confermano quanto abbia fatto bene a sfuggire un simile luogo di dignità fatta schiava, di prevaricazione gratuita, di umiliazione senza limiti, di vergogna e di abiezione, per il bestiale capriccio del primo che passa. Abiezione e umiliazione che si portano dentro, perché usciti di li’ si modellino su di esse i nostri rapporti umani tutti; perché la violenza instillata dall’istituzione si perpetui in noi, attraverso di noi, impedendoci di concepire un mondo diverso, relazioni diverse, un riconoscimento tra esseri umani e viventi diverso dalla sopraffazione e dal dominio.
Perversi.
Vi odio e vi maledico, senza rimorsi, per l’eternità.

domenica 15 settembre 2019

Memento

Il n’a que le pouvoir que tu lui donne.