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Toulouse en érasmienne

venerdì 26 marzo 2021

Riso amaro di venerdì sera

 Arriva venerdì sera. Domani sarà sabato e fra una settimana Pasqua.

Il certificato ce l’ho. Ho anche i consigli del conoscente: vai al patronato, a noi quando l’abbiamo fatto da soli l’avevano negata (con una diagnosi di demenza tipo Alzheimer), con loro no.

Ho un numero di telefono di una sede vicino a casa mia, ma non risponde nessuno. Vedremo.

Appena il tempo di scrivere di corsa, senza troppo dilungarmi, la ricetta del risotto del venerdì sul tema del quinto quarto.

Come definire i limiti del quinto quarto? tutti sanno cosa sia, ma cosa lo identifichi non è chiaro. Si tratta forse di quanto è contenuto in una parte specifica del corpo o in più d’una, come ciò che si trova nella gabbia toracica e nella scatola cranica? No, perché ne fanno parte la coda e in certi casi le zampe. Si tratta quindi di una classificazione legata al pregio del taglio, inferiore a quello dei primi quattro quarti? Neppure, dato che fegato e uova di pesce possono essere fra le parti più pregiate. Non solo alcune parti dei visceri, ma i visceri stessi possono essere costosi e rari: il risotto alla coratella non è certo un piatto povero. Difficile quindi trovare un aspetto comune a tutte le parti così chiamate, se non quello di essere altro dal muscolo e dal grasso, carni per eccellenza. Lo stesso nome mette il taglio fuori dalla norma: il quinto dei quarti non esiste.

Definire il quinto vegetale, che Cristina ha proposto insieme a quelli animali, pare più semplice: si tratta di scarti. Da sempre riutilizzati hanno vissuto un momento di particolare pubblicità sulle riviste di cucina sette o otto anni fa. Era il momento in cui avvolti in spessi panni di ottima lana ormai introvabili per i comuni mortali, ci si spiegavano i pregi della frugalità mentre ci si tagliavano i redditi, come se riciclare le foglie del ravanello potesse farci superare indenni un taglio dei salari, una sanità privatizzata o un destino da esodati.

 Poi ci si accorse che recuperare un certo tipo di scarti, cioè quelli più fruttuosi, come la buccia dei piselli, costava troppo in termini di tempo e di fatica, a meno di non essere professionisti. A volte non portava nemmeno tutti questi vantaggi, come con le bucce di pomodoro... Silenziosamente l’ostentazione del recupero passò di moda. Lasciò appena la vaga consapevolezza che forse le generazioni precedenti non avevano tutti i torti né tutti i vizi degli scialacquatori quando avevano cessato di continuare abitudini nate sulla fame secolare e disperata.

 Fedele al principio dello scarto e con un piccolo gioco di parole, ho optato per un riso vegetale fatto con quello che avevo in casa, utilizzando solo materiali che normalmente sarebbero stati buttati. Fare un piatto che andrebbe caratterizzato dal recupero dello scarto unendovi ingredienti costosi o comunque comprati apposta svuoterebbe di senso il tema del quinto quarto. La sfida è stata tutta sulla sottrazione e sul limite, volendo individuare ciò che rimane tolto il quarto “rosso” e sostanzioso e quali possibilità di nutrire possa dare.

Risotto amaro di erbe

Ingredienti:

Scarti di una pianta di lattuga: foglie, gambo, torsoli

Foglie di sedano piccole, verde chiaro

Cipolla germogliata

2 manciate di riso

2 cucchiai di olio

Scorza di limone

Brodo:

Foglie di sedano

Pepe del Madagascar 3 grani

Semi di finocchio un cucchiaino

Ginepro 3 grani


La vigilia, volendo:

Sbucciare i torsoli di lattuga.

Tagliuzzare i germogli di cipolla, metterli in una casseruola con 1 cucchiaio di olio e 1 di acqua, unire la lattuga a striscioline, stufare lentamente, unire acqua fino a cottura se necessario. Frullare. 

Il giorno dopo:

Preparare un brodo di verdura con foglie di sedano e spezie.

Rosolare due strisce di buccia di limone nell’olio, poi un pezzetto di cipolla, quando è translucida unire il riso, portare a cottura con il brodo. Cinque minuti prima della cottura unire la crema di lattuga. A cottura unire foglie di sedano tratte dal cuore, scorze di limone, un cucchiaino di olio. 

Se c’è una crosta di pecorino non lasciarla sola in frigo... Io non l’avevo.

La lattuga da cotta diventa come si sa amarognola. Questo ravviva il riso e il sedano crudo dà spessore e aroma a un piatto da quarta o quinta settimana, appunto povero, semplice e vegetale.

Fonti: 

L’idea di accoppiare il riso al sedano viene da un vecchio numero del 2008 della Cucina italiana. 

L’idea del brodo di sedano viene dalla Maestra.

Ho dovuto riaprire e correggere due strafalcioni. Ma è ancora venerdì!

 

venerdì 19 marzo 2021

La giornata della dipendente pubblica : risotto del lockdown, dell’austerità e dell’evasione.

Ci avevo pensato a lanciarmi nel risotto del venerdì. Mi piacevano come sempre l’allegria e il sorriso di Cristina e soprattutto la sua fantasia senza timori. Ammiravo la leggerezza con cui tenta di prendere una situazione tra le più angosciose, almeno per chi, come me, ha conosciuto in famiglia lo stesso problema, senza appoggi su cui contare. 

La cosa che mi è piaciuta di più è stata la scelta di tenere, anzi di proclamare, il gruppo aperto, sia nella lettura della pagina sulla rete sociale dove ha sede, sia nella partecipazione. Tutt’altro che schizzinoso come altri posti. Ma Cristina pur brava e scapigliata, ha una testa libera e schizzinosa non è.

Per quanto tentata, tuttavia non osavo. Mangiata la foglia, lei mi ha addirittura invitato, ma osavo ancor meno. Non ho mai inventato una ricetta in vita mia (forse un tiramisù alla frutta d’inverno da ragazzina) e il tema di questa settimana è dei più difficili per me. Come declinare alcool e riso quando è stato fatto presente che non deve trattarsi della solita spruzzata di vino?

Poi ci si mette il caso.

Una giornata di quelle ricche di contrarietà e di fatica. Lavoro da casa, piegata sullo schermo di un Ipad mini, sotto un cielo di nuvole nere pesante sulle ossa. Lavoro due ore in più per una scadenza, ore che non mi saranno né pagate né accreditate come recupero (appartengo a quella categoria di persone che ritengono che il lavoro vada pagato secondo Costituzione, dato che comunque va a profitto di qualcuno. Fuori moda, si sa). Faccio appena in tempo a inviare tutto, il telefonino : il marito della mamma vuole sapere se ho sentito la dottoressa per la procedura di invalidità. No, la madama o stacca il telefono che è sempre occupato o non risponde. Passo l’ora successiva a tentare invano di contattarla, non vado nemmeno a fare la spesa. Del resto, dovendo affrontare grosse spese nei prossimi mesi, evito tutto quello che non è strettamente necessario, a partire dalle bottiglie. Scorata, riapro stupidamente la mail del lavoro per vedere se c’è un cenno di riscontro all’ultimo appunto che ho inviato. « Non mi complicare la vita », leggo, da parte di una persona che non è mia superiore gerarchica, ma che lascia trapelare ormai per la quarta volta quanto i nostri ruoli siano su piani per lei incommensurabili dal punto di vista della considerazione umana.

Io non mi permetto di trattare così le persone con cui lavoro. Dopo avere risposto, rifletto che domani mi aspetta una giornata con la mamma, ma le sue condizioni non la rendono più un momento gioioso.

Ho l’impressione di non riposarmi mai.

E allora faccio qualcosa di completamente gratuito, solo mio, che nessuno attorno a me capirebbe. 

Faccio un risotto con quello che ho, cercando di seguire il tema come so, copiando sfacciatamente dai post della Creatrice e della Maestra, affidandomi ai geni, ché in fondo, in un certo modo, siamo Lombarde tutt’e tre.

P.S. : non sono su nessuna rete sociale, per scelta. Se Cristina vorrà e potrà, magari metterà lei online questo lunghissimo sfogo. E grazie, mia cara.

 

Risotto alcoolico di un venerdì di quaresima

 

Riso 2 manciate

Burro chiarificato 2 noci

Rosmarino

Rum ambrato

Cipolla 1 spicchio

Cioccolato Majani all’85% (va bene anche meno, come ho detto ho usato quel che c’era in casa) 2 quadretti

Condimento Ariosto

 

Brodo di spezie

Chiodi di garofano

Cardamomo sgusciato

Pepe del Madagascar

Cannella in stecca

1 anice stellato

 

Bollire piano in acqua le spezie parzialmente schiacciate nel mortaio per 20 minuti.

Mettere a bagno maria in una casseruola dal fondo pesante il cioccolato, senza che il fondo della casseruola tocchi l’acqua. Preparare due fogli di carta da forno. Quando sarà lucido, unire 3 cucchiai di rum (o più, se piace : io al solo annusare il rum per tararci le spezie del brodo mi sono ubriacata !) e un pizzico di Ariosto. Con un cucchiaio di legno mettere la massa su un foglio di carta da forno, coprirla con il secondo foglio e stenderla sottilissima con il mattarello.

Mettere la cipolla tritata finissima in una pentola con una noce di burro. Quando è trasparente aggiungere un bel pizzico di rosmarino tritato. Unire il riso e tostarlo, bagnarlo con brodo di spezie bollente fino a cottura. Salare poco. Mantecare con la seconda noce di burro unendo altri due cucchiai di rum.

Servire con piccoli frammenti del cioccolato al rum.

Il cioccolato si fonde nel riso, apparentemente scompare, ma lascia un aroma complesso che si ricompone malgrado l’amaro e l’alto livello di cacao con il grasso e gli aromi presenti nel piatto creando un insieme curioso e lì per lì difficile da decifrare per un profano.


 

L’impiattamento è ai minimi termini, la foto peggiorata dall’IPad che le posta sempre degradate, io del resto non ho set fotografico e nemmeno uno smartphone.

 

P.S. : ovviamente nulla qui è mia creazione.

L’idea del liquore alla fine è della Maestra.

Quella del cioccolato nel riso è la ripresa di un esperimento blasonato riprodotto dalla Creatrice.

Il brodo di spezie viene dalla lussureggiante Artemisia.

L’Ariosto (che avevo in casa da tempo immemorabile dio sa perché : di certo non ce l’ho portato io che non uso mai niente di pronto) nel cioccolato e rum è uno sberleffo casalingo a chi, in rete, propone questo abbinamento con l’aria di dire Vediamo se si bevono pure questa! Ci abbiamo provato.