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Toulouse en érasmienne

giovedì 6 aprile 2023

Espansione tragica

 Avevo appena fatto in tempo a sentirmi per una volta a mio agio sul posto di lavoro quand’ecco a poche ore di distanza, il giorno dopo, vengo a sapere che la struttura è destinata a a essere smantellata, il che raddoppierebbe il mio carico di lavoro; e che dopo un primo capo senza titoli dovrebbe arrivare qualcuno che li affabula senza sostanza, perché specializzato in qualcosa di ampiamente riciclabile a volontà; non solo, di questa persona si ricorda l’aver sfasciato altre situazioni di lavoro non riferibili a me, causa i suoi modi inaccettabili. Ma tant’è: questa persona deve andare avanti e la fanno andare avanti; non ci sono contromosse possibili né vincenti, il tutto per la politica di smantellamento dei nostri servizi e il salvataggio di pochi individui che l’istituzione persegue da anni. A ciò si aggiunga che i nuovi contratti dei vari comparti del pubblico impiego stanno riservando di fatto la categoria superiore alle professioni abilitate. Questa misura, unita al taglio dei fondi - grazie e sempre grazie all’UE e alle sue violente politiche di bilancio liberiste - rende del tutto impossibile che, se non lì, almeno altrove io possa riuscire a rientrare in una graduatoria purché sia. Non ci sarà infatti più disponibilità di posti di funzionario di livello alto, che poi alto, diciamo quadri di diritto oltre che di fatto, per le professioni non abilitate, e questo bloccherà definitivamente le carriere del pubblico impiego contrattualizzato (grazie Massimo Severo Giannini, grazie governi Amato e D’Alema: come siete stati bravi a tagliare gli stipendi voi, ce n’è pochi). Insomma mi sta venendo addosso tutto il futuro di miseria e di contenzione burocratica del mio cervello, perché costretto a una sottomissione e a un’impotenza senza scampo, dei prossimi decenni. La giornata passa così, annientata, in vana ricerca di uno spiraglio diverso di futuro.

Mercoledì all’alba mi sveglio con dei dolori allo stomaco per me insoliti, non certo causati da pesce e insalata di finocchi, cena della sera prima, mi devo alzare perché sdraiata non mi passano. La giornata scorre ma stamani all’alba ho di nuovo i dolori così forti da svegliarmi. Non c’è verso di riaddormentarsi. 

Nel frattempo lo scatto stipendiale che stiamo aspettando dal 2016 non è certo se arriverà. Tante amministrazioni hanno approfittato degli ultimi due anni per farli, le pulciare che gestiscono quella dove tento di lavorare ovviamente no: l’umiliazione del personale gli è sempre troppo piaciuta. Io avrei dovuto arrivare l’anno prossimo tre posizioni economiche sopra quella in cui sono: a stento forse riuscirò a salire di un livello prima che l’avello si richiuda per altri sei anni.

Da dopo la pandemia, quando lavorando da casa stavo benissimo, serena, attiva e in forma, la casa uno specchio e un nuovo progetto messo su a distanza in tre, io so perfettamente che il mio corpo si rifiuta di rientrare in quel luogo. I primi tempi, nell’agosto del 2020, ad ogni passo che facevo verso l’ufficio sentivo il mio corpo trasmettermi una sensazione di estraneità profonda unita a un istinto di fuga puro e semplice. 

Quest’autunno il lungo periodo di malattia infettiva che ho cominciato a raccontare viene senza dubbio dall’esaurimento delle energie psicofisiche dovute in buona parte allo smorire in cui mi lasciano sul luogo di lavoro insieme alla struttura per non metterci a volte pochi soldi se ben investiti.

Adesso che da fine marzo stavo recuperando le forze quest’ennesima sberla mi ha di nuovo fracassato l’organismo. Non so più come gridare che me ne devo andare.

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