Oggi per tutto il giorno, in ufficio, ho preparato e eseguito un compito che mi piace, che so fare, che sfrutta le mie conoscenze, preparazione e capacità in modo appropriato, che mi diverte e mi appaga e che è venuto come lo avrei voluto, diciamo al 95%, perché la perfezione non esiste (-;.
Dato il contesto in cui lavoro dovrebbe rappresentare un terzo di quel che faccio, mentre un altro terzo dovrebbe essere dedicato a preparare e approfondire occasioni simili e l’ultimo terzo a compiti di altro tipo.
Purtroppo non è così. Per una serie di ragioni dipendenti da fattori molto vari sono situazioni occasionali e rare, con perdita per tutti, non solo per la mia soddisfazione personale.
Oggi è stata la prova, l’ennesima, di quanto malgrado tutto io funzioni ancora bene. Non solo per i riscontri nettamente positivi che ho avuto.
La prova vera è che mi sento felice. Non viva, come ho scritto nel post precedente, non soltanto. Felice di aver fatto bene il lavoro cui tengo, certo, ma soprattutto felice per avere ricucito la scissione costante tra il mio lavoro effettivo e la mia capacità professionale. Felice, quindi sì, anche viva.
Sono appena arrivata a casa con un sorriso stampato in faccia e non ho mangiato da ieri sera. Corro a fare merenda! (-:
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