Io lavoro da oltre venticinque anni, facendo tutte le scale dal nero presso gli imprenditori della ristorazione al posto di dipendente pubblico, conquistato con due emigrazioni interne. Ho tentato la emigrazione estera ma per stupidità e per mancanza di sostegno da qui non ci sono riuscita.
Ma comunque ho sempre lavorato. Ecco: sarebbe troppo non dover tremare e singhiozzare se come adesso, su una montagna, la mia vecchia automobile, che non vorrei cambiare neanche potendo, con cui viaggio, trasloco e porto in vacanza la mamma, comincia a surriscaldare il liquido di raffreddamento e molto probabilmente mi costerà mille euro se va bene e io non so dove trovarli? Non dovrebbe esser almeno questo, NORMALE, affrontare una spesa simile senza paure nel meraviglioso mondo dell’UE così pieno di futili sprechi di individui viziati e debito pubblico cattivo, quello per castigare il quale sono stata costretta lo scorso anno a tremila euro di spese mediche,? E non mi parlate di welfare aziendale, ultima scusa per introdurre la sanità privata e smantellare l’altra.
Io questo mondo lo odio. Lo odio perché minaccia la mia speranza di vita, la mia serenità, tutto lo sviluppo della mia personalità il mio presente il mio futuro e perché ha avvelenato il mio passato. Sono arrivata al lavoro insieme a Maastricht e alla sua austerità e al suo principio di sussidiarietà orizzontale (là dove per privati cittadini si deve leggere « operatori economici », padroni, imprenditori, come si vuol chiamarli, gente che cerca il profitto e bada al soldo, non al servizio) ho patito tutto l’inferno dei cococo dell’amato Prodi che mi hanno distrutto quindici anni di contributi e di vita, peraltro ingrassando le coop e aziende di in-house di sinistra che hanno sfruttato il mio lavoro ancor più di quanto lo sfruttamento esistesse prima. Mi sono salvata con un lavoro sottoinquadrato per tre anni, poi sono passata per pura fortuna, nel senso che c’è stato un secondo concorso, a un livello più consono mentre tanti altri rimanevano bloccati, ma questo livello non ha portato con sé la posizione corrispondente perché nel frattempo ARAN e austerità hanno tagliato le posizioni delle categorie superiori e stanno tuttora continuando a farlo, sotto l’ala brunettiana e gli occhi girati dell’attuale governo e parlamento. Ciò ha provocato un ritardo praticamente irrecuperabile nella mia carriera e nelle mie prospettive economiche e professionali.
La mia pensione è interamente a contributivo puro. Grazie ai cococo dell’amato Prodi sommati alla riforma Dini io andrò in pensione a 71 anni ma la cosa che mi spaventa non è quella. È che grazie a queste due pestilenziali riforme ci andrò con meno di cinquecento euro, e non perché non abbia lavorato. Da che sono pubblico dipendente contrattualizzato ho sempre avuto il salario sopra il minimo, per i fautori de’ du’ spicci spacciati per welfare rinnovato e tanto tanto solidale anziché per povertà aumentata, in ultimo da questa figurante nullità che si guarda bene dal chiedere di abrogare le leggi di chi l’ha preceduta e si spaccia per suorina di carità dall’alta morale e dallo strillo facile. E qualcuno ci crede pure.
Prodi, Dini, Biagi (il giurista), Fornero, Renzi, Monti, Bersani, Ciampi, Cassese, Severo Giannini, Boeri, Ichino hanno fatto di tutto per creare i working poors in Italia e ci sono egregiamente riusciti. Compreso istillarci l’idea della loro « necessità » sommata ai sensi di colpa per i nostri consumi eccessivi, perché abbiamo un’auto a GPL, perché siamo viziati e perché vorremmo stabilità di vita e pagarci tre settimane di vacanza l’anno quando siamo obbligati a prenderle. E naturalmente i loro propagandisti da quattro soldi ripetono lieti cotante stupidità. E di individui ancor più laidi meglio non parlare.
Ricomincio a piangere di stanchezza e di disperazione. Non ce la faccio più e non so cosa letteralmente fare.
Mi spiace della tua situazione, anche se mi rendo conto che del mio dispiacere non saprai che fartene, come è giusto che sia. Purtroppo, nel tempo (pacchetto Treu, legge Biagi, Jobsact, decreto Poletti ecc.), le garanzie del lavoro sono progressivamente state smantellate in nome della flessibilità, una edulcorazione lessicale di precarietà, nella convinzione che fosse la via giusta da intraprendere per affrontare un mondo del lavoro in progressivo cambiamento. Non è stato così, evidentemente, e i disastri di questa politica sono oggi sotto gli occhi di tutti.
RispondiEliminaUn abbraccio.
Grazie davvero per la risposta. Vedi, l'idea del mondo del lavoro che cambia e perciò richiederebbe precarizzazione non vuole dire nulla in sé. Il lavoro cambia da sempre, come tutto. Il cambiamento nel senso della precarizzazione è una riforma del diritto eseguita in conseguenza della scelta di un cambio nella politica economica: dal welfare e dall'intervento dello stato nell'economia al ritiro di quest'ultimo da ogni settore in cui instaurare la libera concorrenza. Non è stato inévitabile né guidato da forse impersonali e mistériose, non lo è tuttora, non è nemmeno automatico. Confondrre le due cose è prendere gli slogan con cui si è preparata l'opinione pubblica allo smantellamento delle garanzie del lavoro per la dimostrazione di una necessità inesistente. Pellegrina
EliminaBrutta situazione, mi dispiace molto.
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