Su di me le scenate funzionano a scoppio ritardato. Li’ per li’ tengo duro, e a meno di non rischiare particolarmente grosso, rimango lucida. Un paio di giorni dopo, però, specialmente se non riesco a allontanarmi dalla causa della scenata, mi sento minata alla radice. Svuotata, incapace di reagire, di pessimo umore e come distrutta da una tristezza di cui non mi è nemmeno facile percepire immediatamente la causa.
Non so se sia un processo normale di reazione. Però è devastante.
Ah, l’occasione della scenata è il marito di mia madre. Approfittando dello stato ormai di impotenza di sua moglie e di attuale bisogno mio senza mia colpa, non lo tiene più nessuno nella sua avversione di sempre nei miei confronti, come di tutto il passato di mia madre, che fa letteralmente a pezzi pur di liberarsene. Eppure, se voleva una donna senza passato, non aveva che da andare all’Ecole des femmes.
I patrigni e le matrigne delle favole dovrebbero dare una bella lezione di oggettività alla propaganda giuliva e conformista sulle famiglie ricomposte. Non intendo fare l’elogio del matrimonio indissolubile né della castità post separazione, ma francamente lo sciroppo delle nuove famiglie educate e rispettose che ci spacciano è falso e stucchevole al punto di diventare ripugnante.
Io, non so. Ho la sindrome del neonato che neanche piange più perché sa che non verrà nessuno. Così è morta Diana, in silenzio. Io il modo di allungarmi a uno sfilatino ce l’ho, ma per il resto, complice la questione di cui non posso parlare ancora, non posso più.
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