martedì 11 ottobre 2011
Un seminario a Parigi
Lo sciopero proprio no! Col punto esclamativo. Quando vedo un cartello che lo annuncia per stamane mi dico ma cosa mai avrò fatto perché, il giorno esatto in cui sono invitata per la prima volta alla riunione di un gruppo che m'interessa, l'ira della RATP debba abbattersi sui convogli parigini. Al mio sconforto l'impiegata delle informazioni risponde, "ma no, se lei prende solo la linea 13 e la 10 non c'è da preoccuparsi: dovrebbe essere quasi normale. Il problema è per chi vien da più lontano, lì sì.". Sarà abitudine, ma il quasi normale io lo declino all'italiana, anzi alla romana, per cui mi immagino code, attese, bestemmie, orde tra l'inferocito e il desolato, solo un po' più inferocite e un po' più desolate del solito che marciano attraverso Parigi. Magari sotto il diluvio. Così, dato il tassativo appuntamento "piazza della Sorbona, davanti alla statua, non oltre le 8.55", punto la sveglia all'alba rotolando giù dal letto nelle brume di un buio mattino nordico. A colazione i miei ospiti, antelucani anche loro, sono stupiti: cosa ci faccio in piedi a quest'ora per essere alla Sorbona tra due ore abbondanti? "Ma lo sciopero...". Loro ripetono la versione ufficiale, cioè che dovrebbe essere "quasi normale". Sì, penso io, fidarsi è bene e mi scaravento fuori senza quasi mangiare che sono già in ritardo. Appena esco, una metro passa sul ponte. Accidenti, ecco, era quella buona, adesso dovrò aspettare, smaledico tra me e me. Salgo le scale in affanno e non faccio in tempo ad arrivare sul binario che un secondo convoglio chiude le porte e parte. Disperazione. Non è possibile, adesso rimango qui in eterno, almeno fossi arrivata alla stazione dove devo cambiare, che da lì avrei potuto anche farla a piedi... non faccio in tempo a finire questa riflessione che mi cadono gli occhi sul terzo convoglio in arrivo, mentre lo schermo avverte che la circolazione è "perturbée". Sulla linea cinque addirittura, che non devo prendere, la circolazione è "fortemente perturbata", qualunque cosa ciò voglia dire... Morale: arrivo in piazza e ci siamo solo io e la statua, mentre i caffè cominciano a spazzare la soglia, c'è modo di approfittarne per dare un'occhiata alla libreria filosofica e andarsene a spasso nell'aria mattutina, benedicendo l'abitudine che hanno da queste parti di essere affidabili e sinceri. Diventa così semplice la vita.
Tempo dopo siamo seduti intorno a uno di quei fantastici tavoli ovali che ci sono in tutte le università di Francia, con le poltrone imbottite, pulite, comode, ad altezza umana. Tutti come sempre sono cordiali, accoglienti. Studenti e professori insieme, che parlano liberamente. La solita voglia dei professori di condividere gli incontri, i pareri, i saperi, di dare opportunità di scambio e di conoscenza anche a un perfetto sconosciuto o quasi che passa di lì e fa due domande. "Venga a tenerci un semianrio anche lei, quest'anno. Le andrebbe?" La Francia. La meraviglia della Francia. Quando da noi il grado di considerazione che le persone hanno per te in ambiente accademico arriva a basarsi sul fattodi aprire l'aula del seminario perché hai le chiavi dal docente... benedico ancora una volta le abitudini di questo paese. Diventa così semplice la vita.
Mentre io sono impegnata nel mio novello ruolo di padreterno benedicente e in aula qualcuno inizia a fare dotti paragoni con i bendettini (pensiero subliminale?) l'oratore è sovrastato da un terribile fischio. "Ah, mi ero dimenticata: oggi ci sono le prove di evacuazione", ci avverte la responsabile del seminario, per cui ridiscendiamo scalette e scale (i cunicoli delle università sono formidabili), mentre gli addetti alla sicurezza, in uniforme e chepì, chiudono le porte a chiave dietro di noi. Una fiumana di studenti sta evacuando la Sorbona, per la gioia del portiere che deve evitare di farci fermare appena usciti dal portone, spingendoci ad attraversare la strada e soprattutto a non sostare lungo tutto il marciapiede che circonda l'edificio. Senza impzienze, senza urla, senza spintoni, senza proteste. Da adulti. Noi siamo tutti concentrati su quello che stavamo facendo, per cui uscire dal passato e ripiombare nel presente ci riesce difficile. La richiesta immediata è: un caffè. Ma non in tazzina, no, uno dei quei luoghi rifugio che qui servono ancora davvero per fare tutto: incontrarsi, conoscersi, scrivere un libro o una relazione, discutere, buttar giù progetti e quant'altro si voglia, grazie alla bontà dei gestori che per una tazzina di acqua calda ti permettono di trattenerti per delle ore sui divani, sgrovigliando fili sparpagliando pc (o Mac, sigh!) su tre tavoli di fila, accatastando cappotti dove capita del tutto indifferenti a chi c'è o non c'è intorno e mangia e beve. Così la nostra colonna multietnica (dato che veniamo da non so quanti paesi e continenti differenti) parte in cerca di un posto qualunque "dove mi devasterete con le vostre domande" proclama l'oratore. Scaliamo la Montagne in fretta, quando arriva il contrordine: si può rientrare. Così ripassiamo per i corridoi, rifacciamo le scale, riconquistiamo l'aula. E via alle domande.
Ma al caffè ci siamo andati lo stesso. Perché alla fine la responsabile del seminario ci ha tutti invitati a bere un bicchiere, fare conoscenza e a continuare a parlare. Gli studenti e gli altri. Insieme. A Parigi succede così.
Spesso mi chiedo quale sia la radice della differenza che mi colpisce così tanto nella mentalità di questo amatissimo paese. Credo che sia il fatto che qui le persone si comportano tendenzialmente da adulti. In Italia sembra che il massimo dello spasso sia poter fare i ragazzini dispettosi e prepotenti. Qui questi atteggiamenti sono riservati ad alcuni di quelli che da noi sarebbero definiti "poveracci". E'una differenza che salta gli occhi. Nelle università anche sei trattato da adulto responsabile. Ti danno la possibilità di crescere intellettualmente, umanamente, i servizi pubblici e sociali ti permettono di crescere e di diventare autonomo, di avviare la tua vita. Auguro di tutto cuore alla Francia che riesca a mantenere per sempre e sappia difendere come merita questa dote così preziosa che offre alla sua gente - e non solo. Diventa così semplice la vita.
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Non ricordo chi abbia detto che i francesi sono solo degli italiani di cattivo umore.
RispondiEliminaImmagino fosse qualcuno molto, ma molto, invidioso.
Come non darti ragione.
RispondiEliminaE che piacere vederti da queste parti.