Non che la giornata fosse cominciata male. Anche se si lavora di sabato, farlo qui:
e sotto questi sguardi.
Purtroppo c'è un interludio molto stonato.
Eccezionalmente sono con Bianchina e la lascio obbediente sulla spianata posteriore. Quando mi cacciano, perché ovviamente son sempre l'ultima a andare via, vado a comprarmi qualcosa di buono e chiedo di pagar con la carta di credito. Risposta inverosimile quanto inedita: "Non prendiamo carte straniere." Devo aver fatto una faccia piuttosto eloquente, perché qui un'occhiata pesa più di un urlo - e non cesso, anche quando non mi piace, di ammirare la classe nell'interazione sviluppata da questo popolo. Dopodiché, da brava, torno alla macchina. La apro. Metto giù il sacchetto, lo zainetto, il pc (il problema del post precedente persiste :-/). La giacca. Per motivi imperscrutabili, forse per la seccatura presa nel negozio, infilo le chiavi nel cruscotto. E, ovviamente, chiudo la porta. Sono fuori. Loro, dentro. Forse nella posizione meno consigliabile per lasciarle dentro a una macchina. Fuori, io sono letteralmente senza più nulla.Tutto sta dentro. Chiavi. Documenti (miei e suoi). Carte. Computer. Lavoro dentro al computer!!!! Appunti!!!!!! °O° l'urlo di Munch mi fa un baffo. Stilografica, cioè "quella" stilografica. Chiavi di casa. Telefono. Numeri di telefono. Cappotto. Navigo. Soldi. Nulla. Tutto.
La situazione è troppo seria per disperarsi. Attraverso con nonchalance il parco mentre cala la sera. Almeno le chiavi non si vedranno troppo. M'infilo nel métro, santificando una volta di più il servizio pubblico ubiquo di questa meravigliosa città. Esordisco: "Signora, ho un grosso problema." Di là dal vetro la signora si dispone a ascoltare col sorriso d'ordinanza che significa: "Ahi. Qui grossa grana in arrivo. Lo sapevo che non dovevo farmi incastrare di sabato prenatalizio nel pomeriggio". "Sto facendo ricerche qui all'Archivio" Educato stupore. "Oggi ho lasciato la macchina lì dietro" (specificare non guasta, perché è un posto di balordi e fors'anche altro). "Poi mi son chiusa fuori da sola" "Sguardi impazienti. "Non ho più nulla. Nemmeno la giacca". E iocosavuolechelefaccia, si legge negli occhi dell'impassibile agente RATP. "E abito a [luogo dall'altra parte della città]". Sorriso estatico: "Ah, ma vuole che la faccia passare!". Il sollievo è tale che mi srotolerebbe la guida rossa. E mi apre i complicatissimi tornelli tra cui fuggo come una che ha alle spalle il vento parigino mentre è rimasta in soriola.
Per fortuna qualcuno in casa. Altro educato stupore per la mia tenuta alquanto leggera, dato che di solito gelo dal freddo. Afferro il duplicato delle chiavi, che per fortuna abitava proprio là dove ricordavo, e riparto.
Totale, 4 ore e mezzo. Ma il sollievo di rivedere Bianchina sana e salva e ritrovare il mio lavoro intatto è difficile da descrivere.
Finalmente a casa, in una seria nebbiosa.
Un rito che da tanti anni non riuscivo a onorare. La radio, il silenzio, nessuno tra i piedi, la nebbia.
Il maestro scende.
Daniele Gatti dedica la serata a Nelson Mandela. Poi dirige con lento garbo e continuata intensità in un susseguirsi di atmosfere sospese. Diana Damrau, malgrado le iniziali incertezze nelle note gravi, ha una personalità così straripante, una compiutezza teatrale così consumata che non m'importa. Italiano perfetto dizione chiara. Soprattutto, la recitazione nella voce. Non perde una sfumatura. Accetto persino le risatine: saranno astuzie per riprendere fiato? Già da quando comincia con "Godiam. Godiam, fugace e rapido", il tono basso e intimo. Ha ben chiaro che "E' strano" non è una palestra di acuti, ma una scena teatrale compiuta. E che una primadonna dimostra tanto più di esserlo quando straripa dentro quel che deve fare, non quando lo calpesta per mettere in luce se stessa. Mi piace come fa cozzare l'amore e i suoi tremiti con la disperazione che affiora quando capisce che la sua vita la riacchiapperà: "Follie, follie." Quando pronuncia "folleggiare" è veramente folle, in trappola, oppressa, costretta e combattuta fra pressioni delle abitudini e dei retaggi di una via intera e dall'altro canto, dai desideri e dal timore di altro. Non è vero che "la personalità di Violetta esce nel secondo e terzo atto", almeno se, invece di pensare agli acuti (e del resto una cantante che s'è offerta in vita sua innumerevoli scene come questa, che ci dovrebbe trovare ancora in qualche acuto?), si pensa al senso drammatico e anticipatore della scena, forse la più spontanea di Violetta, perché la canta da sola, senza interazioni esterne, se non il ricordo, che ci piace immaginare tale, di Alfredo che le sussurra amore tra le quinte della festa.
E poi mi piace questa Violetta adulta, favorita in ciò dal timbro, per quanto innamorata. Forte, spoglia, cosciente.
L'opera è una meravigliosa prova di come una donna si sappia uccidere con le sue stesse mani. Sotto sotto, ma mica poi tanto, ogni volta non riesco a concepire come non dia un sacrosanto calcione a quell'impiccione di suocero beghino. Nessuno la obbliga a lasciare Alfredo. In effetti lì sta il punto debole del romanzo all'origine: perché la storia vera di Alexandre e Alphonsine non prevede interventi paterni su una donna angelicata, ma, cosa molto più moderna, la difficoltà di rapporto tra uno squattrinato e una prostituta d'alto bordo con annesso padre protettore. Donna che molto argutamente qui in Francia presentano come quanto di più lontano dalle lacrime di Pretty woman nel suo palco - e per fortuna!!! Piuttosto en femme libre. E in effetti oggi è forse questo aspetto che potrebbe far reggere una storia la cui dose di moralismo ci siamo per fortuna gettati alle spalle.
Altra cosa che mi piace è l'atmosfera raccolta e sempre più cupa, man mano che la storia avanza, che Gatti imprime all'opera. L'attenzione ai dettagli, come le battute "A chi scrivevi? A te..." che ci danno forse l'unico eloquente spiraglio sul tono quotidiano dei due innamorati. Un cerchio soffocante rinchiuso su sé stesso che finisce solo con la morte. Una bella parafrasi del narcisismo di certe vite, problema ben presente ai giorni nostri. Quanto di più lontano anche qui dall'accumulo cinematografico zeffirelliano. Questa è una piccola storia borghese in interni, piuttosto squallida da ogni lato la si guardi. Una volta lo sfarzo si può accettare (e anche lì sarebbe sceverare tra Zeffirelli e Visconti, che non ho ovviamente potuto vedere direttamente), ma nel complesso snatura l'opera. Gatti fa anche completare le arie, come si è ripreso da qualche tempo e giustamente, nel rispetto del testo teatrale, quando c'è qualcuno che lo sappia recitare. Vedi il dramma struggente e nudo della seconda strofa di "Addio del passato", nessuna indulgenza al lirismo, nessun compiacimento, il teatro spoglio in primo piano, perciò tanto più vibrante.
Certo, Alfredo è Alfredo, cioè, malgrado tutti gli sforzi del direttore di suggerire altro, fa il tenore e io proprio non riesco ad ascoltarlo. Ma lo so, è una mia idiosincrasia.
Un'enorme tartina di foie gras. Un bicchiere di vino CSM che qui stanno lasciando inacidire.
Insomma una sera di piacere che cancella ogni seccatura :-).
Credo che vedere questa Traviata sia una gran bella esperienza.
Ciao Pellegrina, contento che tu abbia potuto vedere la Traviata anche dopo le traviature delle chiavi.. :)
RispondiEliminaChe dire? Sono sostanzialmente d'accordo con te. Io ho visto la rappresentazione in modo rocambolesco: convinto che venisse rispettata la tradizione delle ore 20 (19 solo per Wagner, ça va sans dire), son rimasto fregato dall'inizio alle 18, per cui mi sono perso il primo atto e metà del secondo, fino al "ciel, io tremo". Mi son trovato così senza prologo, gettato in un'interpretazione innovativa, che all'inizio mi ha dato sconcerto - anche per i tempi molto strani - ma che poi ho in parte compreso. Il giorno dopo la replica integrale, e finalmente ho capito. Va da sé che chi voleva vedere la Traviata di Zeffirelli è rimasto con la bocca amara. Chi voleva vedere l'Opera, invece, ha trovato una grande interpretazione: teatro e musica. Forse il regista ha esagerato con le istruzioni ai cantanti (l'isteria di Alfredo che affetta le verdure è ridicola, francamente, come è eccessivo lo smanacciare della Damrau), ma il messaggio è chiarissimo, e l'interpretazione altrettanto. Lo so, per noi italiani pensare che l'Opera sia teatro cantato, e non canto di personaggi mascherati sul palco, è difficile da digerire. La musica è culturalmente preponderante sull'atto scenico (io la Traviata l'ho letta sullo spartito per tanti anni, e solo dopo l'ho vista a teatro, ad esempio - e tanti miei conterranei mai l'hanno vista ma l'hanno cantata dopo opportuni dosaggi di lambrusco), e per questo si desidera il canto come prima cosa. Eppure sabato il canto c'era, eccome! La Damrau, come hai fatto notare, delle difficoltà canore della Traviata non ha paura di certo (anche se non l'ho sentita così sicura nel mi bemolle sovracuto, che dovrebbe bersi come se nulla fosse visto quello che fa con i fa naturali della regina della notte), e anche nell'interpretazione drammatica si è dimostrata matura. Il tenore, che a te non è piaciuto, a me invece moltissimo: erano anni che non sentivo un Alfredo così, e capace anche di essere attore in palcoscenico. Grande donna Flora (e lasciami apprezzare anche il suo lato estetico ;) ), bravissimo Germont (che è riuscito a rendere potabile una delle parti più brutte e volgari della Traviata), e bravo Gatti, che ha diretto con tempi non da discografia, ma da teatro, accompagnando la recita. E' chiaro che su disco farebbe abbastanza pena, ma qui il fulcro doveva essere la scena.
L'ho scritto da altre parti: secondo me questa Traviata verrà presa come riferimento. E come sempre, e come è giusto, ci sarà chi vorrà indietro quella di Zeffirelli, o di Visconti con la Callas. Quest'ultima me la ascolto dal CD...
Caro mondo sono molto felice di questo lungo commento che mi sono goduta per intero. Condivido anche io: mi piacerebbe vedere dove altro hai scritto di quest'esecuzione che spero anche io diventi di riferimento in un'opera che avrebbe bisogno di nuove letture, ormai.
EliminaRicordo bene i brindisi al lambrusco, mi piacerebbe vederli, tra vino brodo e calici, nelle nebbie padane. Penso che la disattenzione al lato teatrale delle opere sia una delle manifestazioni della pochezza intellettuale unita allo snobismo per cui andiamo famosi, ahimé.
Ah, mia mamma si è lamentata che sulle zingarelle non ci fosse il balletto, come da tradizione (e da struttura dell'opera). In effetti, scenicamente è stato noioso vedere questo andirivieni di Alfredo in scena (e mica solo di lui, la Piunti che faceva di tutto per farsi notare, come se non bastasse il suo fisico da statua) per riempire un vuoto che - volente o no - andava riempito con quello che Verdi aveva progettato. Forse un bunga bunga, come dici tu, sarebbe stato moderno... ;)
RispondiEliminaMassì, secondo me è un po' quella crassa volgarità di poco prezzo che viene messa in scena. Pure se fossero gli stessi protagonisti a inscenarlo, senza ricorrere a dei danzatori che fanno sempre l'effetto di pesci fuor d'acqua, muti mentre gli altri si sgolano. Quanto al lato visivo, io l'ho ascoltata alla radio, quindi non posso esprimermi.
EliminaBeh, secondo me hai perso allora l'80% dell'impegno di questa messa in scena. Musicalmente non è stata eccezionale; ciò che è contato (e ho letto un ben più degno commento sulla Stampa durante le vacanze natalizie) è stato proprio rivedere il concetto stesso di Opera spostando il baricentro sulla fase teatrale. Non più teatro di belle statuine con voci anche sublimi (vedi il povero Pavarotti, voce unica ma teatralmente nullo anche grazie al fisico), ma attori che cantano, e pure bene. Mica pizza e fichi...
EliminaSe l'hai persa, prenditi tre ore e guardala qui
Grazie, adesso ci provo!
EliminaNel leggere la storia delle chiavi sono stato in ansia per te. A me è capitato di chiudere inavvertitamente la porta di casa mia con le chiavi attaccate all'interno. Sono stato in ansia tutta la mattina fin quando è venuta mia figlia con le sue seconde chiavi. Anch'io sono rimasto un po' perplesso della nuova Traviata meneghina, ma soprattutto mi sono chiesto se esistono ancora interpreti italiani.
RispondiEliminaCaro Andrea gli interpreti italiani non è che facciam molto per svilupparli. Anche qui, vedessi in Francia la quantità di stranieri che vengono a studiare. Inutile girarci intorno: se non crei strutture idonee e funzionali allo studio e all'apprendimento, se non dai le occasioni di mettersi alla prova, il genio non cade dal cielo, l'arte nemmeno.
EliminaLa traviata è l'opera che ho conosciuto per prima, da un disco che mia mamma faceva suonare nel giradischi quando ero una bimba.
RispondiEliminaHo ascoltato anch'io la versione dello scorso 7 Dicembre e... mi sono trovata bimba di nuovo.
Bello crescere a suon di musica, quella VERA quella GRANDE.
Bello ritrovarsi, anche in questi gusti, con un'amica lontana.
Baci
Nora
Uh, Nora, come hai ragione. Ho imparato a amare la musica dal giradischi di casa. E dai concerti cui mi portava mia zia. Non scontato poterlo condividere. Un abbraccio
EliminaPellegrina, non conosco la Traviata nè altre opere, se non le arie (si dice così?) più celebri che conosce il popolino, ma tu ne hai fatto una così bella e accorata analisi che mi è venuta voglia di sentirla...anche se non riuscirei cmq a cogliere tutte le tecnicità e le finezze. Però ora, leggendo il tuo bel post, so qualcosa in più .-E tu? Vedo che va meglio, no? Vedi, quando si è positivi tutto va bene, e anche le chiavi di scorta sono ..al loro posto (assurdo, vero?);-)
RispondiEliminaCiao e buona giornata
Cinzia
Cara Cinzia, questione di pratica... come per lo zabaione. Prendere confidenza, ascoltare ciò che ci ispira e come ci ispira. Insomma, conoscere. Soprattutto mai lasciarsi spaventare!
EliminaLa tua frase sulle chiavi di scorta la incornicio. Arrivare qui è stato un miracolo e ancora non ci credo. Speriamo ne seguano altri - io ci sto provando.
P.S.: arie va bene.
Ciao Pellegrina, ho risposto ai tuoi commenti. Grazie, mi fanno sempre piacere .-)
RispondiEliminaBuona giornata!
Cinzia
Arrivo!
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