Per una settimana soltanto, e sono già tornata.
Ci saranno 50° all'ombra, l'aria è pesante. Il 5 piano di vetro cemento è in pieno sole, male isolato: cuociamo a bagno maria. Siamo avviticchiati a libri carichi d'anni mentre un sorridente funzionario appaga tutte le nostre curiosità. Nessuno demorde, nessuno scappa: tutti restiamo fino alla chiusura. E tutto sommato, oserei dire, siamo felici. Troppo assorti nelle nostre passioni, nel nostro lavoro, per essere infelici per un po' di caldo. Io almeno lo sono.
La sera uno scroscio m'infradicia e mi ridona il respiro. All'ingresso di un'antichissima abbazia, una locanda dagli anni immemorabili offre verdure rinvigorenti e piatti robusti. Scrivo al tavolo fino a tardi.
Giorni di fatica e di studio profondo, di sintesi, di parole ben dette, di soddisfazione, di felicità. Di sonni brevi e intensi. Di indimenticabili passeggiate notturne sull'argine del fiume, sotto la luna piena in cerca di una catena, nel vento della sera. Purtroppo anche di ritardi, di rabbia e paura che escono dal petto in modo sbagliato. La frustrazione di questi anni d'incertezza prende la mano, si manifesta a sproposito, in un discorso confuso, speriamo di poter rimediare, scriviamo una lettera più ragionata. No, non ho insultato nessuno, ho solo fatto un discorso sconclusionato e persino sgarbato quando hanno sollecitato il mio parere nel secondo appuntamento della settimana. Sono più forte scientificamente ma più debole personalmente: le due cose cozzano e non combinano la migliore delle impressioni. L'incertezza, la mancanza di status, di mezzi, di riposo, di sostegno, l'accumulazione di mille urgenze e necessità di creare, ma senza sbocchi sicuri, hanno il loro effetto, devastante agli occhi miei che mi sento traballare per la tensione senza soste senza soste mai.
Ma ricevo anche complimenti, apprezzamenti, ammirazione, regali, consigli, incoraggiamenti. Ed è importante.
Il giorno della partenza, da sola, faccio una passeggiata tornando all'antica abbazia. Un frugoletto nerissimo, tutto treccine crespe, vestito della festa bianco e blu, mi guarda correndo sul marciapiede, incerto sulle gambotte. Ride come solo i bambini che scoprono il mondo sanno fare. Si ferma esitante. Gli apro le braccia e lui corre, corre per trenta metri buoni ridendo di felicità per gettarvisi dentro. Lo stringo, lo alzo, gli faccio fare un giro volando. Mi resta in braccio contento, rilassato, a prendersi calore e carezze. Poi si divincola e chiede di essere posato a terra, com'è naturale, per correre verso nuove avventure. Lo prendo come augurio e benvenuto, per tutti e due.
Così dovrebbero essere gli umani, se non li guastassimo con le nostre ossessioni e paure.
domenica 22 giugno 2014
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Io credo che noi adulti avremmo molto da imparare dai bambini. Quanto meno dovremmo osservarli di più!
RispondiEliminaConcordo su ogni lettera!
RispondiEliminaI bimbi, specchio dei nostri cuori e delle nostre anime prima della corruzione della Vita.
RispondiEliminaBelle queste immagini. Bella la tua voglia di riuscire.
Bello (spero) il tuo futuro.
Baci
Nora
PS - Ad un anno dal nostro incontro .... mi manchi!
Dobbiamo festeggiare l'anniversario, allora!
EliminaE' giusto quello che dici dei bambini. E grazie del tuo augurio.
Sono confusa, in che senso sei "tornata"?
RispondiEliminaAldiqua o aldilà delle Alpi?
Io domani volo indietro in Olandia per qualche giorno. Sono emozionata da morirne
Buon viaggio, te lo godrai di certo.
EliminaVivo sei mesi in Francia e sei in Italia, in mancanza di un lavoro nel pays de coeur. Ho passato qualche giorno in Francia per un convegno.