Una cara amica mi ha scritto stupendosi di come nella mia situazione di incertezza sul futuro che vorrei io riesca sembrare soltanto entusiasta di ciò che riesco a fare senza cedere alla rabbia e alla rassegnazione.
Le sono grata davvero per queste parole molto preziose per me, e per tante altre cui risponderò spero presto in modo più personale, ma la rabbia c'è, eccome. Ancora più c'è l'inquietudine per l'incertezza, che mi paralizza spesso mentre dovrei concentrarmi solo sui compiti da svolgere, che sono anche difficili, certo, ma sono comunque fattibili ed amati.
Invece no. Non sempre. Non sempre riesco a essere serena e pronta, perché rosa dal tarlo della preoccupazione di chi si trova crudamente al centro di un processo storico condotto da forze che nessuno sembra voler contrastare. Come adesso che giro in tondo da settimane su una cosa ormai perfettamente risolvibile in un paio di giorni. E mi dispero, e mi riangoscio peggio.
Perché le difficoltà in cui mi dibatto io (almeno in gran parte), in cui si dibattono l'Italia e l'Europa tutta, hanno un nome (non personale, anche se molte persone gli hanno volentieri prestato il loro) e un'origine. Questo ne è il Manifesto spietato (firmato da un volenteroso carnefice tra i tanti e non peggio di tanti), e noi oggi ne subiamo le conseguenze. Altro che crisi! La crisi è il risultato di queste azioni e dei mezzi con cui sono state messe in pratica, non un fenomeno incomprensibile dovuto alla volontà divina.
Ma non sappiamo vederlo.
E ora spero di recuperare sufficiente serenità per finire questo benedetto lavoro che avrebbe dovuto esserlo già sabato.
Ma non dimentico. E non posso dimenticare chi come e perché ha scientemente gettato nella miseria un continente intero, che aveva prodotto il più civile modello di convivenza che l'umanità abbia conosciuto. Per compiacere la propria infinita avidità.
Né posso dimenticare la cecità e la superficialità voluta con cui si rimuove il problema, si alzano le spalle, ci si gratifica con consumi scadenti "perché bisogna pur pensare ad altro" o "bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno", "perché tanto è cosiììììì" e altre idiozie narcotiche, non ci si informa, non si sceglie, non si pensa a demolire questi vagoni piombati.
Questi i principi che hanno distrutto e stanno distruggendo il presente e il futuro di troppi (il grassetto all'interno del testo è mio):
" Interventi strutturali difficili ma obbligati
BERLINO E PARIGI RITORNO ALLA REALTA'
I governi di Francia e Germania sembrano aver scelto, ormai senza
riserve, la strada di quelle che il gergo economico chiama riforme
strutturali. Non sappiamo se andranno fino in fondo; ma se poniamo
questa scelta in prospettiva possiamo comprenderne il significato
storico e anche azzardare una previsione. Solo sei anni fa Francia e
Germania si autoiscrivevano con sussiego nel nucleo dei Paesi in regola
su tutto: inflazione e bilancio, direttive europee e stabilità
politica. In realtà i semi delle difficoltà già maturavano. La
Germania aveva vinto per anni, decenni, combinando la superiore qualità
dei suoi prodotti industriali (chi compra una Mercedes non bada al
prezzo) con la superiore stabilità dei prezzi: le periodiche
rivalutazioni del marco premiavano la combinazione ma vi contribuivano
anche, perché proprio esse calmieravano i prezzi. La Francia, dopo la
svalutazione del 1983, aveva preso la ferrea determinazione di fare
«come e meglio della Germania»; un severissimo controllo dei salari
accrebbe anno dopo anno la competitività favorendo la crescita. Proprio
il successo della rincorsa francese contribuì a indebolire l' arma
vincente della Germania. Nel 1992-' 93, rifiutando la svalutazione sul
marco, la Francia si difese da un ritorno al vecchio male. Nell'
ultimo decennio entrambi i percorsi si sono fatti impervi. Anzitutto per
la Germania, aggravata dai costi della riunificazione e dalla perdita
del vantaggio di prima della classe. Poi anche per la Francia, dove si
esaurivano i margini della disinflazione competitiva. Quando la corsa
dell' economia americana cessò di far crescere tutti, le magagne di
ciascuno divennero evidenti e il bisogno di curarle urgente. Francia e
Germania si ritrovarono con disoccupazione e disavanzo pubblico pesanti;
da severi maestri della stabilità divennero scolari senza il compito
fatto. Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello
di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar
funzionare le leggi del mercato, limitando l' intervento pubblico a
quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica
compassione.
Nell' Europa continentale, un programma completo di
riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della
sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev'
essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di
protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente
allontanato l' individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere,
con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi
difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la
buona salute, dono del Signore [! Qui credo si violino proprio i diritti umani] ; la cura del vecchio, atto di pietà
familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il
titolo di studio o l' apprendistato di mestiere, costoso investimento [e anche qui non stiamo messi bene, come diritti umani].
Il confronto dell' uomo con le difficoltà della vita era sentito, come
da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più
divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l' individuo
bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche
degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più
meriti né doveri, rivendica dallo Stato. Germania e Francia sono
Paesi con forte struttura dello Stato, consapevoli di sé, determinati a
contare nel mondo, sorretti da classi dirigenti attente all' interesse
generale. In entrambe, il modello di società (lo stesso dell' Italia) ha
bisogno di coraggiose correzioni, diverse e in qualche caso maggiori di
quelle necessarie all' Italia. Le difficoltà sono notevolissime. Ma
riesce difficile pensare che, imboccata la strada, i due Paesi non
sappiano percorrerla con determinazione.