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Toulouse en érasmienne

sabato 11 giugno 2016

Come non erano

Un film strappacore degli anni Settanta, pardon, una commedia romantica USA, sarebbe stato trasmesso alla televisione italiana nei giorni scorsi. Trama: l'incompatibilità di carattere in una coppia dagli stili di vita e dalle idee politiche diverse che si incontra negli anni Trenta e si separa negli anni Cinquanta, attraversando il periodo del maccartismo. Attori protagonisti e regista tre ottimi professionisti, simboli del cinema appena increspato di critica ma che voleva passare per rivoluzionario del periodo. Prodotto adattissimo a sollevare gemiti e rimpianti in chiunque abbia trovato sulla sua strada un irresistibile individuo che comportasse le medesime diversità di quelli del film, rivelatesi impossibili da superare. Naturalmente con un finale consolatorio quanto basta: lei si risposa, vivendo non si sa di cosa perché simili dettagli sono evidentemente secondari al momento di rifarsi una vita da ragazza madre per di più di sinistra sotto il maccartismo, lui passeggia con ragazzotte cui il suo lavoro e la sua posizione sociale fanno più colpo che problemi. Si amano ancora verosimilmente, ma che vuoi farci la vita è così.
Forse questa storia alla fin fine intimista avrebbe dovuto avere tutt'altro significato. Sarebbero state girate diverse scene tagliate alla prima proiezione, cosa abituale nel cinema Usa. Stavolta però sotto i tagli rimane proprio quella che spiega la reale e brutale situazione dell'impossibile convivenza tra i due: data l'attività politica di lei, al marito era stato posto l'aut aut tra lasciarla o perdere il lavoro come sceneggiatore in California. Oppure ovviamente, cambiare lavoro o cambiare paese. Lui aveva scelto, come dire, la carriera?
Personaggio e storia ne escono molto diversi. Conservandone unicamente il sostrato di origine, consapevole fino a un certo punto della differenza sociale e culturale, ma privo della ragione che metteva il protagonista maschile davanti alla scelta definitiva, si crea una romantica commedia sulle "belle cose che finiscono" che possono causare pianti ma non eccessivi, eh, ché domani mattina si lavora, là dove si tentava di parlare di uno dei momenti più oppressivi e bui della recente storia statunitense.
Non male come stratagemma per deviare la tensione e l'attenzione da quanto è determinato da una causa sociale verso la sempiterna tentazione anglosassone delle responsabilità individuali. Certo il protagonista maschile ha la responsabilità di una scelta in entrambi i casi, ma il contesto sociale e politico nella versione originale, rimane presente nella forma più oppressiva e invasiva, e l'individuo del ceto medio alto, che non si ritroverebbe in miseria perché benestante d'origine, palesa un conformismo che grazie ai tagli gli viene risparmiato.
Il film diventa in questo modo una sorta di antenato di un'altra storia che ha fatto versare lacrime e balbettamenti davanti al candore del protagonista, distratto da piume che volteggiano. Anche lì viene rappresentata una sorta di coppia che attraversa i decenni simbolizzando due mentalità che si dividono gli USA. I protagonisti però stavolta vengono dalla piccola borghesia, quindi sono di ceto inferiore rispetto a quelli del primo film. La loro consapevolezza del periodo che attraversano è molto minore; lei anziché un'attivista è piuttosto una sbandata tossicomane. Negli anni Novanta le motivazioni sociali che potevano essere allettanti al botteghino degli anni Settanta sono del tutto scomparse Trionfa la storia dei traumi prettamente individuali, nello stile del pastone visivo e di sceneggiatura del cinema locale, lo stesso che sterminerà anni dopo uno dei più bei testi letterari, ricchissimo di sfumature e dettagli, quello tolkeniano, in una brutta macchina da videoclip.
Ma il taglio ricorda anche una serie di lacrimosissimi e angosciantissimi libri e film in cui il non detto rendeva incomprensibile lo svolgimento del tema dell'incompatibilità di coppia, trattandosi spesso dell'omosessualità del protagonista, nota alla sua cerchia ma non ai lettori o agli spettatori (vedi Il tè nel deserto), la cui repressione avrebbe dato materia di comprensione e di analisi di ben altro peso a tanto deprimente dolore grondante da ogni sillaba.
L'incompatibilità di coppia diventa la più affascinante delle scappatoie davanti alla censura o all'autocensura, alimentando il mito probabilmente inesistente del "non c'è un perché". C'è sempre un perché, più spesso manca il coraggio di assumerlo.
I primi due film sono dei begli spettacoloni, intendiamoci, meglio recitato il primo che il secondo, sono macchine che funzionano nella loro raccolta indifferenziata di situazioni commoventi. Il terzo è una giustapposizione di scene che hanno il solo scopo di favorire lunghe panoramiche di scontri tra mostriciattoli cari al regista e si suppone ai produttori, praticamente assenti nel testo originale.
Ma quello che funziona egregiamente in tutti e tre è il meccanismo di condizionamento dell'immaginario: la scomparsa di ogni complessità dalle storie e dai contesti storici o dalle strutture letterarie e stilistiche alla base delle trame, per farne una rassicurante melassa da cui si esce impiastricciati ma salvi. Soprattutto senza domande: bastano i rimpianti ad occupare la mente,
In ciò adempiono perfettamente alla funzione del cinema hollywoodiano: da questo punto di vista li si può definire ideologicamente dei capolavori.


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