Con tutto cio’ un minimo di dislivello decente con cinque ore di cammino qui non si trova.
Morale sono stata obbligata, pena paralisi, a iscrivermi a quel luogo alienante che è per me la palestra. Alienante per le condizioni in cui oggi vengono concepite: rigorosamente sottoterra, rigorosamente con la luce al neon, più o meno variopinta non importa sempre uno strumento di tortura è, e soprattutto tonitruanti di musica criminosa. Poco da fare, per chi scrive qui l’elettrificazione e l’amplificazione sono delitti aggravati dall’efferatezza. Inquinamento acustico al plutonio. Soprattutto per chi vorrebbe soffiare in santa pace accompagnata al più dal discreto sospiro del clavicordo, se proprio non si possono avere le brezze delle cime. Virginale quando vogliamo esagerare.
Il culmine della frustrazione e dello stress, tanto più che le attività concessemi sono molto poche.
La cosa che meno mi convince è il ritmo tutto scatti e strappi e sforzi, invece dei tempi lunghi e degli sforzi prolungati e regolari che lasciano il tempo di interagire con l’esterno anziché rinchiudersi nell’ossessiva ricerca della prestazione cronometrata.
Adesso capisco perché i miei venti chilometri a piedi colpissero i frequentatori di palestre come fossero un’impresa straordinaria invece che la routine, quando non c’è pendenza.