Arriva venerdì sera. Domani sarà sabato e fra una settimana Pasqua.
Il certificato ce l’ho. Ho anche i consigli del conoscente: vai al patronato, a noi quando l’abbiamo fatto da soli l’avevano negata (con una diagnosi di demenza tipo Alzheimer), con loro no.
Ho un numero di telefono di una sede vicino a casa mia, ma non risponde nessuno. Vedremo.
Appena il tempo di scrivere di corsa, senza troppo dilungarmi, la ricetta del risotto del venerdì sul tema del quinto quarto.
Come definire i limiti del quinto quarto? tutti sanno cosa sia, ma cosa lo identifichi non è chiaro. Si tratta forse di quanto è contenuto in una parte specifica del corpo o in più d’una, come ciò che si trova nella gabbia toracica e nella scatola cranica? No, perché ne fanno parte la coda e in certi casi le zampe. Si tratta quindi di una classificazione legata al pregio del taglio, inferiore a quello dei primi quattro quarti? Neppure, dato che fegato e uova di pesce possono essere fra le parti più pregiate. Non solo alcune parti dei visceri, ma i visceri stessi possono essere costosi e rari: il risotto alla coratella non è certo un piatto povero. Difficile quindi trovare un aspetto comune a tutte le parti così chiamate, se non quello di essere altro dal muscolo e dal grasso, carni per eccellenza. Lo stesso nome mette il taglio fuori dalla norma: il quinto dei quarti non esiste.
Definire il quinto vegetale, che Cristina ha proposto insieme a quelli animali, pare più semplice: si tratta di scarti. Da sempre riutilizzati hanno vissuto un momento di particolare pubblicità sulle riviste di cucina sette o otto anni fa. Era il momento in cui avvolti in spessi panni di ottima lana ormai introvabili per i comuni mortali, ci si spiegavano i pregi della frugalità mentre ci si tagliavano i redditi, come se riciclare le foglie del ravanello potesse farci superare indenni un taglio dei salari, una sanità privatizzata o un destino da esodati.
Poi ci si accorse che recuperare un certo tipo di scarti, cioè quelli più fruttuosi, come la buccia dei piselli, costava troppo in termini di tempo e di fatica, a meno di non essere professionisti. A volte non portava nemmeno tutti questi vantaggi, come con le bucce di pomodoro... Silenziosamente l’ostentazione del recupero passò di moda. Lasciò appena la vaga consapevolezza che forse le generazioni precedenti non avevano tutti i torti né tutti i vizi degli scialacquatori quando avevano cessato di continuare abitudini nate sulla fame secolare e disperata.
Fedele al principio dello scarto e con un piccolo gioco di parole, ho optato per un riso vegetale fatto con quello che avevo in casa, utilizzando solo materiali che normalmente sarebbero stati buttati. Fare un piatto che andrebbe caratterizzato dal recupero dello scarto unendovi ingredienti costosi o comunque comprati apposta svuoterebbe di senso il tema del quinto quarto. La sfida è stata tutta sulla sottrazione e sul limite, volendo individuare ciò che rimane tolto il quarto “rosso” e sostanzioso e quali possibilità di nutrire possa dare.
Risotto amaro di erbe
Ingredienti:
Scarti di una pianta di lattuga: foglie, gambo, torsoli
Foglie di sedano piccole, verde chiaro
Cipolla germogliata
2 manciate di riso
2 cucchiai di olio
Scorza di limone
Brodo:
Foglie di sedano
Pepe del Madagascar 3 grani
Semi di finocchio un cucchiaino
Ginepro 3 grani
La vigilia, volendo:
Sbucciare i torsoli di lattuga.
Tagliuzzare i germogli di cipolla, metterli in una casseruola con 1 cucchiaio di olio e 1 di acqua, unire la lattuga a striscioline, stufare lentamente, unire acqua fino a cottura se necessario. Frullare.
Il giorno dopo:
Preparare un brodo di verdura con foglie di sedano e spezie.
Rosolare due strisce di buccia di limone nell’olio, poi un pezzetto di cipolla, quando è translucida unire il riso, portare a cottura con il brodo. Cinque minuti prima della cottura unire la crema di lattuga. A cottura unire foglie di sedano tratte dal cuore, scorze di limone, un cucchiaino di olio.
Se c’è una crosta di pecorino non lasciarla sola in frigo... Io non l’avevo.
La lattuga da cotta diventa come si sa amarognola. Questo ravviva il riso e il sedano crudo dà spessore e aroma a un piatto da quarta o quinta settimana, appunto povero, semplice e vegetale.
Fonti:
L’idea di accoppiare il riso al sedano viene da un vecchio numero del 2008 della Cucina italiana.
L’idea del brodo di sedano viene dalla Maestra.
Ho dovuto riaprire e correggere due strafalcioni. Ma è ancora venerdì!