Fine della mia libertà. La vita che ho condotto in questi due anni (e scema me che avrei potuto farlo per tre e che per un senso del dovere non ne ho profittato quando era il tempo) sarebbe parsa a tanti dissennata, insostenibile, insana, eremitica. Soprattutto a questi ritmi. Non m'importa. Per due anni ho vissuto con la mia dignità e non è poco, l'ho conosciuta troppo poco nella mia vita la dignità. In questi due anni i dispiaceri veri mi sono venuti solo e soltanto dall'Italia. Ora devo tornare a un paese che non amo e non ho mai amato, dove mi sono sempre sentita straniera, che sta precipitando nella povertà e nell'abbrutimento da epoca vittoriana di ritorno che sta demolendo le sue università, la sua cultura. Siccome non ci si deve lamentare, diciamo che ho sviluppato l'arte di rimuovere lo strazio fino a un attimo prima dello schianto, quindi reggo e penso al lavoro. Ma sono difronte a un muro altissimo e senza spiragli. Certo, la prospettiva che ho è di ritornare qui, nel mio paese dell'anima, dopo sei mesi, per sei mesi, ma il futuro della longue durée non si vede all'orizzonte. E gli anni pesano sulle mie spalle, sul mio cervello, sul mio corpo sulla mia energia (soprattutto sui miei mancati contributi).
Vorrei almeno finire bene il mio lavoro, anzi tutti quelli che ho iniziato e intuito in questi anni, al punto che mi sembra di esserne plurigravida senza ancora riuscire a partorire. Sarò mica un pitone che ha divorato un branco di elefantesse per merenda? Rotondità sinusoidali (e rotondetta lo sono, in effetti, ma sinusoidale no, però!).
Quella torretta lassù che magari è solo un lucernario circondato da minacciosi, fumosi comignoli, io me la immagino come una grande stanza luminosa e ariosa. Vorrei che la mia casa fosse così: piena di sole, con tutti gli orizzonti aperti e liberi davanti a sé, in alto, librantesi nell'aria, pronta per spiccare e sperimentare nell'ignoto, con la vista amplia a abbracciare sempre tutto il mondo già noto.