La prima fu lei, naturalmente. A proporre di incontrarsi. E poi a raccontarlo in un paio di memorabili e vellutati post, per cui ancora non ci sono parole.
Non fu l'ultima, altri incontri si aggiunsero. Fino a quel messaggio di posta elettronica quindici giorni fa: "Noi siamo nella casetta gialla per tutta la settimana: ti aspettiamo", in cui una foodblogger lombarda apriva le porte di casa e della sua famiglia a un'altra sconosciuta lombarda (di origine se non di stanza). E quale casa: la casa del cuore, direbbero i Francesi, arrampicata a mezza costa di una stretta valle sui monti biellesi, dalla porta avvoltolata di rose e dentro il lavoro di qualche lustro per renderla propria, per custodirla e restituirla a nuova vita, dal tetto, coperto di nuove elegantissime tegole fatte all'antica, alla cantina, trasformata in serra.
Aprire le porte, trattandosi di Nora, non è metafora esagerata. Lo stile della sua accoglienza non si è smentito mai, a partire dall'aplomb con cui ha incassato l'annuncio dell'orario impossibile in cui li avrei tirati giù dai boschi per venire a raccogliermi alla stazione di Biella: "Bene. Verremo", ha replicato senza batter ciglio: "Avrò in mano una rosa del mio giardino". Nulla del resto la descrive meglio della citazione che ha messo in testa al suo blog, sotto la pianta di glicine.
Per non parlare del programma del loro w-e rifatto a partire dalla mia visita. E della poesia di benvenuto.
E delle rose sul comodino.
E della polenta di Storo, il paese alle porte del mio amato Trentino, lì pronta e inaspettata sulla griglia ad accogliermi all'arrivo.
Della gentilezza dei suoi xy, come li chiama lei, che le ruotano intorno, pazienti e sorridenti.
Degli xenia, i doni ospitali con cui sono ripartita.
Delle due insalate, tema della sfida del mese, generose, ricche, come tutti i suoi piatti, che mi ha dedicato sul blog questa settimana. Delle sue ricette ho sempre apprezzato la compenetrazione con una tradizione, quella lombarda e nordica, rivista e sviluppata con amore e affetto e pienezza, senza lambiccamenti come senza casalinga routine.
Delle notti passate a parlare fino a mezzanotte, e poi a impastare e cuocere fino nel cuore delle ore del silenzio.
Ho ricevuto una lezione sul campo di impasto pane a mano.
E abbiamo raccolto fragoline per ogni dove.
Quanto a me ho sfacciatamente e irruentemente, secondo mio solito, saccheggiato madia, dispensa, giardino delle erbe,
sbafandomi entusiasta una crostata ai fichi intera - io che non mangio crostate, ma questa sì!!! e lo stufato di asino alla fiera di Veglio sotto una luna piena inverosimile, dicendo, come mio solito, la mia su ogni questione.
Li ho trascinati a zonzo per boschi e prati pieni di frescura e di luce, dove all'improvviso due caprioli hanno fatto capolino correndoci accanto in tutta la loro grazia. Uno era timido: si è subito nascosto nel folto. L'altro aveva voglia di giocare. Forse a nascondino, come fanno i bambini piccoli. Si è rintanato dietro un gruppo di tronchi ma non è scappato. E' rimasto lì ad osservare il nostro gruppo, allungando curioso la testolina tra i rami.
I tetti di Camandona.
La notte, nel grande letto, una volta spenta la candela, (per me non c'è modo più bello di andare a dormire che farlo a lume di candela, lo facevo sempre nella nostra casa di montagna), la finestra restava aperta, e ritrovavo il profumo dei boschi. La luna piena sul letto.
La chiesa di Veglio, un tripudio di colori e stucchi tardo-cinquecenteschi, un inno iconografico alla Controriforma (queste contrade erano percorse frequentemente dal cardinale di manzoniana memoria) da studiare riquadro per riquadro, nella sua insolita vivacità.
Così abbiamo dato il benvenuto al solstizio d'estate.
Dandoci forse appuntamento nel cuore dell'estate, ai Miracoli, chissà.
Gli XY in passeggiata:
Come prendere le misure alle fontane (XY n. 1)
"Una porta veramente ben sistemata, ecco!" (XY n. 2).
XX.
E, ovviamente, ancora le rose.
domenica 30 giugno 2013
lunedì 24 giugno 2013
martedì 18 giugno 2013
Latinorum
Al momento, invece di due lavori, ne faccio uno (a tempo pieno, però). Uno solo, fino a Ferragosto, ho deciso. Dopo, ricomincerò a farne due, perché questo lavoro soddisfazioni, no, non me ne dà. Puramente alimentare, come dicono lassù. Devo cercarne altrove.
Così adesso ho tempo per (piccoli) gesti gratuiti. Per esempio, dopo infinito tempo, ho tempo per provare a tradurre una poesia in latino, piovutami sul tavolo.
Faune, Nympharum fugientum amator,
per meos finis et aprica rura
lenis incedas abeasque parvis
aequus alumnis,
si tener pleno cadit haedus anno,
larga nec desunt Veneris sodali
vina craterae, vetus ara multo
fumat odore.
Ludit herboso pecus omne campo,
cum tibi Nonae redeunt Decembres;
festus in pratis vacat otioso
cum bove pagus;
inter audacis lupus errat agnos;
spargit agrestis tibi silva frondis;
gaudet invisam pepulisse fossor
ter pede terram.
E' come fare un puzzle; e se senza dizionario il significato di tre o quattro parole mi sfugge ancora, il quadro si rimette insieme, l'atmosfera antica e rustica voluta dal più raffinato dei poeti risorge. Mi piacerebbe ricordarmi meglio la metrica, decifrare ancor oggi la musicalità di questo antico canto.
Soprattutto è il piacere di fermarsi a godere qualcosa di bello: giocare, senz'altra ragione che la voglia, nessun dovere.
P.S.: Orazio, Odi, III, 18.
P.P.S.: siccome il mio cervello non sa stare fermo, eccolo lì a suggerirmi che forse forse qualcosa in questa poesia se l'è ricordata Leopardi. Cellule, basta, adesso.
Così adesso ho tempo per (piccoli) gesti gratuiti. Per esempio, dopo infinito tempo, ho tempo per provare a tradurre una poesia in latino, piovutami sul tavolo.
Faune, Nympharum fugientum amator,
per meos finis et aprica rura
lenis incedas abeasque parvis
aequus alumnis,
si tener pleno cadit haedus anno,
larga nec desunt Veneris sodali
vina craterae, vetus ara multo
fumat odore.
Ludit herboso pecus omne campo,
cum tibi Nonae redeunt Decembres;
festus in pratis vacat otioso
cum bove pagus;
inter audacis lupus errat agnos;
spargit agrestis tibi silva frondis;
gaudet invisam pepulisse fossor
ter pede terram.
E' come fare un puzzle; e se senza dizionario il significato di tre o quattro parole mi sfugge ancora, il quadro si rimette insieme, l'atmosfera antica e rustica voluta dal più raffinato dei poeti risorge. Mi piacerebbe ricordarmi meglio la metrica, decifrare ancor oggi la musicalità di questo antico canto.
Soprattutto è il piacere di fermarsi a godere qualcosa di bello: giocare, senz'altra ragione che la voglia, nessun dovere.
P.S.: Orazio, Odi, III, 18.
P.P.S.: siccome il mio cervello non sa stare fermo, eccolo lì a suggerirmi che forse forse qualcosa in questa poesia se l'è ricordata Leopardi. Cellule, basta, adesso.
sabato 15 giugno 2013
Gusti: al ritorno da una sera di quasi estate
Ora, premesso che sono di gusti difficili, e che per me ogni genere apparso dopo Rock around the clock è semplicemente imballabile (eccetto Goran Bregovic), un uomo che non ti porta a ballare è un uomo inutile.
Ecco.
Postilla: sette anni fa nella mia vita c'è stato un terremoto. Difficile trovare risvolti positivi in questo avvenimento. A parte un dettaglio: sono sparite dalla mia vita le noiosissime cosiddette feste. Non quelle natalizie che a me non han mai dato particolarmente fastidio. No, parlo di quelle ammucchiate eterogenee di persone incongrue in mezzo metro quadrato, con colonna sonora sovrastante qualsiasi interazione non urlata, cui spesso si viene invitati per far numero, ognuno resta nel suo gruppetto e raramente si va oltre. Essendo fuori moda, per me il numero della compagnia ideale resta sempre tra quello delle Grazie e quello delle Muse, preferibilmente seduti a tavola. In Francia una cosa piacevole delle feste sono il cercle (tutti si siedono in circolo e si gioca a parlare con entrambi i vicini), e il fatto che quasi tutti conoscano attivamente la musica, per cui è raro che a un certo punto non si canti o non si suoni tutti insieme. Francofila come sono, mi fa sempre effetto sentirli cantare in coro canzoni storiche di questa terra, di quelle che si direbbero esistere solo nei dischi o nei film e che invece fanno davvero parte di loro. Sempre intonati, all'unisono e senza urlare (non come i nostri strazianti stornelli).
Ecco.
Postilla: sette anni fa nella mia vita c'è stato un terremoto. Difficile trovare risvolti positivi in questo avvenimento. A parte un dettaglio: sono sparite dalla mia vita le noiosissime cosiddette feste. Non quelle natalizie che a me non han mai dato particolarmente fastidio. No, parlo di quelle ammucchiate eterogenee di persone incongrue in mezzo metro quadrato, con colonna sonora sovrastante qualsiasi interazione non urlata, cui spesso si viene invitati per far numero, ognuno resta nel suo gruppetto e raramente si va oltre. Essendo fuori moda, per me il numero della compagnia ideale resta sempre tra quello delle Grazie e quello delle Muse, preferibilmente seduti a tavola. In Francia una cosa piacevole delle feste sono il cercle (tutti si siedono in circolo e si gioca a parlare con entrambi i vicini), e il fatto che quasi tutti conoscano attivamente la musica, per cui è raro che a un certo punto non si canti o non si suoni tutti insieme. Francofila come sono, mi fa sempre effetto sentirli cantare in coro canzoni storiche di questa terra, di quelle che si direbbero esistere solo nei dischi o nei film e che invece fanno davvero parte di loro. Sempre intonati, all'unisono e senza urlare (non come i nostri strazianti stornelli).
venerdì 14 giugno 2013
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