Post lungo e riflessivo…
Poco da fare. Si sa che non sono alla moda. Allora, perché tentare di voler
sembrare ciò che non si è, dice sempre lei.
Le feste di fine anno mi piacciono. Un sacco. Da sempre. Come i dolci che le accompagnano. Finora
non ci sono segni di cambiamento, né di convinzione né di sentire. Né quando ho
festeggiato, né quando non è stato possibile farlo. Né su un treno, né a letto
con la febbre – ciò che mi capita a volte, perché le vie respiratorie
sono il mio punto debole, e grazie – ma mille volte grazie sentitamente – a
tutti coloro che, dimenticandosi del sacrosanto tutti sono utili, nessuno è
indispensabile, decidono che loro “se la fanno in piedi”, perché non possono
fermarsi, perché a casa non ci sanno stare, perché se no crolla l’ufficio, perché
“tanto non ho la febbre“, perché loro sono più forti, più bravi, più sportivi, più
competitivi (ma andassero alla Toyota), più protetti dal dio della soia, più a
contatto con le potenze invisibili o so io. Di certo sono piùn nel
regalare generosamente microbi a chi è costretto a stargli intorno dai loro
sfoggi di eroismo, o addirittura malinteso civismo, non c’è che dire, e a
causare problemi ben peggiori dei loro al loro prossimo. Questo post non si
sarebbe trasformato nell'elogio di cotanti eroi del nostro tempo se non fossi
da due mesi impelagata in un’infezione che non passa, bensì passeggia da un
organo delle mie vie respiratorie all’altro, soggiornandovi a quanto pare con
suo estremo diletto, e non fossi, con le poche forze che ho ancora e il
portafogli ormai gonfio di azioni di fabbricanti di fazzoletti,
antinfiammatorii e medicine varie, assolutamente fuori di me per il tempo, le
energie, le occasioni e i
doveri che ho dovuto buttare tentando, ahimé invano, di
migliorare. Finisco per sbadataggine con l'annegare le passioni nei fomenti... E no, il vaccino serve per proteggere chi ha patologie serie, gli
anziani, i cardiopatici. Non sono ancora in quelle condizioni e non ne
approfitto, quindi. Ma quando sento, o leggo, dell’ennesimo che proclama, con malcelata
soddisfazione per la propria performance: “andavo in giro con la febbre a 39°,
passata in tre giorni tutti in piedi, basta avere la volontà di non dargliela
vinta”, be’ la prossima volta che sternutisce avrei voglia di fargli un bondage
preventivo per la salute pubblica (e forse, hai visto mai, anche per il suo ego
prestazionista), bene più prezioso di una prestazione privata. [Ciò che scrivo
non si applica ovviamente a quanti, magari precari o in nero a causa di mancati
controlli e di una legislazione scellerata, sono costretti a lavorare col
ricatto anche se stanno male. In quei casi dovrebbe finire al fresco il datore
di lavoro e restarci molto ma molto a lungo.] Sfogato appena il pessimo umore,
ritorno a dire che per me il periodo tra vigilia e epifania è sempre stato
uno dei più belli, di cui ho sempre tentato di approfittare godendomene ogni
singolo giorno. Certo, ho avuto la fortuna di godermi quelli della mia infanzia
in una bella atmosfera familiare, in tanti, anche se pochi bambini,
ragionevolmente sereni, solidali, di poche smorfie e con la voglia di stare
insieme e passare qualche ora distesa gustando quei piccoli piaceri che
bisogna saper accogliere. Attorno a me non è stato sempre idillio per tutti, ma
non ho mai visto i drammi, gli odi, i conflitti, i geli, i silenzi che fanno
proclamare a troppi la loro antipatia per questo periodo. Per fortuna, nemmeno
i lutti.
Sono poco compatibile con la routine e la ripetitività (motivo per cui, ad
esempio, mi trovo molto poco a mio agio in palestra, dove bisogna ripetere
qualche centinaio di volte lo stesso movimento fine a sé stesso, e per fare
attività fisica devo esser immersa nella natura). Quel che trovo irresistibile
nel periodo di fine anno, diciamo fra il solstizio e l’epifania, è innanzitutto
il carattere di eccezionalità. Astronomicamente e culturalmente in primis, ovviamente:
la scomparsa e la rinascita della luce, il passaggio degli antenati
simboleggiato da santa Lucia, le feste di Yalda, capodanno persiano giusto la
notte del solstizio e ricordo del più importante culto misterico insieme a
quello cristiano che poi si appropriò della data: Mitra. Ritualmente poi. Sono
i giorni del tempo sospeso, in cui si fa ciò che non si fa di solito, si
prendono altri ritmi, ci si riposa e si festeggia, e per chi può permettersi di
stare a casa (e ha familiari collaborativi e gli elettrodomestici necessari),
si gestisce il tempo in maniera autonoma. Trovo bellissimo il gesto di scambiarsi dei doni augurali, che viene dall'antica Roma.
Prendersi il tempo di accendere una candela per la colazione con il dolce del mese. Perdersi nel contemplare un mazzo di fiori comprato per far bella la casa. Cucinare piatti più lunghi ed elaborati. Un rifiatare necessario, un
riappropriarsi, anche, di ritmi e
attività spesso perdute nel corso dell’anno.
Anche se si ha famiglia, si può. Ricordo un Capodanno in una grande casa del
senese: 5 coppie e 8 bambini. Li si vedeva appena passare come un soffio
frusciante, un lieve trapestio di piedini sempre di corsa, i musini seri e
assorti che solo i bambini sanno avere quando si divertono, volando in gruppo
da una stanza all’altra. Mai un pianto, mai un capriccio, mai uno strillo, mai
una testa rotta, mai un bisticcio ci arrivarono alle orecchie per tre giorni.
La sera crollavano presto, lasciandoci davanti al fuoco in assoluta
tranquillità. Sarà perché facevano tutti la Montessori? O perché tra fratelli
non venivano tollerati dispetti e sopraffazioni da parte di genitori intelligenti e
determinati ad intervenire da sempre per imporre il rispetto reciproco, al
posto del solito, variamente declinato, “Sono fratelli, è normale che si menino,
bisogna che imparino a cavarsela [ovviamente quando uno è il doppio dell’altro,
per stazza o per aggressività] anche io…ecc.”? Bah. Fatto sta che la prole non
è necessariamente un ostacolo totale al disporre del proprio tempo in
ragionevole tranquillità, come sa anche chi abbia frequentato una buona parte delle famiglie francesi.
Forse perché vengo da una famiglia modesta, di piccola borghesia e anche
meno, nonché abbastanza spartana, quelle feste erano veramente l’occasione per
tante cose che nel corso dell’anno non c’erano e non si facevano. Non erano lo
spreco del superfluo, ma una necessità preziosa, di gioco, di cambiamento, di
distrazione.
Mi piacciono albero e presepio, purché non di plastica. Ricordo quello dei
miei nonni, acquistato un pezzo all’anno tra gli anni Trenta e gli anni
Cinquanta. Veniva steso sul lungo buffet del salone ricoperto di muschio che si
attaccava ai maglioni, completo di lago e fiumicello costruiti dal nonno ogni
anno in maniera diversa, sulle cui rive si mettevano i pescatori. Lo specchio del
buffet lo raddoppiava. Ricordo le bellissime palle di vetro in due misure,
verdi e giallo oro, un po’invecchiato,
o rosso cupo. Il filo d’argento (altri
colori non erano tollerati), il puntale lucente, l’uccello dalle piume dipinte
di rosa e oro. Il profumo degli aghi di pino, quelli rotondi, non i piatti che
oggi non hanno più odore, che facevano impazzire la nonna perché cadevano sul
pavimento del salone. Lo stesso salone, la sera del 24 si copriva di pacchetti
non certo lussuosi, ma piacevoli, quasi sempre utili, e accurati, anche se
negli ultimi vent’anni il potere d’acquisto della nostra famiglia, come di
molte altre, è stato follemente eroso da una politica economica e sociale
irresponsabile e assassina, che distrugge quanto di più civile l’Europa a cui
si richiama ha saputo produrre. Oggi che quel salone non c’è più e la perdita mi strazia ancora, addobbo gli alberi che ho sottomano, con la soddisfazione di sapere che sopravviveranno
ristorante tranquillo sì. Le elegantissime signore di Siviglia, fresche di parrucchiere e con il cappotto di cammello, cantare in coro sotto gli aranci, davanti a una piccola chiesa di cui non ricordo il nome, le loro canzoni del Natale e i corali di Bach. Ah, i giri di valzer in piazza a Vienna a mezzanotte, attaccata a un cappotto di cachemire foderato di rosso cupo, mentre i piedi negli stivali imbottiti di pelliccia facevano scricchiolare la neve ghiaccia. La notte del 2008, la prima in quella casa, mi regalò invece una splendida, visibilissima, indimenticabile eclissi di luna. Un vero lusso. Per non parlare dei fuochi: quando ero piccola visti dal balcone della casa dei nonni e poi sempre amati visceralmente. Era un
quartiere popolare: i bengala si scatenavano con i loro fischi da sirena, dietro l’angolo della casa, e noi ci imbacuccavamo per scapicollarci fuori sui lunghi balconi dell’ottavo piano e non perderne neppure uno. Il cielo impazziva da ogni parte, ognuno era specializzato in qualcosa: chi gialli, chi bianchi, chi blu. Chi si alzava a razzo, chi ricadeva a torrente in mille scintille. Il nostro balcone, molto modestamente, si riempiva di piccole stelline nate con un po’ di timore da cilindretti grigi. I botti no, quelli non erano graditi e non se ne facevano mai. La mattina dopo si ascoltava il concerto da Vienna, grande passione del nonno che se lo godeva tutto seduto sul divano, abitudine poi sempre seguita in sua memoria. I ravioli di carne cotta fatti a mano del primo dell’anno o che chiudevano il tutto il giorno dell’Epifania, ognuno debordante dal piatto, il sugo denso di pomodoro delle case lombarde, erano un altro segno rassicurante di quel periodo di eccezione. Sperimentavo i miei primi tentativi culinari: ricordo il successo di una torta ai cardi in collaborazione con mia zia, la quale detestava cucinare e si prendeva il lavoro più noioso (pulire i cardi in questo caso) perché così non doveva pensare. Mi piaceva, e mi piace, l’idea di un pranzo più accurato del solito, con i piatti tradizionali che non si preparano di solito, più ricco e più vario. Adoro gli avanzi che rimangono nei giorni
successivi, perché prolungano quella festa togliendoti in
più l’impegno di pensare al cibo quotidiano. Trovo ridicolo l’afflato di
controllo che pervade il mondo reale quanto virtuale davanti a quelle forse sei?
(a fare l’en plein - noi spesso lo facevamo eppure non siamo mai stati obesi), occasioni
conviviali, (o davanti ai pacchetti): come disse in una frase di immortale buonsenso un foodblogger degno per questo
di imperitura memoria, il problema non è quel che si mangia tra Natale e
Capodanno, ma quello che si mangia tra Capodanno e Natale. Ma, per ritornare
alla moda di cui sopra, mainstream oblige;
e poi si sa: il controllo del piacere provoca sempre il maggior diletto, e la
più grande voluttà sta nello sfoggio della Virtù.
Sono passata da aspettare le feste con gioia per l'aria che si respirava nella mia casa di bambina ad un profondo odio per il periodo in blocco.
RispondiEliminaOra mi sono redenta, credo, e mi piace di nuovo. Sarà segno che si diventa vecchi?
Mi è piaciuto leggere i tuoi ricordi.
Le ultime tre righe vanno incise nel marmo ;)
Grazie dell'apprezzamento. Carina la tua evoluzione, e mi fa piacere che qualcuno condivida dei ricordi d'infanzia di Natale felice.
EliminaHo scorto il tuo post solo dopo avere pubblicato il mio, più corto e sintetico (ça va sans dire), e di tenore opposto. Sono da anni intristita dal periodo natalizio. Solo la presenza di Arc e del suo entusiasmo mi spingono a far di tutto per farmi piacere questo periodo.
RispondiEliminaUn'altra pratica ci accomuna: quella dell'ascolto quasi religioso del concerto di Capodanno dove le note danzavano con le ballerine in un tutt'uno che aspettavo tutto l'anno.
Concordo con Stefi quando dice che le tre righe finali dovrebbero essere incise nel marmo..... Buon Anno, amica mia, buon anno e buoni incontri....
Grazie Nora e buon anno a te e a voi. Quando Natale ricorda tristi avvenimenti è più che logico non esserne attratti. Ma sono felice che piaccia tanto ad Arc :-).
EliminaComunque vorrei avere un po' di dono della sintesi, a volte :-)