Oggi è un giorno di festa. Brindisi e candele. Scoperta di consonanze inaspettate. A domani.
Cronaca familiare di una
domenica referendaria,
banali spiccioli che si vuole fissare nella memoria.
Luisa, la sorella di
Beatrice, aveva votato per la prima volta nel 1946. Marito e amico di famiglia, forse compagno della madre, ma questa è un’altra storia che forse un giorno si racconterà, comunisti sotto il
fascismo, poi impegnati nella Resistenza, era diventata comunista anche lei,
con un’incrollabile fede peraltro nella democrazia parlamentare. Al seggio,
spiegava, ci si va di buon mattino, con l’abito della festa, dopo avere fatto
il bagno e lavato i capelli. Così, in
sua memoria, domenica, dopo due mesi di malattia, mi sono dedicata a una
lunga doccia (perché oggi non mi posso permettere una casa con la vasca da
bagno, diversamente dalla sua generazione, e mi manca moltissimo) e ho tirato
fuori le scarpe, se non il vestito della festa. Ma un bel maglione morbido e
una gonna regalatami dalla mamma li ho messi. Faceva quasi caldo. La mia mamma
è venuta a prendermi e siamo andate ai seggi. Mi guardavo intorno, era il primo
pomeriggio, vedevo soprattutto persone di una certa età e mi chiedevo con
ansia in mezzo a chi vivessi, cosa avrebbero espresso coloro che incontro ogni
giorno per le strade, se avessero ceduto al timore della propaganda colante da
ogni dove, quali metri di giudizio avessero usato per decidere del voto e quale
voto. Abito nei due famosi municipi dove ha vinto il Sì, sia pure molto sbiadito, ma dove non vivono soltanto i ricchi, come superficialmente è stato detto. Intorno a me c'erano sguardi modesti, volti segnati non dalla chirurgia estetica ma dalla stanchezza e dalla fatica, da una condizione economica che non permette di indulgere in massaggi, creme e cliniche di bellezza, vestiti grigi di taglio qualsiasi. I poveri vecchi ignoranti del Brexit, insomma. Quelli che un tempo, in un altro tempo, sarebbero stati più precisamente e onestamente definiti gli sfruttati. Coloro che la Costituzione ha aiutato negli scorsi decenni ad avere una vita migliore, grazie alla sua splendida prima parte, soprattutto ai diritti economici che essa garantirebbe se non fosse ormai esautorata in nome della "economia di mercato fortemente competitiva" prevista dai trattati UE. Mi chiedevo se avrei dovuto disperarmi per la capacità di giudizio dei vicini,
per il destino che avrebbero voluto imprimere al nostro futuro. Ero agghiacciata
ma non osavo parlare. Solo mi aggrappavo agli sguardi tentando di decifrarli,
stabilire un contatto, intuire un guizzo, una determinazione, una barriera. Un NO. Poi ci siamo
organizzate per la merenda da me, il the nelle tazze dono di nozze di Beatrice,
vagamente suprematiste, degli anni Trenta, la candela accesa sul tavolo con la tovaglia ricamata del suo corredo e
questi splendidi soufflé alle castagne ad aspettarla. Eravamo tutte e due in
ansia per il risultato, lei poi ha un marito siista come tutta la di lui
famiglia. Per fortuna, mi spiegava, abbiamo fatto i conti che i nostri voti e i
loro si compensano. Così abbiamo organizzato un pomeriggio per noi, facendo
cose piacevoli e rivedendoci dopo due mesi di malattie reciproche. Non volevamo parlare del referendum, bensì goderci solo la reciproca compagnia, ma il pensiero aleggiava. I soufflé l’hanno incantata già al vederli nel
forno. I kaki erano squisiti. Mi ha chiesto il permesso di portarne uno a suo
marito, persona ottima, tra l’altro. “Portaglielo pure, ho risposto scherzando,
ma non se lo merita!” E per ancor maggior fortuna, ci sono stati altri voti che
non si sono compensati più.
Quando è tornata a casa,
io sono rimasta qui, leggendo e riordinando, in compagnia delle mie medicine. L’ansia
montava. Mando un sms disperato a un’amica francese che tenta di confortarmi. La
sera, a urne chiuse, non voglio sapere nulla, mi convinco a non sperare, a non
sperare troppo. Vado a letto, niente internet, niente messaggi, niente di
niente. Altrimenti non avrei dormito, e il giorno dopo al ritorno al lavoro mi
aspettava una lunga giornata di dieci ore, con una scadenza importante e
pubblica. La mattina scopro uno splendido sole. Dopo la malattia ho voglia di
colori chiari e infuocati e mi vesto con una gonna rossa di lana a ruota dalla vita
alta e strizzata e un maglione bianco, anzi due, a ripararmi il petto e la
schiena. Talons rouges e via nel cielo azzurro. Ma ancora non voglio sapere. Mentre
con l’équipe siamo immersi nel lavoro di montaggio fisico, arriva un sms “Siamo
stati bravi, il lavoro comincia adesso.” Chiamo, e finalmente so. 65% di votanti, 59% di NO. Scopro che un membro della squadra ha fatto campagna
per il NO. Mentre lucidiamo un pezzo ci confrontiamo e ci riconfortiamo. Il pezzo
ormai brilla grazie all’ entusiasmo politico che fa scorrere energia nelle
nostre mani attive e impegnate.
Alla fine della lunga giornata ritorno a casa
sotto le stelle: è tempo, almeno oggi, di brindare, festeggiare, riposare,
essere felici. Degli altri, di noi stessi. Almeno un giorno, almeno una notte.
Ancora qualche minuto agli uomini.
Ancora qualche minuto agli uomini.
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