Aggiornamento: ho cominciato a scrivere un aggiornamento cosi' lungo da diventare un post a parte, il successivo.
Quando ti digitalizzano un inventario di archivio francese dal Canada - W la colonizzazione :-P - e siccome sta su Archive.org e non su quell'attrezzo infernale di google.books si riesce a leggere anziché impazzire perché tutto lo spazio che dovrebbe essere occupato dal testo lo è da un'assurda impaginazione farraginosa.
Soprattutto quando la santa informatica fa quel che dovrebbe fare, cioè i lavori stupidi e faticosi. Nella fattispecie quando ti ricerca nel testo le parole che ti servono. Su 700 pagine mezze in latino piene di formulari semplifica la vita.
Se c'è una cosa che rimprovero agli archivi francesi è di non avere pensato a digitalizzare, ognuno per sé, la grande serie degli inventari dipartimentali realizzata tra metà XIX e metà XX secolo, magari localmente, per poi creare un unico portale di accesso anche a livello nazionale. Sarebbe stata un'impresa assolutamente meritoria e se ognuno avesse realizzato il proprio anche non troppo impegnativa.
Perferiro' sempre la lettura su carta, infinitamente più ergonomica, favorevole alla concentrazione e facile da memorizzare, almeno per l'uso che ne faccio io. Addirittura mi capita di cercare i riferimenti sui libri digitalizzati per poi andare in biblioteca e domandare l'indispensabile edizione antica dato che il campo permette di giustificare questo genere di domanda, e leggermi il testo in santa pace con un bell'oggetto artigianale ed elegante, anche quando povero, clandestino e approssimativo, fra le mani, generalmente in una bella sala calma e tranquilla cio' che favorisce lo studio e la felicità.
Ché poi dài e dài le biblioteche stanno cominciando a capire che la digitalizzazione non aiuta a far aprire i libri... rispetto a solo pochi anni fa è sempre più raro che rifiutino di far consultare i volumi perché sono digitalizzati. Almeno in Francia ché in Italia siamo in altro mondo, come al solito: li' l'ideale è ancora che i lbri stiano ben sottochiave, almeno nelle biblioteche dei Beni culturali (un pozzo nero di arretratezza culturale, appunto).
Ma quando non ci sono indici o non sono affidabili, cioè quasi sempre, ed è domenica, le biblioteche son chiuse ma qualche matto si aggrappa ancora alla lettura, be' ti sembra di toccare il cielo con un dito, anzi di sfogliarlo. Specialmente poi quando si sta cercando da un numero inenarrabile di mesi di capire da che parte stanno in uno dei momenti più intricati della storia francese i vari membri delal famiglia e il bello è che dalle fonti finora reperite potrebbero stare dall'una come dall'altra parte!
D'accordo che si puo' sempre con eleganza aggirare la questione senza tuttavia nasconderla, ma a me sembra sempre di giocare un po'sporco, in questi casi. Quindi perdo un sacco di tempo e scrivo ben meno di quanto potrei, per districare i fili dell'arazzo. Ché poi ammettiamolo, dà un'immensa soddisfazione...
Adesso vado a fare colazione, poi al mercato, poi mi spulcio l'inventario... che festa! Una persona l'ha chiamata un giorno "alienazione volontaria". Devo riuscire a trovare due ore per andare in piscina: ci son 34 gradi oggi!
domenica 28 maggio 2017
domenica 14 maggio 2017
Imago
Si insedia oggi il presidente francese, un banchiere d'affari eletto al secondo turno domenica 7 maggio 2017.
La foto è tratta da un numero del settimanale francese L'express pubblicato tra il primo e il secondo turno delle elezioni presidenziali.
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martedì 9 maggio 2017
Perché costa troppo
La mia mamma che non è giovane, ma porta bene i suoi anni, ha un problema di salute abbastanza comune e non grave, che ad oggi si può prevenire con le cure adeguate. Ma quelle che ha fatto finora non funzionano più, malgrado lei sia molto ligia e molto costante nell'assumerle e nel seguire i comportamenti prescritti.
Solo che queste nuove cure costano.
E lei ha la pensione quasi minima.
Non è ancora una situazione disperata, questo no. Per ora. Ma per quelle cure o si paga o si deve andare in ospedale.
O paga una dose o vive: il costo è più o meno equivalente alla sua pensione mensile.
E l'unico ospedale che le fa è non all'altro capo della città, ma praticamente fuori. In una capitale EUropea, ovviamente.
Perché i piccoli ospedali sul territorio, ovviamente, "costano". Devi pagare chi li fa funzionare.
Quindi il "costo" di raggiungere il luogo di cura viene riversato sui pazienti e le loro famiglie.
Posto che gli ospedali sono pubblici: DOVE STA IL RISPARMIO?
Nella maggiore spesa di chi è più debole?
Torniamo alla logistica.
Quindi ci vogliono un autista e qualche ora tra andata e ritorno.
Per fortuna ha una persona accanto.
Ma se non l'avesse? Quanti anziani soli rinuncerebbero a curarsi in queste condizioni, o sarebbero costretti a pagare un taxi, supponendo di avere prima il denaro per farlo e poi la mobilità necessaria per servirsene?
Quanto questo diminuirebbe le loro aspettative di vita in buona salute?
O le loro aspettative di vita tout court?
Una volta, tanti e tanti anni fa, andava di moda scandalizzarsi per una guerra che si svolgeva "nell'indifferenza di tutti a due passi da casa nostra". Si sarebbe dovuti intervenire, si diceva. Si sarebbero dovuti mandare i soldati, le bombe e i cannoni.
Si mandarono.
Cosa si aspetta a invocare almeno altrettanto rigore sulla testa di chi concepisce, impone e attua una simile guerra senza quartiere nei confronti della popolazione più povera di un paese stremato, che sta pure quello alle porte di casa nostra, solo appena un po' più a sud?
Forse si esita perché il mandante di questa guerra non dichiarata e non coperta dai telegiornali della sera si chiama ancora e sempre Unione europea (Commissione UE, Banca centrale UE, Fondo monetario internazionale)?
Solo che queste nuove cure costano.
E lei ha la pensione quasi minima.
Non è ancora una situazione disperata, questo no. Per ora. Ma per quelle cure o si paga o si deve andare in ospedale.
O paga una dose o vive: il costo è più o meno equivalente alla sua pensione mensile.
E l'unico ospedale che le fa è non all'altro capo della città, ma praticamente fuori. In una capitale EUropea, ovviamente.
Perché i piccoli ospedali sul territorio, ovviamente, "costano". Devi pagare chi li fa funzionare.
Quindi il "costo" di raggiungere il luogo di cura viene riversato sui pazienti e le loro famiglie.
Posto che gli ospedali sono pubblici: DOVE STA IL RISPARMIO?
Nella maggiore spesa di chi è più debole?
Torniamo alla logistica.
Quindi ci vogliono un autista e qualche ora tra andata e ritorno.
Per fortuna ha una persona accanto.
Ma se non l'avesse? Quanti anziani soli rinuncerebbero a curarsi in queste condizioni, o sarebbero costretti a pagare un taxi, supponendo di avere prima il denaro per farlo e poi la mobilità necessaria per servirsene?
Quanto questo diminuirebbe le loro aspettative di vita in buona salute?
O le loro aspettative di vita tout court?
Intanto in Grecia: La Grecia abbasserà la soglia di reddito annuale sotto la quale non si pagano tasse a 5.681 euro. Secondo l’Unione Europea la soglia di povertà è di 6.000 euro di reddito annuale. Ulteriore taglio delle pensioni, sia normali sia complementari, che interesserà anche le pensioni superiori a 700 euro. Questa misura interesserà 900.000 pensionati sul totale di 2,6 milioni. I pensionati che ricevono più di 470 euro al mese saranno tenuti a pagarci su le tasse. Un pensionato che percepisce 700 euro al mese, ora esentasse, pagherà una tassa annuale di 600 euro.
Le persone a basso reddito saranno tassate sempre al 22%.
Spese mediche: gli sconti fiscali per le spese mediche saranno aboliti. Questo significa un aumento indiretto della tassazione, soprattutto per i malati cronici, dato che i tagli legati all’austerità nel settore sanitario hanno aumentato le spese private per il settore medico (detto in altri termini, l’UE ha prima smantellato la sanità pubblica spingendo i Greci verso quella privata, e poi eliminato anche le detrazioni fiscali sulla sanità privata, NdVdE).
Contributi per il riscaldamento: ci saranno tagli di 56 milioni di euro che andranno a colpire i gruppi sociali più vulnerabili.
Sempre nel 2017 verranno implementati i tagli di 570 milioni di euro ai contributi di povertà per i pensionati.
Aperture domenicali: i negozi saranno aperti tutte le domeniche dell’anno nelle zone turistiche come il centro storico di Atene o il centro di Salonicco. Ci sono voci che questo riguarderà tutti i negozi lungo la Riviera di Atene, dal Pireo a Capo Sounion.
Nel 2018
- Abolizione di spese mediche per 121 milioni di euro.
- Abolizione della deduzione dell’1,5% nel calcolo della ritenuta mensile per 68 milioni di euro.
- Tagli ai contributi per il riscaldamento per 58 milioni di euro.
- Abolizione di benefici sociali incorporati nel Reddito di Solidarietà Sociale per 10 milioni di euro.
- Altri tagli al Servizio sanitario nazionale EOPYY per 188 milioni di euro
Si mandarono.
Cosa si aspetta a invocare almeno altrettanto rigore sulla testa di chi concepisce, impone e attua una simile guerra senza quartiere nei confronti della popolazione più povera di un paese stremato, che sta pure quello alle porte di casa nostra, solo appena un po' più a sud?
Forse si esita perché il mandante di questa guerra non dichiarata e non coperta dai telegiornali della sera si chiama ancora e sempre Unione europea (Commissione UE, Banca centrale UE, Fondo monetario internazionale)?
lunedì 8 maggio 2017
La meraviglia dalle corde
Come esprimere oggi la meraviglia dei grandi apparati di scena dell' opera barocca, in un contesto in cui i mezzi economici a disposizione, le condizioni di illuminazione e l'estetica, influenzata dal cinema, sono ormai troppo mutati? e su una scena relativamente piccola come questa?
La scelta compiuta dalla regista
è un genere di spettacolo in cui la Francia, manco a dirlo, ha deciso di riappropriarsi coltivandola con numerose scuole di alto livello, vale a dire gli acrobati del circo. La storia di Alcione e del suo contrastato matrimonio con Ceix viene doppiata commentata e rappresentata nelle sue passioni e negli elementi scatenati grazie alle movenze danzanti degli acrobati sulle corde, in azione in un teatro privo di scenografia e aperto allo sguardo dello spettatore fino alla parete di fondo. Le corde sono evocatrici dei legami del matrimonio, Nettuno nell'ultima scena è vestito con una rete da pesca chiusa sul davanti da due lunghe corde, delle onde del mare, dei movimenti quotidiani dei pescatori. I danzatori, specialmente una solista, danzano legati alle corde o sulle corde per esprimere desiderio, disperazione, furia e voglia di distruzione e sopraffazione.
Riescono a trasmettere spaesamento, meraviglia, languore e fascino: ogni piacere dello spettacolo.
Funziona perfettamente tranne nella scena clou della tempesta, dove i mezzi troppo scarni non riescono a far figurare granché.
Nella parte musicale un direttore che fa scaturire la musica dall'orchestra con tutta la sicurezza e la naturalezza possibili, come acqua di fonte inesauribile e vivace. I risultati delle voci sono meno interessanti, curate come fossero strumenti, con un canto fluente e non interrotto, ma con poca attenzione al peso drammatico della parola. Il che personalmente non mi ha mai convinto troppo.
Il teatro appena restaurato brilla di tutti i suoi ori tardo-ottocenteschi. Più dei dipinti sono attraenti i fregi e le sculture decorative, i tendaggi, il sipario. Scoraggiata dal prezzo e da uno spiccato colore rosso non ho invece assaggiato il nuovo dolce di cui il teatro ha commissionato l'ideazione a Le Notre. Ma l'idea di far creare un dolce Le Favart, che faccia da corrispondente all' opéra fa parte di quella consapevolezza culturale immensa per cui amo la Francia. E no, non è denaro pubblico buttato! buttato è il denaro perduto a causa della loi travail...
Uno dei più begli spettacoli che abbia visto, comunque,. Mi era già capitato qualche anno fa nello stesso teatro.
La scelta compiuta dalla regista
è un genere di spettacolo in cui la Francia, manco a dirlo, ha deciso di riappropriarsi coltivandola con numerose scuole di alto livello, vale a dire gli acrobati del circo. La storia di Alcione e del suo contrastato matrimonio con Ceix viene doppiata commentata e rappresentata nelle sue passioni e negli elementi scatenati grazie alle movenze danzanti degli acrobati sulle corde, in azione in un teatro privo di scenografia e aperto allo sguardo dello spettatore fino alla parete di fondo. Le corde sono evocatrici dei legami del matrimonio, Nettuno nell'ultima scena è vestito con una rete da pesca chiusa sul davanti da due lunghe corde, delle onde del mare, dei movimenti quotidiani dei pescatori. I danzatori, specialmente una solista, danzano legati alle corde o sulle corde per esprimere desiderio, disperazione, furia e voglia di distruzione e sopraffazione.
Riescono a trasmettere spaesamento, meraviglia, languore e fascino: ogni piacere dello spettacolo.
Funziona perfettamente tranne nella scena clou della tempesta, dove i mezzi troppo scarni non riescono a far figurare granché.
Nella parte musicale un direttore che fa scaturire la musica dall'orchestra con tutta la sicurezza e la naturalezza possibili, come acqua di fonte inesauribile e vivace. I risultati delle voci sono meno interessanti, curate come fossero strumenti, con un canto fluente e non interrotto, ma con poca attenzione al peso drammatico della parola. Il che personalmente non mi ha mai convinto troppo.
Il teatro appena restaurato brilla di tutti i suoi ori tardo-ottocenteschi. Più dei dipinti sono attraenti i fregi e le sculture decorative, i tendaggi, il sipario. Scoraggiata dal prezzo e da uno spiccato colore rosso non ho invece assaggiato il nuovo dolce di cui il teatro ha commissionato l'ideazione a Le Notre. Ma l'idea di far creare un dolce Le Favart, che faccia da corrispondente all' opéra fa parte di quella consapevolezza culturale immensa per cui amo la Francia. E no, non è denaro pubblico buttato! buttato è il denaro perduto a causa della loi travail...
Uno dei più begli spettacoli che abbia visto, comunque,. Mi era già capitato qualche anno fa nello stesso teatro.
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martedì 2 maggio 2017
La femme et l'enfant
La
femme et l’enfant
Récit
L’enfant se tenait
debout devant sa mère qui était peut-être assise ou peut-être pas. De toute
façon elle avait l’impression que sa mère la surplombait. Elle avait la
sensation d’avoir été retenue au moment où elle s’était approchée de sa mère
lors d’un jeu ou pour lui demander un baiser. De toute façon son intention
n’était pas d’être là en ce moment. Peut-être elle devinait au regard de sa
mère ou à son expression d’attente qu’on lui aurait proposé un discours sérieux
qu’elle n’avait pas envie d’écouter. De toute façon elle n’était pas à l’aise.
La mère étalait un grand sourire et une émotion tremblante se cachait en elle.
Sa voix à peine hésitante affichait de l’assurance. Elle disait à la petite
fille : « Bien, maintenant que tu as vu l’appartement hier, avec
Giorgio, que m’en dis-tu? ne me dis-tu rien ? te plait-il ? ».
En effet, après leur visite à
l’appartement, elle n’avait eu absolument rien à dire à sa mère. Elle n’avait
pas du tout compris pourquoi elle avait été emmenée là toute seule par un
inconnu qu’elle ne souhaitait pas du tout rencontrer et qui lui était
indifférent. Sa mère lui avait dit plus ou moins qu’il fallait la ménager cette personne, car il était bien gentil à vouloir s’occuper d’elle, la petite,
en cette occasion. Mais pour quoi faire, se posait-elle la question, puisque je
n’ai rien demandé, et je n’ai besoin de rien de sa part ? Pourquoi la
mettait-on dans l’obligation de satisfaire les attentes inconnues d’un
inconnu ? Que c’est qu’elle avait à faire avec lui et lui avec elle ?
Surtout aurais-je fait quelque chose de mal pour qu’on me dise d’être polie et
obligée maintenant? Comme si la mère avait a
priori quelque chose à lui reprocher à ce sujet.
Elle avait quand
meme essayé être polie, de lui sourire et de lui manifester de l’intérêt. Elle
avait essayé de prendre confiance avec l’appartement en parcourant ses espaces.
Il était grand, lumineux et calme et en meme temps vide de vie et solitaire.
Pas désagréable, il restait étrange et étranger. Mais, après cet interlude
incompréhensible et parfois ennuyeux elle espérait bien avoir le droit de
revenir à ses activités habituelles sans autre obligation.
Sauf qu’après
quelque temps – jours? heures ? voilà la question refaire surface. Elle
était debout devant sa mère et elle aurait voulu que sa mère l’embrasse. Mais
sa mère n’en avait pas envie. Elle attendait donc ses mots. A sa demande sur
son sentiment vers l’appartement l’enfant avait ressenti qu’on s’approchait une
fois de plus à un sujet chaud. Elle savait déjà très bien que sa réponse ne
pouvait pas être libre. En cette occasion il lui fallait être polie, et elle
donc répondit d’un air un peu embarrassé et forcé que oui, il était bien, alors
que elle n’en avait vraiment rien à dire, car cette chose là à ses yeux ne la
concernait guère. Elle souhaitait plus que toute autre chose terminer cette
conversation non voulue.
Mais le pire devait
arriver.
« Bien, tu l’as
vu, il t’a plu. Donc on ira bientôt s’installer là-bas. » « Mais
j’aime bien être ici… et les grands parents ? ». La mère fit une
grimace. Sa mère continua : « Tu auras ta chambre à toi… on emmènera
tous tes jouets… il y aura plus de place.
Et puis, tu viendras chez les grands parents tous les jours après
l’école. Contente ? Alors tu dis oui ? Es-tu bien d’accord? ».
Son ton, bien que calme et presque tendre à l’apparence n’admettait pas de
réplique. Il contenait à peine son excitation et ses émotions. L’enfant ne sût quoi faire. Quitter ses grands parents,
leur bel appartement si plein de vie, de gens, de soleil, des plantes sur les
terrasses, si familier ? Que
pouvait-elle faire, devant la demande pressante de sa mère ? et encore plus devant son [de sa mère]
émotion ? Il fallait la contenir car elle était gigantesque. Une attente
énorme, une demande tacite « Dis moi que cela te plait, dis-le sans que je
te le demande » qui menaçaient bien de l’écraser, de la submerger comme une
vague au bord de la mer justement. Elle aimait bien les vagues. En été sa joie
était les jours de tempête, une tempête méditerranéenne bien sur. Elle
s’amusait à prendre la vague au moment où cette-ci se brisait sur le littoral.
Après avoir connu la peur d’être écrasée elle avait compris que la vague
n’allait que la faire rouler pour ensuite la regorger sur le sable de la ligne
de flottaison, et ensuite recommencer. Elle y passait maintenant des heures. Sa
mère insistait. Elle accepta, car elle se sentit obligée de le faire. Mais elle
paniquait et elle se sentait brisée par la douleur et par l’angoisse. Une sorte
de vide sans borne qui s’ouvrait en elle. Un vide noir et rouge mais sans image
claire. En même temps cela lui faisait de la rage. Il fallait aussi contenir sa
propre rage, ne pas la laisser pousser.
Sans la force de tenir, la seule échappatoire possible lui
parut négocier un sursis, un délai. « Mais pas tout de suite, maman, pas
tout de suite ! » Le visage de sa mère se brouilla de plus en plus.
Je ne sais plus combien je lui en demandais, mais enfin ce fut :
« Jusqu’à Noël, maman, jusqu’à Noël ! » Il manquait quelque
mois, mais Noël était si loin pour la fille. C’était la fête mythique quand
tout devenait possible. Entre temps, peut-être, elle va oublier cette
absurdité, espérait la petite fille. Elle pourrait changer d’avis si elle y
réfléchit, puisque moi je n’arrive pas lui faire comprendre que… je ne peux pas
m’opposer : maintenant elle ne dira pas oui.
Quelques jours
après, c’était un jour de fête, je me suis levée et je me suis précipitée à la
foulée en cuisine. Les matins des jours de fêtes on se retrouvait tous là, en
robe de nuit. Mon grand papa buvait son petit café noir bien sucré du matin
assis sur un tabouret. Les autres se préparaient leur petit-déjeuner, jamais
fort copieux d’ailleurs, dans tous les coins. La table et presque tout l’espace
étaient occupés par ma grand-maman qui repassait le linge de la semaine. Moi,
j’aimais bien l’aider à plier le linge et à repasser des petits pièces, les
mouchoirs, les serviettes de table, les serviettes, les caleçons... Le soleil
envahissait la pièce par tous ses rayons chauds. Tout n’était que lumière et
bavardage, parmi la blancheur éblouissante du linge propre en coton épais, si
réjouissant sous les doigts et les mains.
Pas ce jour-là.
Personne autour de la table, rien dessus. Seule, ma grand-maman était appuyée à
la table en lui donnant son dos. Quelque part il y avait peut-être le rouleau à
pâtisserie, chose insolite et incompréhensible, car on ne faisait jamais la
cuisine à cette heure-là. Elle avait une moue que je ne lui connaissais pas
mais qui m’inquiétait. Je m’approche d’elle, je ne savais pas si elle était
peut-être en colère ? Elle me serre entre ses bras et elle pleure. Je me
souviens encore de ses larmes qui coulent de ses yeux tandis qu’elle me serre
si fort que j’en ai peur. Du jamais vu, mamie qui pleure, c’est impossible,
inconcevable, incompréhensible. Je ne peux pas gérer pareille émotion toute
seule. Je me débats et je me précipite appeler ma maman au secours. Est-ce que
c’est vrai que vous partez ? me souffle ma grand-mère. Es-tu bien
d’accord ? Pas devant elle ! qu’as-tu fait ! lui rétorque ma
mère, alors que ma grand-maman, humble et effrayée de son audace s’excuse avec
peine. Je ne peux pas tenir, je ne peux pas résister, je ne peux pas je ne peux
pas ! Je m’enfuis quelque part me cacher, ses histoires de départ je n’en
veux pas savoir, du reste, encore Noël, il y a encore Noël, après, qui
sait ? Si ma grand-maman pleure ainsi elle va peut-être changer d’avis.
Je ne sais même plus
si j’ai été obligée par la suite de la rassurer en lui disant que oui, on me
l’avait bien demandé et que oui, je donnais mon libre consentement…
Et enfin il arrive
ce jour de Noël, ou mieux des rois, juste avant la rentrée scolaire, car après
Noël nous étions partis, mon grand-papa et moi, chez mon arrière-grand-mère qui
habitait à Milan avec sa fille puinée. Encore gâtée dans leur petit
appartement, puis les longues heures de retour dans le train avec les lasagne
toutes chaudes dans leur boîte en métal achetées par mon grand-papa à la gare
de Bologne comme goûter… Le soir, il est tard, on arrive, l’odeur du train, de
la machine, une odeur graisse et âpre en même temps. Pendent tout mon séjour je
le savais, je le savais très bien que quelque chose d’horrible était lourde sur
moi. Elle allait s’approcher, car la mère n’avait pas changé d’avis et moi je
n’avais pas la force de changer ces choses horribles. J’étais impuissante, tout
était fini, la joie, les rires, les matins gorgés de soleil, les embrassements
de ma grand-mère, son regard sur moi lors de mes jeux d’enfant : tout
serait devenu étranger, éloigné, il n’aurait plus fait partie de ma vie.
J’étais destinée à devenir nomade et sans âme, tiraillée entre un lieu où
j’étais obligée de résider et un lieu qui n’était plus chez moi et où je
n’aurais pu que passer sans réellement m’y arrêter, sans lui appartenir à
jamais. Sans jamais appartenir à un lieu qui ce soit, excepté celui de la
mémoire de ma propre histoire sanglante de douleur et secouée par de sanglots
qu’il fallait bien réfréner, car, on ne fait pas des histoires comme ça tout le
temps. A la mort des grands parents
j’aurais aimé récupérer leur appartement. Mais les autres voulaient le vendre
et moi je ne pouvais pas l’acheter toute seule. Il est parti, encore une fois.
Je n’ai même pas pu sauver les pots de fleurs des terrasses plantés par mon
grand-papa avec tellement d’amour, des géraniums anciens tous rouges d’un rouge
vif avec les feuilles un peu velues, d’un vert brillant, car les autres les ont
jetés à la poubelle sans que je le sache. Son héritage uniquement immatériel
est devenu pour moi le petit village aux Alpes qu’il aimait plus que Rome ou sa
ville d’origine, Milan. J’y reviens tous les ans comme lui il le faisait depuis
son plus tendre enfance.
On me dit que je me
suis révoltée. Je n’arrive plus à reconstituer une scène qui a du me coûter
trop cher. Je me souviens d’une nébuleuse où je disais « Non non
non » et elle me disait « Tu l’as dit, tu l’as promis, c’était pour
Noël, maintenant ce sont les rois ! ». Elle était furieuse, moi, je
l’étais aussi. Mon dernier souvenir est celui d’une fillette de huit ans
renversée sur les bras de sa mère, sa tête à droite et ses pieds à gauche, qui
donne des coups de pied en l’air et qui crie à l’univers en sachant que
personne ne l’entendra. Elle me dit de ne pas le faire car c’est indigne. Ai-je
eu peur ? Ai-je arrêté par honte? La gare autour de nous. Je ne sais
pas comment nous sommes arrivées chez « nous » je ne sais pas comment
ai-je monté les escaliers, au moins trois étages sans ascenseur, ni comment me
suis-je couchée cette nuit, je ne sais pas quels ont été nos mots depuis.
Je ne sais pas, je
ne sais plus. Après, tout est devenu noir. Noir de désespoir, rouge de colère.
Le rouge et le noir
de mes fantaisies.
Mais j’aime encore
tellement l’or. L’or pur du soleil qui frappe sur la blancheur des draps épais,
la Flandre des nappes, la souplesse des serviettes...
Je suis restée avec
le sentiment d’avoir eu l’occasion de parler lors de ce colloque mais de ne
l’avoir pas fait jusqu’au bout, d’avoir dit oui pourvu que ce soit après Noël.
Donc je n’avais pas été capable d’exprimer mon refus au bon moment. J’avais
négocié sans réellement vouloir ce que je demandais et sans avoir la force de
tenir ma promesse depuis. En fait, ce que je n’avais pas la force de tenir,
c’était ma volonté de vouloir la meme chose que maman. Ce qui était interdit.
Sans vraiment le dire, mais interdit. On l’a dit par la crainte et la
contrainte, sans explication. La promesse et la volonté se sont fondues
ensemble dans quelque chose d’inextricable, de lié à jamais. Depuis lors, tout
devenait ma faute. Après ne pas avoir su profiter de la chance de refuser qu’on
m’avait offerte, je gardais le sentiment de n’avoir plus le droit de me
plaindre.
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