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Toulouse en érasmienne

lunedì 17 ottobre 2022

La sagra del merito

 L’occhio cadde su di loro. Erano proprio davanti a me. Due bimbi procedevano abbracciati davanti a noi lungo il binario del treno per Parigi in una sera di fine dicembre. Dovevo prender quello stesso treno. Capelli d’oro scuro, infagottati in abiti blu, gonnellina a ruota lei, la custodia nera di una chitarra sulla spalla lui.

Mi accompagnava al treno A. Al vederli  m’ironizzò con tenerezza all’orecchio: « Una fuga d’amore? ». Era improbabile perché apparivano davvero ancora bambini. Quattordici e tredici anni, avrei saputo dopo: non troppo presto per una fuga d’amore, ma raro. Saremmo infatti stati compagni di viaggio. Le nostre madri avevano combinato un appuntamento al buio per motivi di lavoro e si erano fatte accompagnare dai figli per una vacanza prenatalizia. 

Manco a dirlo in quel momento la mia situazione non mi invogliava per nulla a partire: capita, quando hai l’età dell’università. Il mio stato emotivo dominante in quei giorni era e sarebbe stata l’ansia per quanto lasciavo dietro di me. I due piccoli erano non innamorati ma fratello e sorella. Sul treno legai con la sorella maggiore. Malgrado la differenza d’età fu un’amicizia intensa - era ancora il periodo - e relativamente lunga.

Nel frattempo E. cresceva, diventando il classico sogno maschile del nostro tempo. Capelli biondi mossi naturalmente (un’INVIDIA nera! Ma avrei poi scoperto che lei, che aveva tutto, invidiava le mie forme. Sempre in senso buono naturalmente) visetto da cerbiatta, occhi allungati, bocca pronunciata, snella, alta, gambe chilometriche e grinta da vendere. Fisico da modella, in breve. Ma diventava soprattutto una donna determinata e sicura di sé, capace di cavarsela, brava a scuola e con un istinto ribelle che era fatto per rendermela affine. Dopo la maturità si innamorò perdutamente di un ragazzo e decise di seguirlo all’università fuori dalla sua città, interferendo con i piani di sua madre con gran rammarico di quest’ultima che più o meno le taglio’ i viveri. Per mantenersi fuori agli studi fece di tutto, incluso sfruttare la sua avvenenza sempre in verticale, ma ai limiti del compiacimento maschile altrui e del fastidio di sé, rubare di tanto in tanto qualche prelibatezza, come un pezzo di parmigiano che non avrebbe potuto permettersi di pagare, nei negozi dove facevano la spesa, apparentemente con il consapevole consenso dei proprietari.

Seguirono gli studi all’estero, altri amori e poi la compagna di classe. Una coetanea che lei aveva sempre adorato e descritto come Venere in persona, qualcuno strabordante di fascino che la teneva sous charme e aveva tutti gli uomini ai suoi piedi. L’amica era partita anche lei dalla città d’origine, senza proseguire gli studi, per ricercare una carriera nel campo di un mestiere che serbava un che di indeterminato. Dopo qualche anno l’aveva chiamata a sé in vacanza in barche di lusso sul Mediterraneo. E poi le aveva proposto di condividere una casa nel centro storico di una grande città dove nel frattempo E. avrebbe potuto iniziare a fare un tirocinio. Perché, riferiva la mia mamma dai discorsi della sua, le era stato detto che senza un minimo di esperienza non avrebbe potuto proporsi altrove. « Non posso lasciare l’amica mentre lei ha questa situazione » mi aveva soffiato E., sibillina. Avevo intravisto l’amica una volta e l’avevo trovata grottesca: un’isteria, voluta o spontanea che fosse, agli antipodi del fascino, e un fisico curato, si’, ma assolutamente non all’altezza della personalità di E. né della sua bellezza. Ma non doveva piacere a me: gli uomini ricchi, molto ricchi, davvero ricchi, non le mancavano. Buon per lei.

Qualche tempo dopo E. trova lavoro in una grande organizzazione sovranazionale, il che rientra nei suoi studi, anche se non nel settore in cui è specializzata « Non avrei pensato effettivamente di trovarmi a occuparmi di... » mi diceva i primi tempi. Hai visto com’è brava, entrarci è così difficile, è il che è settore difficile, lo vogliono tutti (all’epoca andava di moda), ma ha fatto un concorso? No, ha un contratto a tempo determinato, ma guadagna bene, sta comprando una bella casa, tanto glielo rinnovano... Evviva che bella cosa, allora studiare, impegnarsi, funziona, fatichi tanto ma tutto sommato ti piace e poi... e poi E. lo merita davvero, ne sono sempre stata sinceramente convinta, lo sono ancora.

La vita continua, E. incontra il compagno che vuole, fanno due figlie, è ormai stabile, non ci sentiamo più, la distanza, la differenza d’età, tutto normale, sono contenta.

Finché pochi giorni fa, cado in internet sul più improbabile dei siti, sulla più inverosimile delle notizie. Anche l’amica ha fatto carriera, più precisamente con un matrimonio da favola. Sì, proprio quel tipo di matrimonio lì, letteralmente. Ora, da dove proviene la favola di marito? Ma dal paese dove ha sede l’organizzazione in questione, naturalmente, che non è né il nostro né quello dove E. ha studiato né un posto con cui abbia avuto alcun legame in precedenza. 

Magari è un caso. O magari proprio no. 

E. ai tempi della loro coabitazione ha fatto da donna dello schermo tra l’amica, la favola e il ricco di turno. E quando la favola ha deciso di avere incontrato l’amica ideale, perché non ringraziare con eleganza una pronuba tanto essenziale alla sua felicità? «Fammi controllare il telefono che mi ha dato l’amica... questo telefono non deve esistere » mi diceva sempre più sibillina, ai tempi.   

Ora, io sono e resto convinta che E. il posto che ha avuto se lo è meritato e sudato. Sudato negli anni di studi e di lavori umilianti, sudato nell’impegno, nella determinazione e nel coraggio. Meritato per la sua bravura, la sua serietà e la sua grinta. Ma se non ci fosse stata quella conoscenza, sarebbe magari rimasta tra coloro che inanellano un precariato dopo l’altro, un giorno dopo l’altro, senza futuro e senza certezze, o con la certezza di non poter mai vivere liberi dall’angoscia dell’elettrodomestico che si rompe, della cura medica che la mutua non passa, del piccolo sfizio che è meglio rimandare finché non te ne verrà più voglia, della vacanza di cinque giorni che non puoi permetterti e magari ti sfogherai mangiando troppo pane e mortadella. Sono contenta che abbia trovato un buon lavoro e si sia costruita la vita che ha penato a raggiungere. Sono convinta che al posto suo avrei fatto probabilmente lo stesso, ammesso di esserne  capace, e che lei ha fatto bene a afferrare l’occasione che le si presentava. Sono anche assolutamente certa che ha agito per amore verso l’amica e non perché sperava di trovare una sistemazione grazie a lei. 

Ma. Sono anche certa, una volta di più, che le sviolinate sul merito, oggi, sono fuffa. Pura, pericolosa fuffa e pura esiziale retorica. Il merito oggi serve, a volte e raramente, per strappare una situazione mediocre rispetto al niente che hai. Il merito serve quando ci sono politiche di piena occupazione, per avere un lavoro che ti piaccia davvero e non solo uno stipendio. Ma per avere un lavoro che ti permetta di passare da un ceto all’altro, o di fare un minimo di carriera, nell’epoca della deflazione salariale, del pareggio di bilancio, dei tagli alla spesa pubblica e della disoccupazione non inflattiva che hanno bloccato da trent’anni la mobilità sociale, serve solo e sempre la stessa cosa: le conoscenze.   




2 commenti:

  1. Purtroppo spesso è così, ma a volte anche il merito conta. Pensa che ora ci hanno fatto il Ministero!

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    1. Appunto, più lo nomini più latita. Pellegrina

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