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Toulouse en érasmienne

domenica 2 dicembre 2012

L'arte della fila



Sole. I Parigini escono tutti fuori a goderselo, con delizia. Siccome è domenica, qualcuno si dedica al bricolage (i Francesi sono formidabili bricoleur al punto che ci si chiede se da loro essere idraulico, falegname, elettricista garantisca guadagni). Mi fanno ricordare del mio nonno che però era lombardo, milanese per l’esattezza, e dei suoi cassetti nell’armadio dello sgabuzzino, l’uno dedicato ai chiodi, l’altro al materiale elettrico, un terzo ancora alle lamine: dalla carta vetrata al nastro isolante. Cose da noi ormai dimenticate: un romano che sappia aggiustare una sciocchezza in casa appartiene ormai a un paio di generazioni fa, oppure io non ho mai frequentato le persone “giuste”.

Qui nel frattempo si formano le ubique code. Code al mercato, aperto la domenica, unico e solo tipo di negozi autorizzati a farlo (e sono d’accordo). I marché fermier, cioè quelli dei piccoli produttori, in particolare sono una cosa splendida, anche se a Parigi sono meno diffusi e ghiotti che altrove. Ci trovi le pastinache, la rutabaga e i topinambur, le scorzonere e il sedano rapa, i croni e tante altre radici interessanti in questo periodo senza foglie. Radici che mantengono l’essenza del vegetale sulla terra e sulle nostre tavole, senza dover per forza acquistare  prodotti di serra al supermercato, come i pomodori rosé. E vorrei vedere, poveri pomodori, di che colore dovrebbero essere a dicembre? E perché dovremmo volerne mangiare per forza? Cavoli di tutti i tipi, colori e dimensioni, da farne un’antologia colorata. Choucroute profumata e adatta alle giornate gelide. L’artigiano (contadino o pizzicagnolo) qui ti spiega sempre come e quando mangiare quello che acquisti. Questo è per oggi, entro stasera. Questo domani. Questo tra due o tre giorni… e per scaldare la choucroute, magari quella profumata allo spumante e grasso d’oca (che sembra una roba da fighetti ma non lo è, anzi!), soprattutto non metta i wurstel nel microonde (raccomandazione superflua dato che non lo uso mai) e guardi bene che non diventi troppo secca, prima scaldi i cavoli in padella coperta, poi a parte le carni, poi li unisca mettendole sopra per non più di cinque minuti... 

Code davanti alle panetterie dove si vende la baguette calda lievitata naturalmente da mangiare tornando a casa, per cui sempre meglio comprarne almeno una in più. Code davanti ai ristoranti e ai baretti dei mercati, dove puoi mangiare uno splendido pasto dopo aver fatto la spesa o ad esempio a Tolosa profittare delle ostriche della non troppo lontana Charente con un bel bicchiere di vino bianco. Code per entrare nella metropolitana e per uscirne all’aria aperta. Code ovviamente intorno alla piramide di Pei nel cortile del Louvre (la realizzazione architettonica più bella della Parigi mitterrandiana che - ahimé – fu, les Trente glorieuses del servizio pubblico, della cultura, dello spettacolo resi più vicini e accessibili a tutti, la pensione a sessant’anni perché la vita non sia solo produzione e lavoro). E code per entrare alla Bibliothèque nationale che sì, è aperta in parte la domenica e dove tutti i ragazzini si danno appuntamento per studiare in un luogo bello e caldo, anche se troppo buio, ahimé. Per code intendo che all’una meno un quarto, intorno al grande rettangolo che costituisce il soffitto del chiostro della biblioteca ci sono due code, per due entrate, che ne fanno il giro. Le numerose coppie ne approfittano per annegarsi nelle braccia l’uno dell’altra. La sera ripartiranno a braccetto e sorridendosi nella notte.  Ore 13.00: le porte in basso si aprono. Quella lunghissima fila di ragazzini comincia a ondeggiare per scendere verso le porte lungo una passerella inclinata che permette il passaggio di una persona alla volta. Un guardiano distanzia i gruppi di persone che possono scendere di volta in volta. In fondo, una porta girevole, oltre la porta due persone al controllo delle borse e del metal detector. In venti minuti scarsi la fila è smaltita. A me ne toccano cinque supplementari perché vado in una sala molto richiesta dove trovo un supplemento di fila davanti agli ascensori (ancora una persona a gestirla) e ai tornelli di entrata (ultima persona). In meno di mezz’ora sono installata al mio tavolo, il pc è acceso, i libri presi dagli scaffali… e sarebbe anche il momento di smetter di perdere tempo prezioso e cominciare a lavorare, accidenti a me che poi piango che sono in ritardo. Qualche clochard o semplicemente qualche povero approfitta del luogo pubblico aperto per installarsi, con uno sguardo timoroso, timido e vergognoso negli occhi, sulle poltrone dei corridoi. Molti, non tutti, sono di origine magrebina o dell’Africa nera. Anche a loro fa bene stare in un luogo bello, relativamente caldo, foderato di legni e di moquette rossa e spessa, godere la vista del giardino anziché dei corridoi della metropolitana o dei marciapiedi.
Mi dispiace non avere un telefonino acconcio per rubare qualche immagine delle mille mie corse quotidiane.

Un’ultima cosa però mi prendo ancora il tempo di dire, che poi è la ragione per cui ho scritto questo post. Le file bisogna saperle fare (non ho sentito un sospiro, una parola, un’insofferenza che sia una, non ho visto nessun furbo che tentasse scorciatoie, tra centinaia di ragazzi neanche tutti ventenni), ma bisogna anche saperle organizzare. Cosa che qui sanno fare egregiamente. Ecco, per creare occupazione io investirei in organizzazione e formazione all’educazione civica. Guadagni? Prodotti da quantificare e smerciare, contando alla fine il proprio oro a mucchietti, forse pochi, ma civiltà e benessere sociale tanto, proprio tanto. A noi la scelta e ci toccherà presto.

13 commenti:

  1. La tua Parigi un po' più articolata della mia. Ma ricordo uno stupore più forte ancora quando, adolescente andai la prima volta a Londra. File, ordinate, ovunque. La civiltà del civismo presente in tutti. È la panacea? No, ma forse aiuta a fare una società che sappia avere una dirittura..
    Si comincia sempre dalle piccole cose, e tutto sommato passar davanti alla file è una piccola cosa. All'indietro, però..

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    1. Non è la panacea, ma il relax sì! Quando mi dicono che trovo i Parigini meno stressati e ansiosi degli Italiani pensano che li stia prendendo in giro, invece secondo me è una conseguenza anche di questo atteggiamento. A Londra che vidi da ragazzina per la prima volta non credevo ai miei occhi quando scoprii che le file per salire sull'autobus non erano letteratura del mio libro d'inglese, ma proprio vere!
      Della tua descrizione m'è piaciuta molto la definizione dell'albergo: fatto in straserie con l'imperativo del sottocosto, ma con pretese di originalità. Triste obbedienza al massimo profitto.

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    2. Per te che stai li, l'albergo è un suitenovotel, e si trova a velizy.

      Come disse quello, velizy val bene un albergo! :)

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  2. Quando si dice vivere in mondi opposti.
    Il concetto di fila in Arabia è totalmente sconosciuto, in qualunque campo.
    Non parlo solo delle inesistenti file alle casse dei supermercati, ma basta guardare i semafori: tutte le macchine cercano di accalcarsi in pole position e non importa se per farlo debbano invadere la corsia altrui, il marciapiede o graffiarti la fiancata quando va bene...
    Dovremmo fare una petizione a re Abdullah per introdurre l'educazione civica nelle scuole (magari sostituendo una delle innumerevoli ore di Corano?)

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  3. Torno per sottolineare che ho evitato accuratamente di parlare del mio Paese natale :-)

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    1. Immagino per non citare qualche ufficio postale... comunque avevo avuto una vaga percezione di questo concetto della fila all'aereoporto di Istanbul, aspettando una coincidenza in piena notte e atmosfera da fine del mondo. Fuori di lì, però la situazione non mi appariva così radicale, diciamo. Una fatica terribile questa gara di velocità.

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  4. Ho aperto il tuo blog oggi per vedere se trovavo la tua mail e per dirti se hai uno smerdfon acconcio per pubblicare qualche bella foto di Parigi. Ahimè. Ma procacciatelo, a rate come me, chè le immagini sono fondamentali alla vita. E poi mi trovo a sentir parlare di choucrute, parola di casa, ricordi di famiglia. Che strano eh. Altro che serendipity. Lo sceneggiatore ci prende per il culo sorella.
    :-)

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    1. Ma no, direi che ci fa un sorriso :- ). La choucroute in tempi bui e freddi è una meraviglia e trovarsela bell'e pronta al mercato poi...
      Aspetto notizie, allora.

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  5. Grazie mille per la tua visita, da oggi ti seguo con molto piacere!!!

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. Grazie a te e benvenuta. Ho visto che già un nuovo post da assaggiare.

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  6. Sono partita da una tua segnalazione su kafka e mi ritrovo a respirare Parigi e gli Emirati. Grazie.

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    1. Kafka? Credo di non averlo mai letto (a mia vergogna sia chiaro). Decisamente, il web ha i suoi misteri. Comunque, benvenuta qb.

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