Si contatta, su invito di gentili persone italiane, con cui non posso non sentirmi in debito, un professore di quella accademia, oggi attivo in zone limitrofe, per qualche opinione scientifica (ripeto, non per chiedere posti né soldi, almeno, non ora e probabilmente mai).
Dopo alcune frasi di apprezzamento del problema espostogli, la richiesta: se non sono indiscreto, vorrei il suo curriculum. Succinto.
D'accordo, gli mando uno di quegli orripilanti curriculum praticamente incompilabili modello europeo (nomen omen), dico praticamente incompilabili perché duplicare i campi è una fatica di Sisifo assolutamente respingente e perché la formattazione è così pesante che due paginette fanno quanto un romanzo di mille.
Risposta: lei conchisièlaureata, conchihafattolatesidimaster, conchihalatesididottorato, perchénonèrimastadove ha fatto il dottorato (no, poi ci dicono che il problema dei ricercatori italiani è di restare troppo lontani dal resto della comunità scientifica, divertente), anzi il master, perché non ha pubblicato nella sua università di provenienza, perché è andata addirittura a Parigi (come se studiassi gli Esquimesi dell'Alaska, ovvio) e magari quanto porta di numero di scarpe il suo barone. Se ce l'ha, perché badi bene, è l'unicacosachem'interessi. Se non si fosse capito. Che magari dovessi risponderle sui suoi filoni di ricerca e poi lei mi mette nei guai col Collega Tizio e Caio perché ho condiviso il sapere scientifico con chissà che libero battitore.
Una volta saputo tutto questo, potremo parlare delle sue ricerche (sic).
Ora, io non nego che possano essere informazioni interessanti.
Ma santo cielo, in tre anni di frequentazioni francesi, nessuno, e sottolineo nessuno, s'è mai preso la briga di domandarmi chi fosse il mio tutor prima di darmi delle informazioni scientifiche, a meno che non conoscesse personalmente qualche docente della mia università di partenza o volesse fare educatamente conversazione. Figuriamoci poi il relatore della mia tesi di laurea, ormai risalente a due vite fa (peraltro defunto, pace all'anima sua). E sì che i loro difetti ce li hanno.
Ecco, questo spasimo tutto italico per la famigghia, il cu sei e a cu apparteni et similia, è esattamente la quintessenza di quel soffocante clima di chiusura, di mancanza di curiosità e di autonomia, di impedimento alla crescita indipendente e di educazione al servilismo che mi ha fatto decidere di tentare di scappare dal mio cosiddetto paese. A un'età in cui qualcuno un tempo cominciava quasi quasi a fare i conti alla rovescia per la pensione (non noi, generazione coccodè, ovviamente).
Vorrei mandare a quel paese il personaggio, non tanto per levarmene la voglia, ma per evitare altri contatti, e restarmene soltanto nel mio esule silenzio. Non posso farlo, perché chi ha fatto da mediatore tra noi non merita che gli si causino seccature.
Ma non ho nemmeno voglia di sciorinare a costui le mie vicissitudini accademiche, dato l'uso che intende farne. Una bella impasse, né so come uscirne.
A volte penso che la mia mania della riservatezza fino al ridicolo, in questo ambiente, abbia qualche buona ragione.
Ma quanto vorrei ritrovarmi nel Nautilus del capitano Nemo, adesso.
Foto: la neve di marzo. L'obelisco di Place de la Concorde non è mai stato così felice. E un pensiero a Stefania che dall'Arabia me l'ha segnalata.
martedì 9 aprile 2013
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Ho qualche ricordo di questa gestione mafiosa accademica. Io per fortuna ho lasciato il mondo universitario il giorno in cui ho fatto l'esame di stato (peraltro ridicolo, allora, per gli ingegneri). Ma ricordo il calvario della mia ex moglie, che non ha mai saputo scendere a patti con questo malcostume.
RispondiEliminaComunque questo episodio spiega più di mille altri la qualità nulla in cui si è ridotta in generale la nostra università. Un covo di clientela. Poi ci vengono a far credere che basta tagliare gli stipendi degli onorevoli per risolvere tutti i nostri problemi....
Posso dire che mi è venuta la nausea? E poi uno si deve anche sentire colpevole perché ha dovuto fare certe scelte come quella di lasciare il proprio paese, non che gli costi già abbastanza. Ma che diavolo continuo a farci qui?
RispondiEliminaPosso solo dirti, coraggio e respira profondo.
Un bacione grande, Pat
Mamma mia che calvario assurdo!
RispondiEliminaSei stata coraggiosissima ad abbandonare l'Italia, comunque mi sa che non si vive più bene da nessuna parte ultimamente...
un abbraccio
No, vabbè.
RispondiEliminaMa mentirei se ti dicessi che mi stupisco...
E' per questo che io non vado da nessuna parte, non faccio nessuna carriera.
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