Il
parrucchiere taiwanese è un esile ragazzino con la barba e lunghi lucenti
capelli nerissimi, oggetto, i secondi, di tutta la mia invidia ché uno solo dei
suoi ne fa dieci dei miei. Tali capelli si ritrovano spesso e volentieri nella
doccia o meglio nel di lei invero poco razionale scarico, che non capisce la
meravigliosa opportunità offerta da un moderno fattore di disequilibrio mondializzatore
alla sua dignità di vita di scarico onestamente conservatore. Si educheranno
pure i Parlamenti, lui continua a rifiutarsi di mettersi a dieta capelli e
niente acqua. Al che, dopo le rimostranze del padron di casa, adesso il
parrucchiere li porta vezzosamente legati in una coda e assicurati con un
fermaglio sulla nuca. C’è il forte dubbio che nella doccia li sciolga, giacché
continua a tapparsi tale e quale a prima. Ma rispetto alla media dei
maleducatissimi, viziatissimi studenti di blasonata scuola USA con cui toccava
convivere gli scorsi anni, di cui alcuni nemmeno usavano lo scopino del
gabinetto – e ho detto tutto -, questo qui è un paradiso. Discretissimo,
pulitissimo, ordinatissimo, silenziosissimo. Una folla di ridenti e deliziose
ragazzine asiatiche viene in incognito a farsi tagliare capelli neri e forti
come i suoi, da fare invidia a qualsiasi fabbricante di parrucche. Anni luce
lontano dal bostoniano figlio di diamantiere che diede una festa, infilò gente
in tutti i letti (e passi), ma senza rifarli (e non passi), lasciò la casa
sottosopra tre giorni e tre notti, con una tinozza d’acqua sporca e lo
spazzolone infilato dentro giusto in fondo alle scale, in traiettoia diretta
sulla porta di casa, scomparendo non si sa dove, ricomparendo poi molto seccato
davanti alle rimostranze di chi avrebbe voluto poter sedersi a tavola, su un
divano, utilizzare un qualsivoglia attrezzo di cucina persino durante la sua
assenza senza dover prima trasformarsi nella Fulgida. Meglio anche dell’ex
marine di Philadelphia, tutt’altro genere di persona, l’unico che avesse idea
di cosa significasse coabitare con persone diverse da te e fare qualcosa per
gli altri e per tutti. Soprattutto senza l’aria di supponenza e di degnazione cui ci avevano abituato. Solo, non parla una
parola di francese. Si rifiuta proprio, sa il cielo perché. Strano per uno che
è venuto qui per studiare la lingua. Così i nostri scambi hanno luogo in
inglese, lingua che io conosco malissimo e lui forse anche peggio. Fiat. Ma su
cosa vertono i nostri scambi?
Premettiamo
che per un bel po’ non mi si è nemmeno avvicinato. Quando ho cominciato a dirgli « Hi » la mattina anziché
« Bonjour » deve aver capito che non lo avrei mangiato a colazione.
Dopodiché ha preso a guardarmi mentre mangiavo. Avete presente le vecchie
zie : « Non guardare nel piatto degli altri, sta’ zitta mastica e
manda giù »? be’, tutto l’opposto. Io seduta a tavola che mi metto davanti
la scodella e lui che ci si sporge sopra. Avrà fame? improbabile, per uno che
si è appena scofanato, come sempre peraltro, una cupola di spaghetti conditi
con funghi, pomodori, prosciutto cotto e patine biancastre di non meglio
precisati grassi (o colle amidaceo-glutinose?). Dopo una settimana di armeggi
del genere mi confessa : « Non so cucinare. A Taiwan si può comprare
del cibo per strada ad ogni ora del giorno e della notte. Io non ho mai
cucinato e non so come si fa. Così ti guardo per capire. Tu cucini! Ti ho visto
che cucinavi il pesce!!» Veramente l’ho mangiato marinato per una settimana
(per me il pesce si concepisce crudo, marinato e in rari casi al vapore)
comunque sì, è cucina pure quella. Nel frattempo il padrone di casa constata la
scomparsa di un hamburger. Qualcosa sta cambiando. Il vero affondo però arriva
stasera. Noi due soli, il padrone farà tardi al lavoro. « Ho visto della
carne in frgorifero. Come la cucino per fare in fretta ?» di che carne si
tratta tesoro? Perché saranno mica due chili di bollito? Un pezzo di arrosto da
3? un tacchino da 4? (in tal caso basterebbe guardare qui, ma proprio di fretta
non si farebbe). Ebbene no: trattasi di
cotolette di maiale. Seguono rudimenti di cucina in padella. Ormai è
lanciatissimo e decide di voler sapere tutto ciò che non ha mai osato chiedere.
Spalanca un pensile: « Ma questa roba qui tu ce la metti? come si
usa ?». Ha scoperto gli altarini. Trattasi di bottigliette di robe inconcepibili per una piumetta
perbene, tali Viandox e Aroma Maggi da cui ahimé il padrone di casa è
totalmente dipendente. La lezione di cucina diventa una lezione di etica del cibo,
o di mero buon senso, perché scusate, se devo mettere dell’aroma di carne nella
carne, vuol dire che la carne non è buona. Punto. Ma il vero punto che lo
interessa è un altro: la carne si può mettere in « qualcosa »
prima di cuocerla ? il fatto è che lui metterebbe « in »
qualcosa anche una cotoletta di maiale e forse non è il caso di trattarla come
un brasato o uno stracotto. Su questo c’è ancora un po’ di confusione. Ma ci metto il vino bianco ?
nel brasato magari no… e proprio
quest’anno, presa dall’impeto di portare poco bagaglio che me lo devo caricare
in spalla all’andata e al ritorno sono qui senza la mia bibbia di base! Via a
memoria con le tecniche di rosolatura, di arrosto morto, di cottura al forno.
Ma in Italia usate molto il forno? tutti i giorni?? c’è chi sforna torte anche
il 15 agosto, però… però è qui che il padrone di casa, unico titolato ad
avvicinarsi ai fornelli quando c’è, vive di carne in padella o alla tartara,
più insalata all’aroma Maggi, con gran disperazione della sottoscritta che il
forno lo userebbe sì, se il medesimo non funzionasse del tutto a ispirazione e,
data la vetustà, si presume difficilmente perderà la sua vena poetica. Per cui il forno lo userei volentieri, se non fosse piuttosto un tornado di aria
fredda che fuoriesce mentre all’interno tutto brucia senza cuocere, mandando
all’aria torte come arrosti. In particolare questa deliziosa torta che per anni
ha messo il sole e il profumo nelle mie colazioni invernali è diventata animata
di vita propria. Il tornado l’ha trasformata in ribollente colata suicida che
si getta sul fondo del medesimo, scavalcando il fedele stampo per formare una
frittella più in basso, mentre il poco impasto rimasto dentro brucia in basso e
rimane liquido all’interno. Una tristezza :-(. Ma ieri, incalza, c’era un
riso così buono, ma così buono (cotto dal padron di casa in lardo e pancetta
n.d.r.) ma come si fa ? Ma tutto qui ? « Perché sai io ho visto
tanti video di cucina, ma vogliono dirti tutto loro, io invece voglio essere libero
di scegliere, dato che poi ognuno spiega le cose in maniera diversa. »
Bene, hai iniziativa, esplora. « E come si sceglie il pesce? »
Quando gli propongo di andare insieme domani al mercato, però, si ritrae nella
sua chiocciolina, molto preoccupato. Finché arriviamo al vero soggetto, la
pasta. Come si cuoce la pasta ? Nell’acqua. Sì ma nell’acqua cosa ci
metti? del sale. E l’olio? Ovviamente no. E nel sugo ci metti il latte?
ovviamente no. « Ma dici proprio quello che dicono i cuochi
italiani nei video! » Ma ‘varda che strano. Perché io tutto son
tranne che patriota, ma se dobbiamo imparare la cucina italiana dalle versioni
estere alla moda, (inclusi e primi i blasonati) forse abbiamo una gerarchia
delle fonti un po’ curiosa. « Se usi buone materie prime non ne hai bisogno. »
Proprio quello che dicono loro! Be’, mi rassicura. «Comunque, mi spiega tutto
fiero, I did Caproni!». Dev’essere importante, fai attenzione a cosa rispondi.
La mia mente vaga. Mentre si affollano visioni subito scartate del caprone
sgozzato e squartato, scarterei anche quella del poeta offerto in pasto agli affamati, dato che per
lui la lettura è roba di un altro pianeta, vorrà dire maccheroni? « Sì,
Caproni con la pancetta. » Facciamo fare una capriola alla p.
Caproni-carboni-latte: carbonara? «Sì, con l’uovo. Ma tu non ci metti il
latte?» No, io no.
P.S. :
in genere amo e sperimento tutte le cucine senza problemi. In tre continenti
conosciuti l’unica a cui ho fatto davvero fatica ad abituarmi è stata quella di
Santo Domingo per via del grasso di cottura usato, terribilmente indigesto per
me. Però non amo i pastrocchi, i grassi, i dressing e le spezie messi
arbitrariamente su tutto, lo zucchero idem, la cucina italiana interpretata
come aglio-peperoncino-peperoni-parmigiano ovunque in qualsiasi stagione e
venduta a caro prezzo, il non rispetto della stagionalità, i prodotti
industriali, la cucina USA da supermarket, insomma.
Ma tu respiri mai mentre scrivi? A parte l'appunto, sei così riuscita a portarmi all'estero che ora rimetto a posto il passaporto... ;)
RispondiEliminaGuardiamo il risultato: positivo, dato che gli italiani viaggiano sempre troppo poco. :-)
Eliminafavolosa tu e fantastico il coinquilino orientale! :-) mi perdo sempre nelle tue parole e ...sto bene! un abbraccio
RispondiEliminaGrazie :-) mi fa piacere sapere di poter contribuire al benessere, qualche volta.
Eliminama dove sei? Mi sono persa un pezzo.
RispondiEliminaI did Caproni fa molto ridere :)
Sì, Fa ridere effettivamente, ma mai scoraggiare chi s'impegna!
EliminaSono a Parigi, fino a maggio, con puntate, spero, a Strasburgo, Lione e Tolone-Aix en Province. E tu? Nuova casa in centro in quell'alto luogo della medicina?
AHAHA..però nel ragù "vero" il latte c'è: lo dicono Montersino e bressanini! Pellegrina, ti ho risposto ora perché solo ora ho visto la tua domanda sullo zabaione, vai a leggere, perché la risposta è …lunghetta..
RispondiEliminaCiao Pellegrina, a presto!
Cinzia
Non si parlava di ragù, ma di salsa al pomodoro :-)). Montersino è tanto se non ci ha messo la panna, è un pannosofilo! Scherzo, Cinzia, so quanto lo stimi.
EliminaGrazie, vado a leggere.
Divertentissimo il quadro che hai descritto.
RispondiEliminaCome i libri più belli, qui non si legge.
Si..."vede" :)
Oh! Caspita che complimento. Grazie!
EliminaHo finito ora di ridere come una stupida!!! (menomale che sono sola in ufficio in pausa pranzo) .
RispondiEliminaMi vien da pensarti mentre introduci il giovane ospite straniero ai vasti misteri della cucina Italiana.... e vorrei essere una mosca per poter essere presente.
Baci
Nora
Un post adatto all'occasione, allora :-)
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