Inutile
negarlo. Inutile esorcizzarlo. Ci si passa sempre, prima o poi. A tutti
potrebbe accadere di ritrovarsi da soli, privati delle
proprie coordinate emotive e materiali, e di essere costretti a passare le
giornate di festa o di riposo senza voci intorno, senza presenze. Con
l’impressione che nessuna premura si manifesti mai. Una cosa, ammettiamolo,
abbastanza infernale, che ne siano causa l’indifferenza, l’imbarazzo, gli
impegni, l’inevitabile vita di ognuno, o veramente la cattiveria delle persone.
Una volta un blogger commentò un post dicendo che lui tentava sempre di
rivolgere la parola alle persone, solo per scambiare due parole senza altri
fini, lasciare il piccolo segno di una presenza. Così oggi scrivo una lettera a
una persona cui sta capitando di passare i giorni di festa senza parlare con nessuno, pur non conoscendola, per indirizzarle una parola io, solo per
raccontarle qualche cosa da una città lontana. Una passeggiata. Di quelle piccole
cose insignificanti ma piacevoli che ci fanno rimanere nel mondo quando le si
accoglie con quella buona creanza verso sé stessi e verso gli altri, quella
cura di sé, che spesso ci salva dalla deriva personale, anche nei momenti duri.
Oggi ho scoperto un piccolo angolo
tutt’altro che nascosto della città dove al momento (purtroppo solo al momento)
abito, cioè Parigi. La quale era un tempo, in alcuni suoi quartieri, un
villaggetto di piccole case in mattoni, coi rampicanti e talvolta i pergolati,
lastricata da pietre irregolari, poi soffocata dai palazzoni residenziali fine
’800 e dalle ancora più deprimenti torri di cemento del devastatore XX secolo.
Per ritrovarne i brandelli sopravvissuti bisogna lasciare i viali ampi, aperti
come ferite mai chiuse nel tessuto urbano allo scorrimento dei motori e del
traffico, e cogliere con l’occhio l’inizio di piccole strade dalle basse case,
con l’aria artigianale di ciò che non è fatto in serie. Aggirando qualche
brutta costruzione moderna può capitare di finire in una antica strada di
artigiani e ristoranti, dove l’aria è subito del passato, un misto di vivacità
e di modestia di condizioni, oggi negate dai grandi palazzoni. A me luoghi del
genere fanno subito sentire meglio: comincio a respirare più distesa, mentre il
cemento mi dà immediatamente un senso di oppressione. Invece camminare per
questa stradina fa pensare che arrivino delle belle sorprese. Come una bottega
tutta foderata in legno, con le pareti bianche. E in vetrina un favo. Sì,
proprio un favo vero, tutto grondante di miele dalle sue cellette. Vicino un
raschietto. Per tagliarne una fetta e portarsela via. In cui affondare le dita
mentre le cellette cedono sotto la pressione, e rimane sul dito l’oro
trasparente, fluido e profumato da assaporare immediatamente, con la sua aria
di fresco e quell’aroma che perde il miele in
vaso. Se poi si entra in questo piccolo scrigno si scoprono cose
mitologiche, come l’idromele delle saghe nordiche, quel misterioso liquore che
fa sognare tutti i bambini nell’immaginarne il sapore. A lungo ci ho sognato
sopra, ora so almeno che è trasparente come acqua. Che sia la bevanda degli
Ent? Bisogna che lo assaggi, la prossima volta. Alle mie spalle tutti i mieli
del mondo. Non esagero: ci sono mieli di essenze che vengono da tutta la terra
o quasi, di agrumi, di fiori selvatici, di piante da frutto, di erbe profumate.
Ci sono tanti bastoncini per assaggiarli finché se ne ha voglia. Io ho provato
un miele di una qualità di felci che era amarognolo in fondo, ma meno duro del
miele di castagno. Una vera sfida per un cuoco. Poi splendidi cilindri di vetro
pieni di luce per tirare l’oro su dai barattoli, libretti di bellissima carta
che insegnano tutto sul miele, una botticella di aceto al miele da cui servirsi
alla spina, macchinari per separare il miele dalla cera, per centrifugarlo, per
mettersi su un alveare. Candele dolcissime di cera naturale, profumate. Pare che a Parigi ci siano non si sa quanti alveari e tantissime api. Un fantastico gnomo con la barba bianca, discretissimo in fondo
al negozio e presente insieme come sanno essere qui, faceva da guida alle sue
piccole meraviglie. Come stupirsi che questa piccola bottega fosse finita nella
guida « Les introuvables » di Parigi?
Poco più in là e molti ristoranti in mezzo, una seconda bottega
curiosa: l'Oisivethé, Thé-ricoter. Sala da the e
insieme negozio di lana per lavorar a maglia (tricoter). Ora io che sono
freddolosissima ero estasiata all’idea di poter mangiare qualcosa in mezzo ai
gomitoli! La saletta è piccola e fatta apposta per piacere alle donne che amano
starsene un po’tranquille : matasse piene di colori appese alla pareti,
unite, mélange, fini, spesse, in merino, lana inglese, lana e seta; thé
profumati alle erbe, ai fiori, ai frutti, affumicati. Voglia di aprire subito
il coperchio della teiera calda per annusare il fumo che ne esce come una
sorpresa. Assaporare un boccone e chiedersi se ci piacerebbe di più sentire il
nostro viso sprofondare in una lana rossa oppure di un gioioso color corallo.
Vedere signore che scelgono una matassa, sfogliano libri di lavori a mano, la
soppesano, la riposano, ne prendono un’altra, e così via. Senza mettersi
fretta. Augurarsi di saper fare un maglione e sapere che non ci riusciremmo
proprio. Eppure quel mélange sui toni del blu notte, tra il violetto, il nero e
il blu che stranamente dà luce al viso e che non avremmo mai saputo immaginare,
non è invitante?
Si
riparte, per arrivare a un curioso basso edificio in mattoni con le finestre
contornate di pietra bianca, al di là della piazzetta con i suoi arbusti e
vialetti curati. E’ una piscina pubblica, come a Parigi ce ne sono in tanti
quartieri. Questa però è alimentata da un pozzo artesiano. Pura acqua dei
bassofondi parigini. Alla fine dell’800 la città aveva cominciato a espandersi
sin qui, e rifornirsi tutti di acqua potabile era un problema. Qualcuno aveva
lanciato l’idea che scavare un pozzo sarebbe stato facilissimo. L’acqua però
giocava a rimpiattino e si lasciò trovare solo a 286 m sottoterra, dopo decenni
di scavi interrotti e ripresi. A quel punto il problema era stato risolto
altrimenti, e il pozzo sgorgava inutilmente. Finché fu deciso di costruire una
piscina cittadina e di usarla anche per scopi medici. Fu qui che venne messo a
punto il nuoto come disciplina correttiva.
Acqua e
acqua unite: quella pioggerellina incostante del nord decide di mettersi a
cadere proprio adesso, pervicacemente, per circa cinque minuti. Giusto il tempo
di schizzarsi. Gelo, umido, freddo, nuvole. Il tempo di arrivare alla prossima
piazza, di scansare l’orripilante, gigantesco centro commerciale su un lato, di
guardare più in là. Un quarto di arcobaleno variopinto scavalca il viale,
felice dei suoi colori. E pure gli spettatori a naso in su, mentre tra le
nuvole che non mancano mai si apre la sua strada l’azzurro.
Cara Vivian, o meglio, cara tu che sei dietro a Vivian, lo so che ti scrivo da così lontano da non riuscire nemmeno a farmi sentire. Non importa: ricordiamoci che il mondo è sempre pieno di sorprese, e noi, malgrado tutto, di desideri.
Cara Vivian, o meglio, cara tu che sei dietro a Vivian, lo so che ti scrivo da così lontano da non riuscire nemmeno a farmi sentire. Non importa: ricordiamoci che il mondo è sempre pieno di sorprese, e noi, malgrado tutto, di desideri.
Tu sei una donna meravigliosa!
RispondiEliminaGenerosa empatica e vera
la seconda parte del post, il racconto, me lo leggo domani che mi sono persa a leggervi di là e ora devo dominarmi un attimo.
mi intriga quel libro di cui parli, bisognerà che lo si traduca in italiano. Lo regalerei a qualche amica in difficoltà Anzi anzi......
Grazie Squa. Sono molto contenta di dare questa impressione e mi fa molto piacere quello che mi scrivi.
EliminaP.S.: il libro è molto bello, secondo me. Però è un libro difficile da tradurre, non in sé, ma perché è un libro vagamente d'artista, come Calle è, quindi costoso: tante foto quanti testi, formato ampio, carta buona, molte pagine, copertina decorata e foderata. Quindi si deve essere sicuri che ci sia un mercato, ciò che in Francia Calle ha. In Italia invece...
EliminaPeraltro io trovo che sia relativamente facile capire il francese in lettura, pur non parlandolo, specialmente se si conosce bene l'italiano e magari un po' di latino e si è interessati all'argomento.
Grazie pellegrina, grazie a nome di Vivian che conosco e che sta soffrendo tanto e sono felice che possa sentire che non è sola, non lo è davvero, anche se il calore intorno a lei è di sconosciuti, è forte ed è tanto. E grazie perchè non tanto tempo fa Vivian ero io e la catena di solidarietà che poò arrivare dal blog è davvero potente. E visto che ci sono grazie per i tuoi commenti " a casa mia" sempre sentiti e passionali. Grazie davvero per tutto.
RispondiEliminaGrazie a te dell'apprezzamento così sentito che mi fa molto piacere davvero. Anche chi scrive ha bisogno di apprezzamento ;-).
EliminaHai ragione sul blog, la condivisione e l'affetto degli sconosciuti sono importanti, soprattutto quando attorno tutto svanisce e nella vita reale pochi riescono a sembrare vicini. Sono contenta che tu stia meglio e spero che anche Vivian possa riuscirci presto.
Eccomi! Ci sono riuscita! Dopo l'iscrizione...
EliminaGrazie ancora per tutto!
Ma grazie a te! E adesso sono io che non riesco a iscrivermi da te :-(
EliminaLievi come una piuma le tue parole, lievi come una carezza sull'anima eppure forti e avvolgenti come un abbraccio. Non hai detto "non sei sola", ha fatto non sentire sola una persona o tante persone e non è poco, forse non è nemmeno molto, però in certi momenti può essere tutto una mano lieve, una piuma, un abbraccio.
RispondiEliminaGrazie Ale, mi dispiace vedere solo ora un commento tanto bello e penetrante. Hai ragion, sono le piume che fanno la differenza, come i ricchi e le principesse sanno bene (-;
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