No, non il mio ché non mi ricordo più nemmeno quando ho bevuto quattro bicchieri di vino nella stessa serata (ma doveva essere non dopo novembre dello scorso anno, con Michela a Venezia, forse e la volta prima si perde nell'oblio, agosto in montagna?). Nemmeno per la disperazione di dover tornar in Italia tra venti giorni esatti, in una di quelle situazioni che già mi fa scoppiare nella pelle per la voglia di mandarla in pezzi. Ma sono per adesso troppo sana per poter pensare all'autolesionismo, dopo sei mesi di cura ricostituente estera con quest'ultima dose di pappa reale (è il caso di dirlo) dell'Inghilterra. Dove per pappa reale si intende seppellirsi nove ore e mezza al giorno nella sala sotterranea di una biblioteca, ma ognuno ha le sue dipendenze, confessiamolo.
Nei paesi del nord si beve di più e questo si sa. Ma vederselo accanto è un'altra cosa, non avendo io mai avuto per fortuna esperienza troppo vicina di questo flagello sociale.
Sì, una volta una quasi collega, alcolista, di quelle che iniziano a bere alle due del pomeriggio, l'ho sfiorata. Lavorava al piano di sopra a quello in cui stavo io. Mi si stringeva il cuore per suo figlio, ancora piccolo, tra le elementari e le medie. Lui non sapeva cosa fare di questa madre ubriaca e giustamente, fin troppo giustamente secondo me, diventava aggressivo nei suoi confronti. Voleva una mamma, non una mamma ubriaca. Ma in fondo era possibile lasciarla lontana.
Cosa dire però di una persona che ti è stata compagna di chiacchiere, passeggiate, divertimenti, buone cene (e qualche bicchiere di vino), di cui non hai mai immaginato nulla - anche per ingenuità, perché la vedevi da un po' sempre più gonfia, ma essendo sempre stata corpulenta non ci pensavi più di tanto - che arriva a un appuntamento con un'ora di ritardo, così ubriaca da non riuscire a parlare, attraversa ondeggiando le sale della mostra, scompare e la devi ripescare chiamandola non so quante volte al telefono dopo aver girato tutto Beaubourg? E' successo la domenica prima di partire per l'Inghilterra. E' forse la persona con cui più stretta e affine è la conoscenza qui in Francia, perciò tanto più preziosa per me, al momento di ricostruire tutte le mie relazioni. Da un lato si spiegano adesso tanti piccoli episodi, tante incongruenze degli ultimi tempi, tante scomparse. Dall'altro si rimane attanagliati dall'impossibilità di aiutare chi si trova in situazioni del genere. Si rimpiange che non venga data qualche minima nozione di cosa fare quando si è confrontati a simili casi, perché l'imbarazzo, la sensazione di inadeguatezza, la voglia di porgere aiuto ma allo stesso tempo la paura di sbagliare, rischiano di fare più danno ancora.
Purtroppo non è il primo caso che mi capita, qui in Francia.
Il secondo caso è forse più imbarazzante ancora, perché si svolge in ambiente lavorativo. Una sera vieni incastrata a bere un bicchiere, ci vai volentieri, aspettavi questo segno di inclusione. E capisci che tranne due persone le altre si sono tutte trovate, sul lavoro, perché inclini all'alcool. Visi arrossati, corpi gonfi, aria persa nel vuoto davanti a sé. E teste disperatamente brillanti. Di quelle che avresti sempre sognato di trovarti accanto. Si controllano davanti a te. Ma i segni si mettono insieme lo stesso. Un baratro.
Non si sa se provare più paura, fastidio, ribellione. Voglia di aria pura (altro che finestre piombate).
Poi, oltre la Manica, salita sul treno per Oxford, alle due del pomeriggio di un lunedì, ti viene incontro una zaffata di alcool dall'intero vagone. Sarà che invece che su un treno passeggeri sono entrata in un convoglio che trasporta tutte le botti usate di una distilleria scozzese verso il Devon?
Al pub, unico luogo dove a Oxford servano del cibo decente, stasera c'è ressa. Trovo posto in un angolino appartato, una saletta con un secondo bancone e tre tavolini più adatti a bere che a mangiare. Il vicino osserva con curiosità e attenzione la mia mezza pinta. Cider, cider si sussurra interessatissimo con gli altri due commensali. Pare che il mio sidro (perché le birre inglesi proprio non mi piacciono) sia "sparky", cioè ottenuto con un metodo di fermentazione naturale che lo lascia stranamente opaco, e sia privo di additivi. Mi spiega il vicino che una volta ne ha bevuto molto, ma molto, ma molto - e ci credo - fino a essere molto ubriaco. Ma con quel sidro lì, poi non ha avuto mal di testa. Forse perché è assai diluito come alcool, forse per la mancanza di additivi. Arriva il mio colossale piatto di carne patate e insalata e siccome non mangio dal porridge di stamattina gli faccio onore. Nel frattempo sogguardo quei miei vicini che discettano così approfonditamente sull'alcool. Hanno sul tavolo due bottiglie di vino e uno una pinta di birra. Ognuno ha la su bottiglia, nessuno ha del cibo (sono le sette di sera). Le loro pance sporgono dai cardigan aperti come se fossero piccole botti. Le facce sono tirate, gli occhi all'erta e sfuggenti come davanti a un pericolo. Di colpo mi ricordano i racconti di Ivo Andric suglu ubriaconi di Bosnia. Sono poveri, vestiti in modo dimesso. Qui in Gran Bretagna le differenze di classe sono fortissime, stridenti. Ma non sono soli. Due portano la fede. Il terzo, quello con la pinta di birra e la pancia meno prominente, se ne va. Loro rimangono, con le loro bottiglie di vino. Dall'altro lato del mio tavolo, due uomini magri, più anziani di loro, con un semplice bicchiere, parlano di affari. Non riesco assolutamente a capire di cosa, in maniera concentrata, intensa. Sono diversi, vestiti discretamente ma con abiti costosi. Hanno gli occhi chiari e forti di chi ha la propria strada. Non mi rivolgono la parola. Finisco di mangiare, saluto i beoni del tavolo vicino. Parlo dell'agnello che da noi si mangia a Pasqua. Già, perché è il simbolo cristiano, mi dicono.
Sparisco mentre cade la notte.
giovedì 10 aprile 2014
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Che splendida disperazione hai descritta....
RispondiEliminaSplendida?
Elimina