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Toulouse en érasmienne

martedì 2 novembre 2021

Nel giorno dei morti

 Mentre sono passati coloro che la esorcizzano con zucchero e varianti, mentre da tre giorni mi vanto di essere distrutta da sinusite, mal di testa e nausee, proprio oggi vengo a sapere della morte della sola persona in posizione influente che mi apprezzava fattivamente, mi aveva aiutato a portare le istanze della struttura là dove si puote e aveva mostrato l’intenzione di recuperare la struttura facendo fare ciò che da decenni non si è mai voluto realizzare. Precauzioni incluse, che adesso saranno passate sotto silenzio perché costano. Non disturbiamo. Andiamo avanti, tanto ormai la situazione è cambiata. 

Una struttura che per altri deve rimanere una cava, disfacendosi nel mentre.

Una persona capace di badare al sodo senza sentirsi sminuita dal mancato controllo delle formalità, delle precedenze, della sottomissione gerarchica. Una persona consapevole che semplificare la vita extralavorativa è il migliore modo di far lavorare bene chiunque. 

Una persona abbastanza sicura di sé da capire cosa sia una scala di priorità, la diversità degli approcci e delle indoli e l’importanza primaria del risultato e del buon risultato.

Una persona che non avrebbe mai proferito dall’alto della propria incompetente sicumera: « La forma è sostanza » né « Sei troppo indipendente », le due frasi degli incapaci che trovano sponda solo nel sadismo.

Una persona non scontata se non nella mesta conferma dell’adagio che sono sempre i migliori che se ne vanno.

Sono triste per questa morte, per le conseguenze su di me e sulla la struttura che muore anch’essa.

Allo stesso tempo il venir meno di questo minimo appoggio rinsalda ancora una volta la necessità per me di scappare a gambe levate. Il mio spirito d’iniziativa non è ovviamente mai garbato a chi avrebbe dovuto attivarsi e ha solo sopito e fatto sopire. Simpatiche conseguenze trasversali sarebbero nello stile. Dietro di me lascio macerie che non ho creato e che ho invano tentato per anni di ricomporre più o meno a mani nude, perché lo meritavano e lo meritano.

Mi piange il cuore, anzi no: da quando ho saputo ho le lacrime agli occhi, a pensare di lasciar depauperare una struttura come quella, ma non posso, cioè non ho il potere, di far diversamente, ora men che meno. E per quanto mi strazi il pensiero di lasciar la struttura alla devastazione silente, non posso e non devo estenuarmi dentro un’istituzione che permette e incoraggia uno sfregio simile, impedendo ogni recupero.

Sento che si sta chiudendo un lungo momento della mia vita, almeno quindici anni, nel complesso. Ho bisogno di chiuderlo perché non mi corrisponde più. Devo diventare altro. Ma non in quell’istituzione: ovunque li’ sarebbe impossibile. Lo sapevo già dal primo confinamento. Mi lasceranno andare? Riuscirò a scappare prima che arrivi qualche sadico ad aggiungere altre difficoltà? Quasi impossibile.

Addio X. Larguez les amarres!

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