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Toulouse en érasmienne

martedì 25 dicembre 2012

Beatrice

"Elle était votre ancrage comme vous etiez le sien."
F. H.-V.

Dal 2004 il Natale non è più stato lo stesso. L'anno prima, in quella baraonda che era sempre stato nella nostra grande casa all'ottavo piano, con l'albero che odorava di resina e di bosco nordico, mi ero ritrovata seduta vicino accanto a lei. I suoi bei novantadue anni non le toglievano l'appetito, anzi le avevano stuzzicato una voglia di brindisi che non aveva mai manifestato nell'età della ragione. Il (futuro) marito di mia mamma, il quale da bruon toscano arrivava sempre con qualcosa da mescere, era puntualmente apostrofato in merito alla presenza della indispensabile bottiglia. Gli anni, la mancanza di bambini e la sempre minore disponibilità economica in una famiglia di tutti salariati (non dimentichiamo che in Italia siamo ancora fermi ai valori del 1993, data l'assenza di qualsiasi meccanismo di indicizzazione reale contemporanea ai tagli dei servizi pubblici che comporta maggiori uscite per chi non ne può più usufruire), avevano reso i nostri doni più un dovere in equilibrio insostenibile con il  necessario risparmio che una sorridente manifestazione di piacere nel dare e nel ricevere quello che esattamente era nei pensieri dell'altro. L'oggetto per l'hobby, l'opera preferita, il libro non ancora letto, il tassello mancante nel guardaroba o nella casa, la sorpresa, il piacere. Non ci siamo mai regalati cose di grande valore, ma soddisfare i piccoli desideri dei nostri cari ci stava a cuore e ci dava soddisfazione. Ma stava diventando impossibile.
Lei ormai ai doni non era più interessata granché. Ma vederci tutti insieme  le piaceva, sia pure per non troppo tempo. Così quella sera eravamo sedute vicine e chiacchieravamo e io l'aiutavo a prendere o tagliare là dove non arrivava più. Per anni avevamo passato Natale in quella stanza. Il grande buffet che ora ho raccolto nella mia piccola casa veniva trasformato in presepio pieno di muschio. Le statuine erano della fine degli anni Trenta, e solo a mezzanotte si metteva l'ultimo personaggio. L'albero con ancora qualche palla dell'epoca, verde oro o rossa. I fili d'argento. Una grande sensazione di attesa felice, voci, suoni, cose buone, sorrisi, eccitazione, pacchetti. E grazie a mia madre, che non apprezzerò mai abbastanza per questo, niente bugie di Babbi Natale inesistenti a cui promettere di comportarsi bene per avere in cambio regali (bel mercato educativo!). Che poi a ben guardare, a Milano, da dove veniamo, i regali, come saggiamente dice la canzone, li porta il bambino, ma i soldi li spende la mamma. Un bel modo, secondo me, per godere il rito, ma restando consapevoli che è un rito, senza raccontare falsità. Ancora più a nord arriva la slitta di Lucia che porta la luce. A Roma c'è la Befana con dolci di vari colori. Babbo Natale (sarà toscano?) sembra quasi un intruso, come i mostricini di Halloween.
  Questi i Natali della mia infanzia, zie zii, cugini, nonni, tutti insieme a cucinare, apparecchiare, impacchettare, spacchettare, ridere, mangiare, chiacchierare, rigovernare, fare tardi nella notte fredda, partire carichi di buste magiche, come raramente può accadere in una grande città.
Il Natale successivo lei non ci sarebbe stata più. La sua casa nemmeno, la casa dove avevo passato i primi otto anni della mia vita, l'unica casa che abbia davvero sentito mia (a parte una in cui sono stata solo pochi mesi, ma è un'altra storia). Senza più avere accanto i miei amatissimi nonni, Natale non sarebbe più stato lo stesso. Piuttosto che viverlo senza di loro, lo abolii.  Cioè preferii passare il Natale in una famiglia diversa e lontana, dove cominciare a costruire nuovi riti per una nuova storia. Portando un solo dono per il banchetto collettivo che aveva luogo accanto al fuoco, magari realizzato da me (e giuro, risparmiando in stress diversi anni di vita!).
Così come ogni anno a Natale lei non c'è. L'affetto più puro e generoso che abbia mai conosciuto. Oh, non era tenera la mia nonna! Non si sbrodolava certo in smancerie. Ma aveva una tensione di affetto e di vita in ogni suo gesto come forse mai ho ritrovato. Era riservata, quasi timida, ma spalancava sorrisi a chi, magari incontrato casualmente, la attirava in una conversazione, per quanto strana. La ricordo, mentre ero piccolissima, lei che non accendeva mai una radio, sulla piazza di Vigevano, guardare sorridendo un ragazzino che le spiegava di aver messo su una radio libera con un gruppo di amici e le faceva ascoltare in cuffia la loro prima pubblicità promozionale. O attaccare bottone sulla strada per il supermercato, uno dei pochi posti in cui andasse e dove ricevevo da lei le prime lezioni di economia domestica e educazione civica (l'altro grande maestro era mio nonno, per strada e in automobile). Ricordo i pacchetti pesanti di pasticcini comprati sottocasa infilatimi nella cartella quando partivo per la scuola, da lei che un dolce per tutta la sua infanzia poverissima quasi non aveva saputo cosa fosse. Ricordo gli abbracci forti e le ore passate a farmi ripetere le tabelline. Aveva una testa matematica la mia nonna. Non da ragioniera, da logica che averbbe voluto coltivare. Dopo il diploma magistrale, preso con i geloni sulle mani e i piedi, perché a Milano faceva freddo, ma soldi per il carbone non c'erano in quella famiglia dove il padre era partito carico di debiti di gioco, portando con sé perfino il denaro per pagare la levatrice quando lei nacque. E la madre era partita di testa per il dolore, alla morte della primogenita, una morte mai capita, un'infezione trascurata perché mancavano i soldi, e forse le medicine giuste, e in ospedale ci era arrivata viva, la piccola, con un foruncolo sul labbro, ma poi non gliel'avevano più mostrata, e quando le sorelline la rividero dopo pochi giorni aveva intorno alla testa una fasciatura che gliela copriva tutta. Loro non avevano mai saputo perché.
E il primo che s'azzarda a dire che dobbiamo ridurre l'assistenza sanitaria perchénoncelapossiamopermettere lo mangio crudo come un finocchio in pinzimonio, tacessero almeno, farisei di morte.
Dopo il diploma magistrale, dicevo, lei avrebbe voluto iscriversi a matematica. Ma la bisnonna si era opposta: una donna a matematica, non stava bene. Lettere, poi fare la maestra. E alla Cattolica, non altrove. Lettere aveva cominciato, ma soprattutto doveva anche lavorare, e ben presto  lasciò. Poi un marito molto amato, amico d'infanzia, sei gravidanze e quattro parti e due pasti al giorno e sei bucati a settimana con il solo aiuto delle figlie, e una scuola tutti i giorni sei ore al giorno, e il marito, peraltro squisito e ben poco esigente, "che non è mai uscito di casa senza una camicia pulita e stirata ogni mattina."
Un matrimonio mandato in rovina perché dopo quattro parti, con dolore, e gli ultimi con nati di quattro chili, lei aveva cacciato il marito dal suo letto, ché la contraccezione, ovviamente, era peccato. O meglio aveva smesso di andare a letto la sera, addormentandosi su una sedia e mettendo avanti le faccende da sbrigare, con l'aiuto di endovenose di caffè. (Macinato a mano, il caffè. Da me, spesso. Nel macinino di legno con l'in granaggio metallico che profumava. Il caffè, che non mi è mai piacuto, è stato la prima cosa che ho imparato a preparare in cucina.) E lui mortificato, disperato: "Beatrice, non ti tocco, non ti tocco, vieni a letto". Ah, santi uomini di dio.
Già anziana aveva trovato un parroco che aveva cominciato a leggere la Bibbia con i fedeli. Lei non se ne perdeva una. L'ha letta tre o quattro volte, tutta intera. I nomi dei libri biblici li sapeva a memoria tutti. A casa ogni tanto la rileggeva.  Ha comprato, o s'è fatta regalare, quella della TOB che adesso ho io. Chissà se ha mai conosciuto anche queste  storie, a  cui quel parroco dopo cinque secoli tentava di porre rimedio. Perché cinque secoli fa, la Bibbia in Italia la leggevano in tanti, ciabattini e converse, tra vicini di casa e parrocchiane ferventi.
Poi è passata ai classici: francesi, russi, inglesi, tedeschi, i Grandi libri Garzanti li ha consumati, o più tardi ci ha ascoltato leggerglieli. La religione, una cosa lecita e reverenda, è stato il passaggio che ha permesso alla sua scrupolosità di ricominciare a coltivarsi, a prendersi cura di sé.
La telvisione invece non faceva per lei. A parte naturalmente l'ispettore Derrick, lo vedevamo tutti noi, peraltro.
Con me, con tanti, esigente, rigorosa, certo, ma generosa, attenta ai miei desideri, ai miei interessi. A dare senza mai apparire e senza mai credere. In affetto incondizionato e in effetti materiali. Come la cristiana profondamente credente che era, una delle poche che abbia incontrato. Per fortuna avevo una madre presente, che smussava certi effetti collaterali. Malgrado lei non lo ritenesse adatto, ho sempre potuto leggere di tutto, frequentare chi volevo. Ha conosciuto i miei amori più grandi. Ha letto la mia tesi di laurea. Era felice di ogni mia visita.
Un giorno di pioggia senza fine, d'inverno, l'ischemia. L'ospedale, dove la ricordo seduta sul letto, lo sguardo un po'appannato, cosciente, parlava sensatamente. I giorni, poi i mesi, passati sdraiata, con una flebo apparentemente di sola idratazione. Niente altro, mai altro. Poi il resto, la schiuma alle labbra, le vene che cedono, niente più vista, niente più parola. Le mani strette alla ricerca di un segno, le carezze per tentare stabilire un contatto. Una stanza piena di sole, per lei che diceva sempre "bello come il sole", ma lei non lo vede. La primavera che esplode e le rose che arrivano, ma lei che amava anche i fiori, non le vede. L'attesa nel silenzio, senza sapere cosa c'è di là, senza sapere se c'è paura, dolore, bisogno, senso di abbandono, desiderio. Senza sapere se e cosa si può fare, se semplicemente a quell'età il protocollo dice di non intervenire (ma altre patologie non ne aveva, "stava bene", se così si può dire) o cosa sia.  L'ultimo segno, involontario, volontario, chissà. Andavo da lei tutti i giorni, e una volta, in quel gran sole, le tenevo la mano e le parlavo. Arriva la visita per la vicina di letto, mi mandano fuori, ma lei non lascia la mano. Tento di sfilarla, ma lei la trattiene. Forte, come una volta quando nel salutarla l'abbracciavo. E io sono obbligata a dirle, perché mi mandano fuori, con impazienza: "Nonna, devo proprio andare è venuto il dottore per la signora. Lasciami, adesso. Devo andare, poi torno, però." E la mano pare allentarsi, ma quando ritorno non la ritroverò. Non c'è più nulla, solo quel cuore che "è forte" e lo sarà ancora, a lungo, finché cederà tutto il resto e ci sarà solo una bara, poi un'urna, con dentro le rose.
 
Adesso non posso più andare a trovarla, nella sua poltrona davanti alla finestra del balcone fiorito, dai gerani rossi o viola piantati dal nonno. E insomma, nonna, come te lo devo dire. Che scherzo mi hai fatto. Non sta bene. A una certa età, mica ci si comporta così. Nemmeno i gerani ci sono più.





17 commenti:

  1. l'ho letto trattenendo a stento le gocce di lacrima.
    perchè che tu ci creda o no, è la fotocopia di casa mia. nonna compresa, mamma che caccia papà compresa, debiti di gioco, pochi soldi, regali, felicitò del natale senza bugie, nonni alla tavola e poi più, ischemia compresa.

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    1. Caro cuoricino che sta in fondo al tuo commento. Toste queste storie familiari, eppure forse più diffuse di quanto si pensi. Ci hanno rese quelle che siamo e dispiace sempre che non si siano potute sciogliere come pur sarebbe stato possibile...
      Ti faccio mille e mille auguri, e a presto.

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  2. Invece le lacrime io non sono riuscita a trattenerle.
    Non so se sia Beatrice, tu, la storia che sembra un film e che purtroppo non lo è, perchè se fosse stata tale qualcuno l'avrebbe fatta finire diversamente.
    Oppure certi fili sottili e certi ricordi che fanno assomigliare storie, vite e ricordi diversi.

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    1. Mi piace la tua idea di film :-). Araba mia carissima, chi ha subito un lutto forte, perdendo non solo una persona fondamentale, ma una casa che ne rappresentava l'essenza, e il nostro passato, e ha saputo sentire il dolore anziché soffocarlo, non può non riconoscere quello degli altri e non tirare dei fili. Mi scalda il cuore sapere che apprezzi così tanto la saga della mia nonna, emblematica di cos'è stato il nostro paese, oltretutto, e la vita delle sue donne, e una persona appassionata, seria, affettuosa quanto antiretorica, come lei è stata. Ti abbraccio forte con tanto tantissimo affetto.

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  3. Forse è solo il tempo che passa che accomuna storie, fili tesi nella memoria.

    La salute, i nonni che non ci son più e che tanto hanno contato, le malattie, i natali trascorsi.
    Dicevo pochi minuti fa al telefono che natale senza la vigilia a fare ravioli nella cucina della casa dove sono nato, con fuori la nebbia e le luci che anticipano la mezzanotte, beh, non è natale. E a nulla vale ritrovarsi ad un pranzo che è quasi uno sforzo di ingestione, rituale, fatto più per i miei che ora sono nonni anziani come lo erano i miei nonni per me.

    Vorrei fare ancora i ravioli per la vigilia, ecco.!

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    1. Ma puoi farli! Anche da noi si raviolava, ma erano per il 25 a pranzo, o magari per il 1 gennaio. Li facevano mia nonna e mio zio con occasionali contributi a piegare, chiudere, tagliare, disporre sullo strofinaccio infarinato. Ripieni di carne cotta, grandi come lenzuola, la pasta ben spessa e conditi con quel sugo ristretto lombardo. Non so se tu abbia ancora la stessa casa, ma di certo hai una cucina e una mamma o una zia che la ricetta se la devono ricordare. E che saranno felicissime di mangiarseli poi... ;-) insieme al cuoco!
      Certo non è la stessa cosa come essere bambini e diventare i patriarchi del bambino che siamo stati, accudire chi ci ha accudito, è difficile. Ma i riti aiutano, esistono per questo.
      Comunque nei vostri cosa ci mettevate?

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    2. Il problema non è farli. Li so fare benissimo da solo (il pieno è fatto con gallina lessa, arrosto di maiale e pasta di salame), magari litigo un po' con la pasta, ecco, ma per il resto me la cavo egregiamente.
      Quello che non si ricrea più è il mood, lo spirito di allora. La zia non c'è più, la casa è chiusa da allora, ma soprattutto non ho nessuno con cui condividere questa festa. Il natale con i miei è rituale, bello ma non di quella intensità che cerco.
      Brutta cosa essere incontentabile :)

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  4. Beatrice non è andata via. E' lì dove non la vuoi vedere. Lì nelle tue scelte, nei rischi che ti assumi, nel ricordo che ti porti dentro. E' lì anche quando cucini qualche cosa che bene o male te la ricorda. E' lì quando spegni la luce e chiudi gli occhi e la nostalgia non ti molla.
    E' lì anche quando rifiuti il Natale... per non guardare una sedia vuota.
    E' lì come sono lì le mie ombre, che mi seguono, mi accompagnano e che si fanno più manifeste sotto Natale.
    Perchè è proprio sotto Natale che ho dovuto separarmi da loro e per anni non glielo ho perdonato.
    Ma indietro non voglio guardare, solo avanti, per vederli lì quando avrò bisogno di fare altre scelte, di sollevarmi da altre cadute, di coronare altri desideri.
    Strana cosa la rete, fa scoprire tanti altri cammini come il proprio. Mi fa sembrare di essere stata da sempre la tua vicina di casa, di banco, d'autobus. Di aver fatto merenda con te e di aver conosciuto Beatrice... e so che non può essere vero perchè credo di avere molti più anni dei tuoi ...
    O forse si, ci siamo incontrate nelle strade della nostra Milano, tra i palazzi che soffocano i giardinetti, tra una giungla di cemento.
    Spero solo di averti fatto un sorriso... lo stesso che vorrei vedere ora sul tuo viso.
    Buon Natale, a te, e a Beatrice... che è certamente lì con te!
    Nora

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    1. Sì, Nora, mi hai fatto sorridere, anche se non con allegria, ma con empatia. Chi lo sa, se ci siamo incontrate, ma se si vive guardando avanti non sarà impossibile farlo. Non so se sia la comune ascendenza lombarda, storica, non recente, ma anche io sento questo sostrato di affinità quasi primordiale, insolito per chi non s'è mai realmente parlato, e anche io sono colpita da come in rete sia paradossalmente più "facile" incrociare caratteri ed esperienze affini e vicini. Forse perché ci si scopre di più di quanto si faccia nella vita fisica, dove si tende, ad esempio, a non tediare il mondo con i propri lutti. Forse perché in rete passa più facilmente l'essenza delle persone invece dei troppi orpelli che ci ingabbiano nel mondo "reale", dove l'apparenza, il non verbale, l'improntitudine - e la condizione socioeconomica - contano infinitamente di più, mentre l'essenza rimane molto più nascosta e non detta.
      Lei c'è accanto e in me perché mi ha formata almeno quanto mia madre, ma il suo forte saldo e costante abbraccio, l'idea di focolare che aveva intorno, mi mancano sempre tanto.

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  5. @tutti
    Grazie per questo commenti davvero toccanti. Mi hanno così commossa che ci ho messo un po' a rispondere, sia per trovare le parole che per riuscire a metterle su carta virtuale. Ma mi hanno fatto davvero molto piacere e penso che sia per questo tipo di riscontro che vale la pena di riceverne dai propri lettori.
    Penso che in rete sia più facile fino a un certo punto scoprirsi, ma anche che il sostrato inconsio che ciascuno si porta dietro riconosca a livello altrettanto inconscio (non mistico!), chi è marcato da esperienze simili. Questo spiega l'intensità di certe consonanze con chi è uno sconosciuto, o quasi, e poi pian piano finisce con il non esserlo più :-).
    Perciò vi sono grata di un'attenzione tanto partecipata e a tutti, a presto e buon 2013.

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  6. Che grande emozione. Che storia d'amore assoluto. Che ti posso dire se non che ti capisco e che la mancanza dei miei nonni e delle loro vite così dense di umanità è fortissima anche a distanza di anni. NOn so perché ripensi sempre spesso a loro, adesso che sto invecchiando molto più di quando ero bambina. E' che mi sembrano persone uniche e speciali, come non ce ne sono più, come la tua Beatrice. Persone che ci hanno insegnato la vita ma non so davvero se l'ho imparata....loro lo sapevano fare meglio. Si, è proprio uno scherzo terribile quello che ci hanno fatto, perché si sono portati via un tempo che non tornerà mai più.
    Io coccolo ancora il loro ricordo. E mi emoziono sempre tantissimo quando leggo storie come questa, meravigliosa.
    Un forte abbraccio carissima. Tutti i più sinceri auguri.
    PAt

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    1. Grazie davvero Pat, come sempre riesci a cogliere l'essenza dei discorsi in maniera toccante. Anche a me sembra che l'esperienza e il modo di vivere di una generazione siano stati in qualche modo unici. Che dire, speriamo almeno di somigliare a quanto di meglio sono stati quando saremo noi al loro posto...

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    2. E tanti carissimi auguri anche a te.

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  7. Cara Pellegrina, mi hai fatto quasi piangere, per te, per la tua nonna, per la mia nonna e per tutti i Natali trascorsi che non torneranno più.
    Un bacio e tanti auguri.
    Mari

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    1. Grazie Mari, tanti auguri a te. Fa piacere sapere che i nonni siano stati tanto importanti anche per altre persone.

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  8. Quante cose che mi fai venir fuori. Che bello. La mia nonna materna, che ancora ho, che mi insegnava le tabelline, la nonna paterna che guardava derrick perchè la faceva pensare alla sua amata Germania. E in entrambe, un amore smisurato per me, la dedizione più totale, di gente che ha avuto poco (non è proprio vero per la mia nonna paterna, che era addirittura laureata e di buona famiglia) e con quel poco ci si fa d'oro.
    E poi un piccolo morto qualche mese fa, mentre gli tenevo la mano: ad un certo punto me l'ha stretta forte, ma non era più nemmeno u riflesso, era lo spasmo finale.

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    1. Molto tenera quella piccola mano stretta fino alla fine. L'intensità delle persone che hanno avuto poco è unica, davvero. Sono contenta che tu abbia commentato, P.

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