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Toulouse en érasmienne

mercoledì 21 dicembre 2011

Il giorno del solstizio

Un ricordo dedicato a un amico ormai troppo lontano. Ciao Stefano. E un pensiero alla tua Nino dai bruni capelli.

Il coro virtuale

Diffido dei social cosi. Mai ho voluto cedere e affacciarmi sui social cosi. Al massimo mi fermo sull'orlo e guardo giù. Ma non entro mai. Anche quando avrei dovuto farlo proprio per dovere, ché facevo un corso sugli strumenti del web 2.0 e la lezione n. vattelpesca è ancora lì incompleta, perché l'account sul social coso principe io proprio, discola cocciuta, non ho accettato di farlo. Poco ma sicuro che nel tempo certe colleghe mi ci hanno cercata invano, invece di chiedermi, banalmente, ciò che avrebbero voluto sapere. Il social coso, per carità, rischio lo choc anafilattico, la mia religione me lo proibisce, il dottore me lo ha vietato e al dottore non si disubbidisce mai. Il social coso, però, è insidioso, non si lascia aggirare così facilmente e stavolta mi ha spedito incontro dritta dritta una corazzata d'assalto carica di caccia a decollo verticale, a evoluzioni più belle del Rafale (che è una cosa mozzafiato). Stavolta il social coso ha usato il coro (più la gola, sì). E capire quale ne sia l'ingrediente segreto e lievitante, dei cori, è difficile, ma è indubbio che si finisca sempre col trarne qualcosa di speciale. Ho raccontato qui del magnifico (letteralmente) esperimento bachiano che si svolge da tre anni nella straordinaria città di Tolosa, un lievito di suo. Stasera poi apro il blog di Menù turistico (gola, voglia di chiacchiere? che lì ce n'è sempre ;-) ) e trovo questa festa di canzoni reali nel mondo virtuale, organizzata da Flavia che se sta sul suo vulcano, laggiù, e sogna un Natale dickensiano e nevoso. A me ha fatto l'effetto di una festa, in realtà è di più: è un appuntamento per una settimana sui profili di quelcosochenonnomino per cantare insieme una canzone (di Natale, dato il momento), aggiungendoci, pare, improvvisazioni coreografiche davanti allo schermo - a quando un social coso con circuito di telecamere per fissarle a perenne memoria? Confesso: come possa funzionare non saprei troppo bene. Ma pare funzioni e che sia già la terza sera; e già che ci siamo, se devo confessare completamente e sinceramente, sono rimasta prima a bocca spalancata e poi ho provato l'irrefrenabile voglia di dire: "anch'io anch'io, dove ci si iscrive"?

Poi ho inforcato gli occhiali e ho cominciato a pensare. Da quando sbircio il mondo dei foodblogger e li osservo con divertito interesse e qualche timido tentativo di avvicinamento, mi sono fatta l'idea che in fondo internet faccia semplicemente esplodere su scala più vasta il desiderio di compagnia e di legami tra gli esseri umani. Di più. Di azione comune e aggregazione aldilà del terribile ciondolio da muretto che scandisce ancora troppo, in diverse declinazioni, il tempo "libero" di adulti e adolescenti. Internet dà possibilità più ampie a chi coltiva sinceramente un interesse di scoprirsi e di intrecciare legami, ma, soprattutto per chi ne fa una vera passione, al punto di aprire e seguire un blog, è in genere un prodromo all'incontro e alla conoscenza reali, o comunque all'utilizzo di mezzi di scambio e contatto cosiddetti tradizionali, ma evidentemente - e vivaddio - ancora ben necessari (come le le lettere, o i regalini che molti si scambiano tra loro o con gli outsider quali la sottoscritta) e che restano in ogni modo il vero punto di arrivo, quello di una conoscenza che ha bisogno di superare lo schermo e di vivere nel mondo reale ogni volta che può. Anche chi ci sta per lavoro, mescolando le due dimensioni, può declinare tutto questo in una forma di attività comunque collettiva e anche "gratuita" non unicamente professionale, che finisce con lo spaziare in campi, se non diversi, confinanti. Un esempio ne è lo Starbooks, di cui si parla anche in questo blog, l'altro il circolo di lettura online promosso sempre da Menu turistico, per cui Alessandra ha lanciato l'idea di leggere e commentare insieme i classici: in gennaio si parte con il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. L'iniziativa è aperta a tutti, non solo ai foodblogger, ovviamente. L'associazione viene spontanea con l'iniziativa di lettura che fu fatta a Mantova del salgariano Jolanda la figlia del Corsaro Nero nell'inverno del 2006, un tentativo di lettura di massa da parte di una comunità: potenzialmente il web potrebbe essere un buon posto per riprenderla e ripeterla, incontrarsi e parlarne. Va detto che l'iniziativa dei circoli di lettura, i cui partecipanti sono però in numero limitato, deve molto alle biblioteche pubbliche, quelle cioè delle amministrazioni locali, e alle loro funzioni di aggregazione attorno ai temi della lettura. Circoli del genere ci sono ora anche sul web.

La conclusione potrebbe essere quella di una voce francese, che nella sua autobiografia, ricordando la gioventù bohemienne vissuta nella Parigi del secondo dopoguerra diceva: "Erano tutte persone che si cercavano con il gusto folle dell'incontro..."; ecco, ormai bohème non ce n'è proprio più molta, forse nemmeno gioventù (quelli erano ventenni... affamati e geniali, accidenti!) , ma il bisogno dell'incontro e del fare insieme, quello sì, sembra proprio essere sopravvissuto.
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mercoledì 30 novembre 2011

No, non è un caso


se pubblico in questi giorni quest'immagine.








Viene da qui:



domenica 6 novembre 2011

Un bell'oggetto

Potrebbe essere questo .
Ed è pure OA.
Mi piace.

martedì 11 ottobre 2011

Un seminario a Parigi







Lo sciopero proprio no! Col punto esclamativo. Quando vedo un cartello che lo annuncia per stamane mi dico ma cosa mai avrò fatto perché, il giorno esatto in cui sono invitata per la prima volta alla riunione di un gruppo che m'interessa, l'ira della RATP debba abbattersi sui convogli parigini. Al mio sconforto l'impiegata delle informazioni risponde, "ma no, se lei prende solo la linea 13 e la 10 non c'è da preoccuparsi: dovrebbe essere quasi normale. Il problema è per chi vien da più lontano, lì sì.". Sarà abitudine, ma il quasi normale io lo declino all'italiana, anzi alla romana, per cui mi immagino code, attese, bestemmie, orde tra l'inferocito e il desolato, solo un po' più inferocite e un po' più desolate del solito che marciano attraverso Parigi. Magari sotto il diluvio. Così, dato il tassativo appuntamento "piazza della Sorbona, davanti alla statua, non oltre le 8.55", punto la sveglia all'alba rotolando giù dal letto nelle brume di un buio mattino nordico. A colazione i miei ospiti, antelucani anche loro, sono stupiti: cosa ci faccio in piedi a quest'ora per essere alla Sorbona tra due ore abbondanti? "Ma lo sciopero...". Loro ripetono la versione ufficiale, cioè che dovrebbe essere "quasi normale". Sì, penso io, fidarsi è bene e mi scaravento fuori senza quasi mangiare che sono già in ritardo. Appena esco, una metro passa sul ponte. Accidenti, ecco, era quella buona, adesso dovrò aspettare, smaledico tra me e me. Salgo le scale in affanno e non faccio  in tempo ad arrivare sul binario che un secondo convoglio chiude le porte e parte. Disperazione. Non è possibile, adesso rimango qui in eterno, almeno fossi arrivata alla stazione dove devo cambiare, che da lì avrei potuto anche farla a piedi... non faccio in tempo a finire questa riflessione che mi cadono gli occhi sul terzo convoglio in arrivo, mentre lo schermo avverte che la circolazione è "perturbée". Sulla linea cinque addirittura, che non devo prendere, la circolazione è "fortemente perturbata", qualunque cosa ciò voglia dire... Morale: arrivo in piazza e ci siamo solo io e la statua, mentre i caffè cominciano a spazzare la soglia, c'è modo di approfittarne per dare un'occhiata alla libreria filosofica e andarsene a spasso nell'aria mattutina, benedicendo l'abitudine che hanno da queste parti di essere affidabili e sinceri. Diventa così semplice la vita.

Tempo dopo siamo seduti intorno a uno di quei fantastici tavoli ovali che ci sono in tutte le università di Francia, con le poltrone imbottite, pulite, comode, ad altezza umana. Tutti come sempre sono cordiali, accoglienti. Studenti e professori insieme, che parlano liberamente. La solita voglia dei professori di condividere gli incontri, i pareri, i saperi, di dare opportunità di scambio e di conoscenza anche a un perfetto sconosciuto o quasi che passa di lì e fa due domande. "Venga a tenerci un semianrio anche lei, quest'anno. Le andrebbe?" La Francia. La meraviglia della Francia. Quando da noi il grado di considerazione che le persone hanno per te in ambiente accademico arriva a basarsi sul fattodi aprire l'aula del seminario perché hai le chiavi dal docente... benedico ancora una volta le abitudini di questo paese. Diventa così semplice la vita.

Mentre io sono impegnata nel mio novello ruolo di padreterno benedicente e in aula qualcuno inizia a fare dotti paragoni con i bendettini (pensiero subliminale?) l'oratore è sovrastato da un terribile fischio. "Ah, mi ero dimenticata: oggi ci sono le prove di evacuazione", ci avverte la responsabile del seminario, per cui ridiscendiamo scalette e scale (i cunicoli delle università sono formidabili), mentre gli addetti alla sicurezza, in uniforme e chepì, chiudono le porte a chiave dietro di noi. Una fiumana di studenti sta evacuando la Sorbona, per la gioia del portiere che deve evitare di farci fermare appena usciti dal portone, spingendoci ad attraversare la strada e soprattutto a non sostare lungo tutto il marciapiede che circonda l'edificio. Senza impzienze, senza urla, senza spintoni, senza proteste. Da adulti. Noi siamo tutti concentrati su quello che stavamo facendo, per cui uscire dal passato e ripiombare nel presente ci riesce difficile. La richiesta immediata è: un caffè. Ma non in tazzina, no, uno dei quei luoghi rifugio che qui servono ancora davvero per fare tutto: incontrarsi, conoscersi, scrivere un libro o una relazione, discutere, buttar giù progetti e quant'altro si voglia, grazie alla bontà dei gestori che per una tazzina di acqua calda ti permettono di trattenerti per delle ore sui divani, sgrovigliando fili sparpagliando pc (o Mac, sigh!) su tre tavoli di fila, accatastando cappotti dove capita del tutto indifferenti a chi c'è o non c'è intorno e mangia e beve. Così la nostra colonna multietnica (dato che veniamo da non so quanti paesi e continenti differenti) parte in cerca di un posto qualunque "dove mi devasterete con le vostre domande" proclama l'oratore. Scaliamo la Montagne in fretta, quando arriva il contrordine: si può rientrare. Così ripassiamo per i corridoi, rifacciamo le scale, riconquistiamo l'aula. E via alle domande.
Ma al caffè ci siamo andati lo stesso. Perché alla fine la responsabile del seminario ci ha tutti invitati a bere un bicchiere, fare conoscenza e a continuare a parlare. Gli studenti e gli altri. Insieme. A Parigi succede così.

Spesso mi chiedo quale sia la radice della differenza che mi colpisce così tanto nella mentalità di questo amatissimo paese. Credo che sia il fatto che qui le persone si comportano tendenzialmente da adulti. In Italia sembra che il massimo  dello spasso sia poter fare i ragazzini dispettosi e prepotenti. Qui questi atteggiamenti sono riservati ad alcuni di quelli che da noi sarebbero definiti "poveracci". E'una differenza che salta gli occhi. Nelle università anche sei trattato da adulto responsabile. Ti danno la possibilità di crescere intellettualmente, umanamente, i servizi pubblici e sociali ti permettono di crescere e di diventare autonomo, di avviare la tua vita. Auguro di tutto cuore alla Francia che riesca a mantenere per sempre e sappia difendere come merita questa dote così preziosa che offre alla sua gente - e non solo. Diventa così semplice la vita.

martedì 4 ottobre 2011

Le stragi (subatomiche) del sabato sera

Gli esperimenti del CERN hanno messo in luce che gravi problemi minacciano la società italiana. Prima di dimettersi, i responsabili erano già stati promossi. Infatti, non paghi di avere allucinato un tunnel di 732 chilometri a spasso tra l'Italia e la Svizzera (altro che TAV!) nella loro funzione di portavoce (a tempo perso?), erano e restano anche i direttori dell'Ufficio studenti del Ministero della Pubblica istruzione, incarichi a centocinquantamila euro e rotti l'uno (pare), di pubblico pubblicissimo denaro. Di certo il denaro non manca.

sabato 24 settembre 2011

La ministra della meritocrazia (parole sue)

La cosiddetta (?) ministra della Pubblica distruzione è fiera del contributo dato dall'Italia alla costruzione, stavolta, del tunnel Ginevra-Gran Sasso dove divertirsi a far viaggiare i neutrini. Ci si chiede: dove sono i consulenti che profumatamente paghiamo invece di assumere, con contratti a tempo indeterminato, normali dipendenti competenti? Non sono nemmeno capaci di farla copiare bene, di farle imparare un paragrafetto a memoria, no, troppa fatica.

Lascio la parola alla Rete dei ricercatori 29 aprile

"Non ce ne eravamo accorti, ma il Ministero dell’Istruzione dell’università e della ricerca italiano ne è sicuro. Esiste un tunnel di 732 Km tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso e non lo sapevamo. Di più: “Alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro”. (http://www.istruzione.it/web/ministero/cs230911). Gelmini dixit.

Sfidando qualsiasi senso del ridicolo e con una battuta che starebbe bene in un film di Bombolo (Sordi è già troppo intellettuale) il Ministro ricostruisce a modo suo l’esperimento che in questo momento sta smuovendo il mondo scientifico, e copre di ridicolo lei, il Ministero che guida, il Paese. Nessun tunnel, ma un fascio di neutrini che è stato ‘sparato’ dal Cern di Ginevra per un viaggio sotterraneo che dura 2,4 millisecondi, raggiunge la profondità massima di tre chilometri per effetto della curvatura terrestre e termina al Gran Sasso, dove il fascio è ‘fotografato’ da un rilevatore e ne viene misurata la velocità.
Quindi tranquilli, soprattutto i cittadini di Firenze che si trovano sulla traiettoria: il viaggio delle particelle, perfettamente rettilineo, non impegna nessuna struttura costruita dall’uomo; e nessuno potrà usare tale esperimento per giustificare una nuova TAV sotto il Trasimeno.
Purtroppo però per noi, il ministro pensa che i soldi che l’Italia dà per la partecipazione al Cern siano finiti nella costruzione di qualcosa che con la fisica delle particelle ci sta come i cavoli a merenda: un bel tunnel che farebbe impazzire dagli incubi qualsiasi progettista: ben 732 chilometri, opera inconcepibile e impossibile (quello più lungo costruito dall’uomo è a tutt’oggi il nuovo San Gottardo, solo 57 chilometri, roba da ragazzi). Del resto, non è questo il “governo del fare”? Non si riesce a fare il Ponte sullo Stretto, almeno abbiamo fatto un tunnel tra Cern e Gran Sasso...
Il ridicolo toglie il fiato, ma vorremmo consigliare il ministro: quando avrà terminato di compiere gaffes e danni in Italia, quando avrà cessato di colpire la scuola e l’università e la ricerca nel suo infelice Paese, vantandosi di meriti inesistenti per dare un senso a una reale incompetenza e ignoranza, dovrebbe andare su Alpha Centauri in visita: pare che lassù stiano costruendo un tunnel tra Vega e Cassiopea: in tre secondi sei in un altro mondo, e nessuno ti conosce..."

R29A

venerdì 23 settembre 2011

Molto meglio di un cartone animato

Quanto vorrei capire le implicazioni di quello che segnalo.
Buona velocità.

martedì 20 settembre 2011

Una piccolissima soddisfazione

Alle h. 01.58, dopo aver perso un'infinità di tempo stupidamente, dopo aver semisaltato la cena, fatto la figura dell'imbranata, speriamo senza conseguenze troppo negative, aver buttato all'aria il ritmo sonno-veglia, una piccola soddisfazione: finito un altro dei noiosissimi obblighi rimasti in giro. Che bello andare a dormire con la coscienza semi a posto!
Se solo ottobre non fosse così vicino...

lunedì 12 settembre 2011

Perché "non ci sono i soldi" - e per cosa invece ci sono

Le lodi al privato imprenditore, se così vogliamo chiamarlo, mi hanno sempre fatto, in fondo, tenerezza. Il rischio d'impresa, il coraggio di investire del proprio, di non aspettare lo stipendiosicuroafine mese e tutta quella roba lì, l'omogeneizzato per adulti consenzienti dei nostri tempi. Perché, tranne forse minuscole situazioni di artigianato, non c'è attività privata che in Italia non dipenda dai soldi pubblici e non ne prenda, di fatto vivendo alle nostre spalle senza cessare di farci la morale. E per realizzare, soprattutto, cose che non servono, non ci servono, mentre molto spesso rendono le città e ahimè anche le campagne un delirio urbanistico totalmente privo di strategia. Tanto chi può si ripara in villa o superattico e a combattere con un paesaggio alienato e degradato restiamo noi, che non abbiamo scelta, che sogniamo un ambiente sereno, ben tenuto e perchè no, bello, ritrovandoci a vivere tra svincoli, palazzoni, sottopassi, viadotti, cemento, vetro e pavimentazioni squallide di finto ghiaino made in China o dove che sia, piene di bruttezza, fomentatrici di violenza e desolazione. Che ci ritroviamo a sentirci dire che i nostri stipendi e le nostre pensioni non sarebbero un diritto costituzionale (finché rimane), e direi anche semplicemente u m a n o (la nostra Costituzione segue molto da vicino la Carta dei diritti umani) ma un privilegio che crea problemi al presente e al futuro.

Il nostro settore non fa peraltro eccezione: i privati vivono di commesse pubbliche, e fanno profitti su un ribasso forzato del costo del lavoro con l'assenza delle minime tutele decenti, anche se le somme in gioco non sono certo paragonabili.

Questo articolo è apparso sul Manifesto del 12 settembre 2011. Lo trovo molto interessante perché mostra dove vadano in realtà i soldi pubblici: nelle tasche private, non per pagare gli stipendi, ma per realizzare profitti grazie a lavori inventati ad hoc, privi di qualsiasi utilità comune.

Paolo Berdini

Le cinque grandi ruberie al tesoretto italiano

La manovra economica approvata dal Senato non taglia gli sperperi della spesa pubblica. All'ultimo istante sono state risparmiate anche le prebende della casta parlamentare e nonostante quanto emerge dall'inchiesta sul sistema Sesto San Giovanni - e cioè il gigantesco intreccio tra l'uso della spesa pubblica e dell'urbanistica contrattata per fare cassa a favore delle lobby politico imprenditoriali - né la maggioranza né l'opposizione hanno posto all'ordine del giorno il prosciugamento del fiume di denaro pubblico che sfugge ad ogni controllo democratico. Il "sistema Penati" sta lì a dimostrare che esiste una gigantesca cassaforte piena di risorse che non viene neppure sfiorata dai provvedimenti economici in discussione in Parlamento: lì c'è un grande tesoro che permetterebbe di non tagliare lo stato sociale e risanare il paese.


Il tema del taglio al malgoverno urbano tornerà sicuramente all'ordine del giorno perché tra qualche mese ricomincerà la grancassa del «non ci sono i soldi» e - complici le autorità europee - ripartirà la rincorsa per tagliare i servizi, tagliare le pensioni, vendere le proprietà pubbliche. Vale dunque la pena riprendere il prezioso suggerimento di Piero Bevilacqua su queste pagine (28 agosto), ragionare sulle possibilità di rovesciare i canoni del ragionamento fin qui egemone per interrompere una volta per tutte la grande rapina dei beni comuni, delle città e del territorio.

Il denaro pubblico viene intercettato dalle lobby politico-imprenditoriali attraverso sei grandi modalità. La prima riguarda le opere pubbliche. Il volume degli investimenti pubblici nei grandi appalti è pari a circa 20 miliardi di euro ogni anno. Appena pochi mesi fa un giovane "imprenditore" (Anemone) con il fiume di soldi guadagnato in generosi appalti offerti dalla cricca Bertolaso ha potuto permettersi di contribuire all'acquisto di una casa per l'ignaro ministro Scajola: quasi un milione di euro. Ad essere prudenti una percentuale intorno al 20% ingrassa le tasche della politica corrotta e delle lobby: 4 miliardi ogni anno. Qualche tempo fa ci hanno ubriacato con l'esempio virtuoso dell'unificazione degli acquisti delle siringhe per il sistema sanitario nazionale perché ogni regione spendeva somme differenti. Tanto rigore per pochi spiccioli, mentre non sappiamo controllare quanto costa costruire una scuola o una strada.

Un secondo capitolo strettamente connesso al precedente è che molte opere pubbliche non servono alla collettività, ma vengono decise da sindaci che si sentono abilitati a compiere qualsiasi nefandezza perché «eletti dal popolo». Come a Parma, dove una falange di amministratori ha sperperato miliardi di euro in grandi e inutili opere. Ora il comune è sull'orlo della bancarotta (seicento milioni) e il sindaco è ancora lì, barricato nel palazzo. O come nel caso della faraonica piscina voluta dall'ex sindaco di Roma Veltroni a Tor Vergata: occorrerà spendere un miliardo di euro per farla funzionare. O, come emerge dall'inchiesta di Sesto San Giovanni, appalti inventati appositamente per rimpolpare i bilanci delle aziende pagatrici di tangenti (la milionaria illuminazione della tangenziale, ad esempio), o attraverso l'affidamento a prezzi protetti di servizi pubblici, come il trasporto urbano. Anche in questo caso una stima prudente ci porta a dire che possono essere risparmiati almeno 4 miliardi ogni anno.

Ci sono poi le poste maggiori: quelle che intercettano la spesa pubblica corrente. Per la sanità pubblica si spendono oltre duecento miliardi di euro all'anno e ci si è dimenticati troppo in fretta lo scandalo della sanità della Puglia, quelli ricorrenti di Milano e della Lombardia, quello del Lazio di Storace, della Liguria, dell'Abruzzo. Episodi che derivano dall'uso spregiudicato del taglio delle prestazioni pubbliche e il loro affidamento - a prezzi senza controlli - agli amici di turno. Riportando a sistema la spesa sanitaria c'è spazio per risparmiare decine e decine di miliardi di euro.

C'è poi il capitolo della "privatizzazione" della pubblica amministrazione che sta distruggendo lo Stato e - contemporaneamente - ci costa un fiume di soldi. Il fedele collaboratore di Giulio Tremonti, Marco Milanese, arrotondava il suo non modesto stipendio da parlamentare con consulenze milionarie a carico di istituzioni pubbliche. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto che una giovane di 33 anni, di indubbie attitudini artistiche, era stata nominata consulente della Finmeccanica a spese nostre. Del resto, anche quel campione di moralità di Valter Lavitola è consulente della Finmeccanica. Si potrebbe poi continuare nel calcolare quanto costa alle casse pubbliche la grande abbuffata operata dalla giunta comunale guidata da Gianni Alemanno nel moltiplicare posti di lavoro (centinaia di persone!) nelle municipalizzate romane.

E proprio nell'erogazione dei pubblici servizi si sperpera un altro fiume di risorse economiche attraverso un impressionante numero di società di scopo. La cultura neoliberista è riuscita a far passare i concetti di "efficienza" e in nome di questo totem ad esempio a Parma sono state create 34 (trentaquattro) società partecipate per gestire l'ordinarietà. Anche nell'area bolognese e in molte altre città i servizi pubblici sono gestiti da un numero imponente di società. Presidenze, consigli di amministrazione, consulenti d'oro che riportano docilmente i soldi ai generosi decisori. E invece di disboscare questa foresta di ruberie hanno provato a tagliare la democrazia sciogliendo i piccoli comuni!

Con queste prime cinque voci si arriva a oltre 40 miliardi di euro: l'ammontare dell'attuale finanziaria. C'è poi l'ultimo capitolo che riguarda la madre di tutti gli imbrogli, l'urbanistica contrattata. Essa è diventata l'unica modalità con cui si trasformano la città. Le regole generali sono state cancellate e di volta in volta si decide sulla base delle convenienze. Sull'area Falk servono più cubature? Nessun problema. Un accordo di programma non si nega a nessuno: il sindaco passerà all'incasso di una parte delle gigantesche plusvalenze speculative prodotte e ci farà campagna elettorale. Sulle aree dell'Idroscalo deve essere costruita una mostruosa città commerciale? Ecco pronto un altro accordo di programma completo del ringraziamento economico spesso veicolato da progettisti compiacenti. Questa patologia vale ormai per tutti i comuni, grandi o piccoli che siano.


Il quadro che abbiamo delineato sembra non presentare apparentemente differenze rispetto al recente passato. Ruberie e scellerati sperperi di denaro pubblico ci sono sempre stati: c'è Tangentopoli a dimostrarcelo. Ma il fatto nuovo è che la legislazione liberista affermatasi nel ventennio ha reso il meccanismo perfetto. Non ci sono infrazioni alle leggi perché sono le stesse norme approvate in questi anni a consentire ogni tipo di arbitrio.
Altro che tagli e vendita del patrimonio di tutti, dunque. Basterebbe ripristinare la legalità e risparmiare quanto gettiamo nelle voraci fauci dei poteri forti.

E' venuto il momento di dire basta, altrimenti ci vendono l'intero paese, democrazia compresa. E' questa la sfida che la nuova sinistra ha davanti. Una sfida per delineare un futuro diverso. Per risanare lo Stato, per far vincere le competenze sulla palude di mediocrità che sta soffocando il paese. Per dare una prospettiva ai giovani e al mondo del lavoro.


Come al solito glli articoli del Manifesto non sono condivisibili su Blogger e non sono linkabili eprché dopo una settimana il link non è più attivo. Per questo lo riproduco qui.

lunedì 15 agosto 2011

Fino ai simboli

Tagliata la sostanza, cioè stravolti gli art. 41 e 81 della Costituzione, la ferocia ottusa e rapace si accanisce anche sui simboli. Via dal loro posto le feste (3!!) che causerebbero un grave danno all'economia italiana. Quali sono? Ma ovviamente il 1 maggio, il 25 aprile e il 2 giugno. Nemmeno la Repubblica si salva dalla furia iconoclasta dei governanti più codini e reazionari d'Europa.
Mi ricorda la storia di Octave, il personaggio maschile impotente di Stendhal, la débacle assoluta che si coglie nella società della Restaurazione da lui così ben descritta. Eppure non abbiamo mai vissuto una Rivoluzione e neppure un "impero" in qualche senso rivoluzionario, solo gesso e baionette mediocri e violente prima di tutto in casa propria.
Ovviamente che il 1 maggio sia festa in tutta Europa e che sia un po' curioso far passare una mossa simile come in un qualsiasi modo "europeista" non rileva alle volpi oscurantiste da Tremonti in giù. e pensare che è uno dei tre giorni all'anno in cui chiude perfino il Louvre (gli altri sono il 25 dicembre e il 1 gennaio) che è aperto a Ferragosto, ad esempio. Ah, provate a dire ai Francesi che il 14 luglio salta e ascoltate la risposta.

giovedì 11 agosto 2011

Sedici su diciassette


E' partita la caccia a 17 miliardi per risanare il bilancio entro il 2013. Perché non iniziare rinunciando a spendere 16 miliardi per l'acquisto di 131 inutili cacciabombardieri?

PeaceReporter - Italia, servono miliardi? Risparmiamo sugli armamenti

lunedì 8 agosto 2011

La soluzione finale

Il pareggio di bilancio nella Costituzione. Un genocidio.

sabato 30 luglio 2011

La lettura, di sera, tra donne

Notte di luglio fresca, freschissima, prima banlieu parigina. Una tredicenne (altissima), una quarantenne (piccolissima), una cinquantenne (riccioluta) sdraiate sui sofà davanti alla grande portafinestra spalancata che affaccia su un minuscolo giardino di rose rosse e bambù (più qualche erba aromatica nel vaso in fondo...). L'unico uomo della situazione, un diciottenne, è andato a dormire abbandonando Cyrano sul tavolino. Tisane di erboristeria, miele, cioccolata di quattro qualità. Lingua: francese. "Com'è il castello di Chambord?" per fortuna ho un libro sui castelli della Loira da prestare alla allampanatissima Laura. La quale comincia a leggerlo, poi a leggercelo, partendo dalle introduzioni storiche piuttosto approfondite. Facendoci sfilare davanti trecento anni di storia di Francia. Ogni tanto ci si pongono delle domande, a turno. "Cos'è una joute?", corsa di sopra a prendere il dizionario. "Perché Luigi XIV ha fatto confinare Fouquet a Chambord?". "Perché in Francia si studiano nello stesso anno gli Arabi e la seconda guerra mondiale?". "Luisa di Lorena era la vedova di Henri IV?" "Se Henri II è morto nel corso di un torneo amichevole come sarà stato uno non amichevole?". "Luigi XIII ha fatto il primo bagno a sei anni. Margherita di Valois, sua lontana zia passava le giornate nei bagni caldi. Cos'è successo per cui alla fine del XVI secolo le persone hanno smesso di lavarsi?" "Come mai l'architetto si chiamava Pacello?" "Perché in Toscana ci sono nomi così strani?". "Come sarà un riserva di caccia così enorme?" "Esiste un plastico del castello di Amboise?" "Esistono dei castelli in Italia?" "Perché i re di Francia facevano la guerra in Italia? Non gli costava un sacco di soldi?" "I nuovi manger e tecnici spesso non sanno scrivere un testo sintatticamente organizzato. Chi scriverà per loro tra venti anni? Dei nuovi umanisti?". Il tutto inframezzato dalle frasi del libro, che ci raccontano Chambord, Chenonceaux, Amboise, il castello che era "una vera e propria città".
Rientrano i padroni di casa e filano a letto, senza disturbarci. Noi continuiamo, fino a notte fonda.
Una bellissima serata.

Napolitano parla di carcere

Appena insediato, l'ultimo governo Prodi si preoccupò di fare un indulto. Comprendendo: reati contro l'ambiente (tipo industrie che sversano liquami altamente tossici nei fiumi), contro la legislazione sul lavoro (dalla sicurezza in giù), i reati finanziari e di bilancio (tipo quelli contestati al PresdelCon) e altre amene cosette come lo sfruttamento della prostituzione. Ma ovviamente tutti a stracciarsi le vesti perché non si poteva più permettere che tossicodipendenti e immigrati, la polvere negli occhi della situazione, stessero in carcere, ah, qvesti giuvstizialistvi sono il male dell'Italia. Oggi per caso leggo un'intervista a un agente di borsa apparsa su Peace Reporter che prospetta due scenari: 1)default entro l'autunno 2)Berlusconi se ne va con amnistia concessa da Napolitano, governo tecnico, patrimoniale. Su Repubblica infine troviamo inopitanamente il PdR improvvisamente sensibile al ripristino di una situazione illegale nelle carceri, mentre da settimane sulla stampa di sinistra tutti si stracciano le vesti sulla medesima questione. Il totale farà 3, ovvero indulto bis?

La cosa che trovo più vomitevole - eufemismi li ho esauriti - è questo travestimento buonismo-bipartisan dell'ennesima operazione ad personam. Piuttosto che votare, come sarebbe possibile, con una campagna elettorale seria, meglio l'ennesimo accordo sottobanco mascherato. Così l' "opposizione parlamentare", impegnata innanzitutto a fare terra bruciata alla sua sinistra, unico tipo di opposizione del resto che abbia mai preso sul serio nell'ultimo mezzo secolo, può evitarsi di fare l'opposizione lanciando in cambio l'idea: avete guai giudiziari per malefatte varie? Infilatevi nell'ingranaggio, fate politica, diventate un problema troppo grosso per essere lasciato esplodere e verrete salvati.

Una vera storia italiana.
Devono essersi ricordati che stavano per scadere le celebrazioni dell'unità d'Italia.



PeaceReporter - Italia inconsapevole verso il default

mercoledì 27 luglio 2011

I

indici indici indici fate i bravi, vi prego.... aiutatemi...

domenica 24 luglio 2011

Il lusso

30 giorni ininterrotti di vacanze. Il regalo che vorrei.

sabato 23 luglio 2011

Il mio paese

Non so perché, ma mi viene una gran voglia di andare a vivere in Norvegia.

lunedì 18 luglio 2011

La fretta


Giornate di corse frenetiche tra biblioteche, compiti burocratici, tentativi di guadagnare la concentrazione necessaria per scrivere, accumulo di materiali. Contraltare: giornate come questa, totalmente improduttive, in cui pesano la stanchezza, la solitudine, l'incertezza su e del futuro, le macerie del passato, in cui l'insicurezza sulle proprie capacità fa rimandare l'inzio delle cose più urgenti oltre il consigliabile. Forse sarà fisiologico, ma lascia esausti.
Soprattutto fa dimenticare tanti piccoli episodi buffi, curiosi, insoliti che mi sono capitati in quest'ultimo anno e mezzo, mentre mi sarebbe piaciuto così tanto iscriverli nella cronaca grazie al blog. Soluzioni? Propositi? Non so. Meglio considerare senza (troppa) ansia una giornata perduta e ricordarsi domani solo della voglia di andare a risistemare tante piccole questioni curiose che mi vengono in mente adesso.Chissà.

domenica 3 luglio 2011

Ohinni ya?

Che dovrebbe voler dire"per sempre", in una lingua cinematografica di un western di tanti anni fa. Le notizie che arrivano dall'Italia sono tali che mi fanno ancora una volta decidere di fare di tutto per non tornare mai più in un paese simile.

E' molto impropabile che ci riesca, ma farò di tutto perché ciò avvenga.

L'ho deciso vedendo quel che è accaduto nell'ultima settimana: il contratto collettivo nazionale di lavoro sepolto, l'opposizione alla TAV divenuta apparentemente il simbolo dell'illegalità da reprimere con le botte nel paese con l'evasione fiscale più alta del mondo occidentale, per non parlare della criminalità organizzata, della precarietà nel pubblico impiego ormai istituzionalizzata dalla legge 240 sull'università con la scusa della meritocrazia.

Non sopporto più di vviere in un paese in cui le nostre tasse - che io pago, accidenti se le pago - sono diventate solo un mezzo per foraggiare le imprese - alla faccia dell'iniziativa privata!, dato che lo stato e tutta la classe politica con esso ha deciso di dismettere ogni servizio pubblico per appaltarlo a chi ne trae profitto. Le mie tasse non devono servire a pagare premi a manger dal già privilegiatissimo salario, a professionisti più o meno cialtroni che lucrano consulenze, a costruttori che speculano sulle emergenze e le grandi opere e nemmeno a stipendiare, in un lusso che non ha eguali in Europa, rappresentanti eletti per favorire gli svaghi privati di qualche imbelle insolente.

Questo accade ovunque? Sì, certo, come diceva qualcuno il liberismo è rimasta l'unica ideologia ancora in grado di far danni, una banale, civile socialdemocrazia non esiste più. Ma cercherò, con tutti i miei "più alti gradi degli studi" almeno un refuge dove si avverta il meno possibile. Inutile lottare soli contro i mulini a vento; questo paese non ha bisogno di intelligenze, ha bisogno unicamente di rapacità, privilegi, servilismo acquiescente, sorrisi da PR a coprire il nulla.
Sarò sconfitta, è troppo difficile sono troppo sola, sono troppo vecchia, probabilmente. Ma fin che posso cercherò altrove la civiltà, la libertà, il sorriso.
Mai più.

venerdì 6 maggio 2011

un altro giorno

oggi sembra proprio che sia il giorno della disperazione. tutto quello che ho cercato di costruire in questo anno di lavoro se ne andrà in frantumi in niente... ciò che amo fare ben presto non potrò più farlo. vorrei smettere di respirare da quel momento in poi.

domenica 24 aprile 2011

Il giorno dell'usignolo




Quintidi di Floréal. Così si sarebbe chiamato questo giorno secondo il calendario della Rivoluzione francese. In più, siccome ognuno dei 365 giorni dell'anno aveva un suo nome, sarebbe stato Rossignol, usignolo. Domani sarà quello del ranuncolo, poi del mughetto, importantissimo qui in Francia. I nomi dei giorni erano dedicati a per lo più a fiori, piante, animali, minerali. Ma c'è anche quello dell'oboe antico o del nitrato di potassio con cui si facevano sparare i cannoni. Wikipedia ha avuto la bellissima idea di mettere online tutto il complicatissimo calendario repubblicano, con le concordanze con quello gregoriano e l'evidenziazione della data del giorno secondo la Rivoluzione. Io l'ho scoperto perché studiavo una serie di pamphlet datati secondo il calendario repubblicano e mi perdevo nelle equivalenze: non riuscivo a capire nemmeno l'anno. Poi ho cominciato a leggermelo tutto per svago, perché poche tassonomie sono tanto poetiche e anche fantasiose come questa.
12 mesi, 3 decadi mensili, 10 ore al giorno divise in dieci e ancora dieci parti (per grande buonsenso mai utilizzate), quattro stagioni che davano la desinenza ai mesi (in primavera -al). Alla fine dell'anno, in settembre, per recuperare i cinque giorni mancanti le "sans-culottides" che celebravano il lavoro, l'opinione, l'intelligenza e ogni sei anni la Rivoluzione. Probabile che fosse scomodissimo adoperarlo, di sicuro era un bel misto di suggestioni antiche, mondo contadino e rivoluzione appunto, cioè costruzione di un mondo diverso rispetto a quello precedente.

L'immagine è tratta da Wikimedia commons. Grazie Wiki.

sabato 16 aprile 2011

Una buonissima idea




Questo post richiede una spiegazione storica... il che mi rende felice come un cucciolo al sole per poter sfogare un po' della mia logorrea nel raccontare una lunga vicenda...

Non Contest Cleare


Per caso mesi fa sono capitata su un blog di cucina. Ero in rete per cercare tutt'altro, avevo fatto un'interrogazione con Google e mi era caduto l'occhio su un risultato che non c'entrava nulla. Una tipica dimostrazione di come i motori di ricerca non sappiano assolutamente ancora disambiguare i termini. In quel caso l'incapacità fu però fortuna per me: scoprii infatti un blog che mi piacque molto, che seguo ancora adesso e tramite il quale cominciai a curiosare nel mondo dei foodbloggers (ah, la capacità di sintesi della lingua inglese!), con i suoi riti, le sue regole e le sue caratteristiche. Cucinare mi piace, sperimentare anche ma sono abbastanza incapace di creare una ricetta da sola. Ecco perché, non essendo una foodblogger, partecipo solo a metà, ma molto convinta, all'iniziativa di un altro blog di cucina, che si chiama Qualcosa di rosso.

Insieme ad altri blog, che troverete elencati nel suo post Qualche impegno per il 12 giugno, Qualcosa ha lanciato un contest, una sorta di gara amichevole per comporre tra quanti più aderenti possibile una o più ricette su un tema dato. Le ricette vanno inviate qui dove c'è anche il regolamento completo, entro il 5 giugno. Chi manda una ricetta, o chiunque ne abbia voglia, può scaricare dal loro blog l'immagine che è qui sopra e postarla sul proprio blog.

Partecipo a metà perché non invento ricette, ma diffondo la loro idea. Questo contest mi è parso favoloso per il suo voler manifestare, sul blog dove si vive e condivide la passione comune privata della cucina, anche la dimensione pubblica dell'attenzione al bene comune. In questo caso l'attenzione al referendum del 12 giugno prossimo, cioè alla possibilità per tutti i cittadini di esprimere la loro opinione (vincolante per governi e legislatori), sul tipo di politica energetica che vorremmo o non vorremmo in Italia in futuro. Il referendum ci chiede: Vogliamo o no la costruzione di centrali nucleari in Italia, come prevede, ad esempio, l'accordo Berlusconi-Sarkozy? Sì, proprio quello in cui il PdC italiano disse al PdR francese "Moi, je t'ai donné ta femme" e l'altro strabuzzò gli occhi. Qualcosa spiega molto bene perché, a pelle, un gruppetto di centrali nucleari in Italia sia un regalo di cui faremmo volentieri a meno.

La sua idea è quindi di lanciare un contest cui inviare una o più ricette per ricordare a chiunque passi di là girando per la rete, ma anche agli stessi foodblogger, di andare a votare e votare SI, perché non si costruiscano nuove centrali nucelari in Italia, che gli Italiani avevano già detto di non volere in un referendum precedente molti anni fa. Ma il 12 non si vota solo per il nucleare, ma anche per l'acqua pubblica, cioè perché non sia gestita dalle aziende private. Il paradosso di una gestione privata dell'acqua mi sembra stia tutto nella questione del risparmio. L'acqua è una risorsa preziosa che non andrebbe sprecata, anzi, sarebbe augurabile che se ne usasse meno e con più giudizio. Ma se se ne consuma meno, l'azienda privata, che deve per forza fare profitti dato che è la sua ragion d'essere, guadagna meno e quindi aumenta le bollette. Bello e educativo no?

Le regole per preparare la ricetta - ogni contest infatti prevede le sue - dicono altre cose sullo spirito dell'iniziativa: va realizzata con ingredienti di scarto, e/o preparata con ingredienti autoprodotti e auto raccolti e di stagione, oppure "in modo ecologicamente sostenibile" e qui non è proprio chiarissimo: vuol dire senza produrre rifiuti? senza utilizzare prodotti imballati? senza cuocere? senza usare elettrodomestici? Confesso che quando leggo ricette in cui bisogna cuocere le meringhe per tre ore o candire i pomodori nel forno per quattro io cambio automaticamente pagina... o vado in pasticceria, ché mi sembra di usare in qualche modo un "servizio pubblico" invece di un suv. Ma non riuscirei a fare a meno del mixer...


Di energia nucleare ne sento parlare da quando andavo alle elementari e non sono mai riuscita a trovarla una buona idea. Le precauzioni che richiede mi sono sempre parse in sé un deterrente formidabile, in Italia poi, paese cialtrone, corrotto e sismico, ancor più. Per dire, quando sento gli stessi nuclearisti affermare che in Francia 30 anni di energia nucleare hanno prodotto l'equivalente di scorie di un bicchiere a famiglia mi metto a pensare a 60 milioni di bicchieri che si devono stivare per migliaia di anni. Riuscite a immaginare un supermercato stagno refrigerato e immobile per 60 milioni di bicchieri durante chissà quante migliaia di anni? Difficile, no? E in effetti un bel po' di scorie vengono semplicemente disperse nell'ambiente. Ad esempio nei terrapieni degli stadi o di altre costruzioni aperte al pubblico, erette senza particolari precauzioni. Non solo. I depositi di scorie dovrebbero essere, per legge, "a perdita di memoria". Cioè nessuno non solo li controllerebbe, ma nemmeno si saprebbe dove andarli a cercare. Ora, se tutto fosse così sicuro e gestibile, perché cancellarne le tracce? Chi vuole togliere la memoria in genere ha qualcosa da far dimenticare.
Qui in Francia ci sono state diverse inchieste sull'argomento.

Questo in condizioni normali, cioè senza catastrofi che di fatto non si sa come governare, senza né Chernobyl né Fukushima, tuttora indomata, da cui oltre alle radiazioni vengono da giorni gettate in mare migliaia di tonnellate di acqua radioattiva senza che si abbiano nemmeno previsioni dei tempi e delle modalità di ritorno a una situazione "normale". Per non parlare dei vigili del fuoco e degli operai chiusi lì dentro e probabilmente destinati a morte certa. Sì, qui in Francia s'è letto che erano stati allertati gli ospedali specializzati per ospitare qualche centinaio di contaminati provenienti dal Giappone. Come nel resto d'Europa.

Fukushima in particolare ha richiamato l'attenzione sul tema delicatissimo delle condizioni di lavoro nelle centrali in condizioni normali. La normativa giapponese prevede che chi si occupa degli impianti debba godere di lunghi periodi di riposo lontano dalle centrali (e già questo la dice lunga su quanto sia innocuo starsene lì dentro). Ora i lavoratori delle centrali sono quasi tutti precari. Per sfruttarli al massimo, la TEPCO, azienda privata proprietaria di numerose centrali in Giappone, li faceva girare per i suoi diversi impianti, uno dopo l'altro, con contratti sempre diversi e rinnovati di volta in volta. Poiché la sede di lavoro era diversa, la stessa persona poteva essere impiegata per anni e anni di seguito senza rispettare i periodi di allontanamento dalle centrali previsti per legge (e ovviamente pagati dal datore di lavoro). Un bel risparmio, no?
Questi lavoratori venivano chiamati in Giappone gli zingari del nucleare. Ma altro lavoro non ce n'era, e quindi...

In Italia potremmo ricordarci piuttosto di Giovanni Francia, matematico e ingegnere attivo a partire dagli anni Sessanta nella ricerca sulle energie solari e rinnovabili. E invece no: Francia e Italia si mettono insieme solo per vendere e comprare nuove centrali nucleari. Il 12 giugno il referendum ci dà la possibilità di scegliere se volere o no il nucleare in Italia. E Qualcosa e le sue compagne foodblogger proclameranno la ricetta vincitrice che va inviata entro il 5. La prescelta e le altre saranno raccolte in un file .pdf (come in ogni buon contest che si rispetti) scaricabili dai curiosi.

Omicidio volontario

"Questi processi non si dovrebbero mai fare" ha commentato il procuratore Raffaele Guariniello alla sentenza che dichiara l'amministratore delegato e il gruppo dirigente della Thyssen-Krupp colpevoli di omicidio volontario a causa della morte tra le fiamme di sei operai delle acciaierie a Torino. La Krupp, in attesa di dismettere la fabbrica, aveva deciso di cessare qualsiasi manutenzione dell'impianto di sicurezza e alcune parti di esso erano state addirittura disattivate. Questo permetteva di realizzare risparmi e aumentare profitti. Chissà se questa sentenza riuscirà a passare in giudicato. Ce lo si augura: sembra ahimé che il rischio personale di chi comanda sia l'unica maniera per far divenire la sicurezza un profitto anche lei. Giacché la coscienza, evidentemente, i manager non ce l'hanno.


Alla ThyssenKrupp fu omicidio volontario

Aggiornamento: La Corte di Cassazione ha annullato il 24 aprile una parte del verdetto di appello che condannava per omicidio colposo sei dirigenti della Thyssen Krupp, italiani e tedeschi. Il verdetto di appello aveva a sua volta modificato quello primo grado, derubricando da omicidio volontario a omicidio colposo, il reato commesso dai dirigenti Thyssen. Il verdetto di omicidio volontario con dolo eventuale era stato richiesto e ottenuto in primo grado dalla Procura di Torino per l'amministratore delegato Harald Espenhanhn per la decisione di omettere le misure di sicurezza dato che la fabbrica era in via di dismissione.
La Cassazione ha rinviato inoltre una seconda volta il processo in appello: "Avete deciso di non decidere in maniera che questi vigliacchi non vadano in carcere" ha gridato un parente in aula.
Il rinvio in appello potrebbe aprire la porta a una derubricazione ulteriore del reato e delle pene rispetto al verdetto di omicidio colposo.

Il mancato funzionamento e la dismissione delle misure di sicurezza nel reparto fonderia causarono nel 2007 un incendio nel quale morirono sette giovani operai.

Una storia italiana.

Chissà come sarebbe andata in Bangladesh. Chissà se il Bangladesh non è, nella magnifica UE e progressiva, il destino che tutti ci attende.

lunedì 28 marzo 2011

Mercurius in trivio


W la France. Come si fa a non dirlo? O a non ammirare questo paese? Stasera sono ancora qui a lavorare e capisco di colpo che non posso sopravvivere nello stato di attuale abissale incompetenza in cui mi trovo. Ho assoluto bisogno di consultare immantinenti aiuto la fondamentale opera Mercurius in trivio, libro mirabile di dottrina direbbe Guglielmo da Baskerville, ben noto a tutti tranne che alla sottoscritta. Trattandosi di libro italiano e pure parecchio specialistico, parte la frenetica consultazione degli opac nostrani, con tanto di strologamenti su quale bibliotecario paziente e amorevole andare a supplicare perché mi mandi subito le pagine che mi occorrono. Via, apri per l'ennesima volta la casella di posta, inizia a comporre il messaggio a quel compassionevole uomo che già tante volte mi ha soccorso con generosità, quando all'improvviso un lampo: ma ho consultato prima il catalogo più vicino a casa, come professione vorrebbe? No?? Noo??? Ma dove hai la testa? Ma per un libro così, tenta di osservare una vocina. Donna di poca fede!! Mai dubitare di lei o di loro e neanche di loro. Alla prima ricerca, non solo scopro che il libro c'è, ma che è disponibile a scaffale aperto, dalle 9 del mattino alle 20 di sera per cinque giorni su sette e il sesto dalle 14 alle 20. Non mi resta che aspettare ben dieci ore e tredici minuti per averlo in mano. La stessa cosa mi è già successa tre volte nell'arco di tre giorni, rispettivamente per un'edizione ferrarese del 1477, un trattato di diritto penale del giurista aretino Angelo Gambiglioni (non proprio Ken Follett...) e per gli annali di un tipografo milanese dello stesso secolo, un libro degli anni'50. Del resto, con quattordici, dico quattordici milioni di opere a stampa nelle collezioni, qualcosa ci sarà pure da scoprire.
Ecco, questo serve a spiegare perché si può davvero studiare in questo paese. E perché sarò grata per sempre alla Francia, alla sua idea di cultura e di servizio pubblico.
Con un solo augurio: quello di non dimenticarsene mai.




domenica 27 marzo 2011

La guerra

Ad andare in giro per la rete un pomeriggio di domenica, nuvolicchio, dopo ore di pulizie casalinghe, si capita su un sito che si chiama bibliolab
E'un sito curioso, un po'impacciato, che mescola diverse cose: una spiegazione della classificazione Dewey fatta per i lettori, antologie di lettura, e altro.
Ci sono anche dei testi letterari sul tema della guerra. Eccone due che la raccontano:

Giovanni Toselli, contadino e muratore,

testimonianza raccolta da Nuto Revelli ne “Il mondo dei vinti”
Poi (nel 1915) scoppia la guerra, che disperazione! Ma nemmeno un soldato era convinto di fare quella guerra, partivamo tutti malvolentieri. Uno da sposare è diverso...non ha nessuno dietro.
Noi avevamo famiglia, dovevamo lasciare il lavoro. Solo qualcuno volontario voleva fare la guerra, per fare carriera. Noi siamo andati in guerra per forza. Tanti qui di Peveragno prendevano porcherie per non partire e ne sono morti...
Su a Plezzo eravamo su una posizione avanzata che ci prendevano da tutte le parti, quota 900, dall’alto ci buttavano le pietre, da una parte sparavano col cannone e dall’altra ancora con la mitraglia.
Non ci arrivava più il mangiare e sono venuto a pesare trentacinque chili. (...)
Poi è venuta la ritirata, la nostra divisione ha resistito due giorni nella conca di Plezzo, (...) quando siamo scappati nella nostra vallata c’erano due metri di morti...
Eh, l’abbiamo vinta quella guerra ma l’abbiamo perduta. La statistica dice che sono di più i tubercolotici tornati dalla guerra del ‘15-’18 che i morti di quella guerra. Io ho preso il gas iprite sul Montello, e come sono tornato a casa dopo il primo giorno di festa, ero già ammalato di polmonite e ho tribolato due anni.

Bertolt Brecht (Germania, 1898-1956)

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente

Spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.


venerdì 25 marzo 2011

Sogni?

Ditemi voi se la BNF cioè la Bibliothèque nationale de France, deve riuscire a farmi da colonna sonora a un noiosissimo lavoro che sto cercando di modificare offrendomi, come a tutti coloro che si possono collegare peraltro, un concerto barocco. Già, perché sul loro sito si trova anche, tra le varie conferenze in linea, la serie Les inédits de la BnF dove vengono eseguiti brani inediti di musica conservati nelle sue collezioni, che giustamente, vanno fruiti, come parte del patrimonio culturale nazionale. Un neo c'è, cioè sulla pagina non si capiscono il titolo né l'autore della composizione, una farsa di msica, danza e teatro. Ma davanti a una BNCF, così preoccupata innanzitutto delle sue tessere rosse o non rosse, o alle biblioteche di conservazione romane sempre così chiuse e ostili, un marziano non lascerebbe più a bocca aperta. Non è solo questione di soldi: è questione di apertura mentale. A chi scrive capitò alla BNCR di non poter consultare in linea il catalogo della biblioteca del Conservatorio di santa Cecilia, perché, come spiegò la funzionaria di sala "Qui internet non è libero". Appunto. Li coprissero pure d'oro, se non gli si fa prima un'opportuna riprogrammazione del cervello, con gente così a che servirebbe?

venerdì 18 marzo 2011

Vorremmo

Avevo giurato di non farlo. Non volevo proprio mettere anche io la mia pietruzza su un argomento trattato in questi giorni senza la minima serietà storica e che quindi mi infastidisce profondamente. Poi mi si chiede, come a tanti altri, di far girare questo messaggio. Lo faccio, perché in questi giorni la cosa che più mi consola è che se mi capita di sentire un inno nazionale è questo
Ecco il testo, che viene da un ricercatore italiano (punteggiatura, spaziatura e link sono miei).

W l'Italia:

Scuola, università, ricerca, salute, lavoro sicuro, integrazione, giustizia, uguaglianza,

COSTITUZIONE!

martedì 15 febbraio 2011