Ci sarebbe, sorpresa sorpresa, la lesina alla spesa pubblica dietro al mancato reperimento del focolaio d’incendio sotto il tetto di Notre-Dame. Le cronache avevano subito detto che il primo allarme era stato dato dai segnalatori antifumo alle 18 h16. Il servizio di sorveglianza pero’ non aveva trovato il focolaio, rimettendosi tranquillo dopo un giro di perlustrazione. Solo mezz’ora dopo un secondo allarme aveva condotto la sorveglianza nel posto giusto.
Secondo Le Canard Enchaîné la Direzione degli affari culturali del ministero della cultura avrebbe soppresso a partire dal gennaio 2016 la sorveglianza notturna, malgrado fosse prevista dal piano di sicurezza del 2013, e avrebbe poi soppresso il secondo sorvegliante al pc di sicurezza installato nella sacristia. La sorveglianza è stata inoltre affidata a una società privata - IL PRIVATO! QUELLO BRAVO!!! QUELLO EFFICIENTEEEEE!!! QUELLO CHE FA RISPARMIAREEEEEE!!!, la quale, appunto, ha risparmiato sui costi per aumentare i profitti.
La persona sul posto la sera del 15 aprile non conosce l’edificio, perché ci lavora da pochi giorni. Chissà poi con che criterio è stata scelta e come è stata formata. La cattedrale come ognun sa è immensa,e bisogna anche avere una minima familiarità con questo tipo di edifici e le loro parti per orientarcisi.
Ad ogni modo costei visto il segnale luminoso dell’anticendio telefona al sorvegliante della chiesa spiegandogli che il segnale d’allarme riguarda il sottotetto della sacristia, anziché quello della navata. Il sorvegliante della chiesa che è addetto proprio all’anticendio va nel sottotetto sbagliato dove non puo’ trovare un incendio che non c’è. Solo al secondo allarme il sorvegliante della chiesa, accompagnato dall’amministratore della cattedrale riesce a localizzare l’incendio e ad avvertire il dipendente della società privata che infine chiama i pompieri alle 18 h 51, un tetto, quarantacinque minuti, sette secoli e svariati miliardi più tardi.
I dipendenti avevano peraltro tentato di avvisare la società dei rischi: se sono in bagno o in pausa come faccio a sapere che suona l’allarme, si preoccupa uno di loro scrivendo ai suoi resposabili. Inoltre, quando i sorveglianti erano due, a turno facevano il giro dell’edificio per familiarizzarcisi, precauzione divenuta impossibile da quando ce n’è uno solo.
Infine diversamente da Versailles e Orsay Notre-Dame non ha un plotone di pompieri all’interno.
Un altro grande successo degli invasati della spesapubblicabrutta e isoldinonsitrovanosuglialberi, UE, liberismo e porcherie connesse.
Fonte: Christophe Labbé, Hervé Liffran, A Notre-Dame la surveillance incendie ne pétait pas le feu, in Le Canard enchaîné, 30 avril 2019, p. 3
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martedì 30 aprile 2019
mercoledì 24 aprile 2019
Le peuple de Paris
Convinta che non sia mai il caso di andare a insegnare agli altri cosa debbano fare del proprio destino, comportamento purtroppo quanto mai diffuso di questi tempi, non ho mai voluto dire nulla sulle manifestazioni che da novembre attraversano la Francia ogni sabato e che hanno a lungo presidiato in autunno le strade e i caselli autostradali.
Sono pero’ altrettanto convinta che ci siano dei punti oltre i quali scatti ove che sia un segnale di allarme, e sono quando si toccano in modo massiccio, generalizzato e non casuale le figure di garanzia: medici, giornalisti, fotografi, avvocati. In questo millennio l’Italia ha oltrepassato ferocemente un punto simile durante le disastrose giornate di Genova 2002. Diciassette anni dopo, in Francia, @davduff raccoglie e segnala i casi di maltrattamenti e ferite durante le manifestazioni dei Jaunes. 690 è il bilancio provvisorio che ha dato luogo a 290 denunce verso le forze dell’ordine da parte dei manifestanti. L’ONU ha domandato spiegazioni alla Francia macronista sull’uso eccessivo della forza dispiegato durante le manifestazioni.
Sanguina il cuore per il paese del mio cuore.
Tra i 690 vi sono già 79 casi di giornalisti e trenta di medici volontari che assistono i feriti e i gasati (eggià, con lacrimogeni, urticanti e probabilmente anche gas che tolgono le forze) durante le manifestazioni.
Sabato scorso un fotografo indipendente (cioè precario e non garantito, nel magnifico mondo dell’UE liberista e progressiva votata alla difesa delle rendite tramite la stabilità dei prezzi, di quelli che fanno ormai il lavoro sul terreno dove le testate sempre più raramente mandano gli ormai scarsi propri dipendenti) che lavora da anni per le principali testate francesi, riceve un tiro di granata su un piede, mentre ha appena finito di parlare con il comandante di una squadra di poliziotti. Cerca di protestare, verbalmente, ma non riesce più a parlare con un graduato della squadra. Come si vede sul video dell’agenzia di stampa Hors-Zone, un poliziotto lo spinge via, lui fa un gestaccio e urla qualcosa. Viene fermato per 48 ore « per partecipazione a assembramento con lo scopo di commettere violenze o vandalismo » e « oltraggio a pubblico ufficiale », poi passa davanti al giudice che gli proibisce di partecipare alle manifestazioni del sabato e a quella del Primo maggio fino al processo, fissato per il 18 ottobre. Nel frattempo la prima accusa è caduta, il processo sarà per l’oltraggio. Si tratta, secondo i giornali francesi, di una restrizione alla libertà di stampa e a quella di manifestare. Libertà quest’ultima che molti vedono ormai compromessa, come mostra questo messaggio degli avvocati parigini. Per Glanz è anche un forte danno economico che rischia di fermare per sempre il suo lavoro. associazioni dei giornalisti e redattori di diverse testate hanno firmato una dichiarazione a suo favore.
Il fotografo, Gaspard Glanz, non ha mai negato di essere un professionista con un passato di militante. Segue soprattutto le manifestazioni di strada. Niente di troppo scandaloso in un paese dove esistono cattedre e specialisti di storia delle rivoluzioni senza che cio’ causi soverchio clamore. Ha lavorato in passato durante le manifestazioni contro la « loi travail », l’equivalente del Jobs Act di Renzi, sull’emigrazione dalla Siria, sulla bidonville di Calais, dove migliaia di immigrati, non desiderati in Francia più che in Italia, si erano accampati per tentare di passare in Inghilterra, e su Notre-Dame des Landes dove la popolazione insieme a altri sostenitori si è a lungo opposta alla costruzione di un aeroporto. In seguito alla denuncia sulla stampa degli incidenti di Place de la Contrescarpe a Parigi durante le manifestazioni del Primo maggio scorso Glanz ha ritrovato diverse immagini di Alexandre Benalla, consigliere personale per la sicurezza di Macron, che partecipava al corteo munito di equipaggiamenti della polizia. Oggi Benalla è accusato di comportamento violento nei confronti dei manifestanti, di non aver restituito passaporti diplomatici cui non avrebbe avuto più diritto e di contatti con uomini d’affari russi sospettati di avere legami con il crimine organizzato.
Ma il problema forse sta altrove. Durante le manifestazioni contro la loi travail, Glanz scorge ripetutamente due sedicenti giornalisti in testa alle manifestazioni. I due sono poliziotti in borghese. Glantz li filma e posta il video, denunciando una violazione della Convenzione di Ginevra del 1987 che protegge la professione di giornalista proibendo di farsi passare per tale. Da allora viene minacciato di morte sulle reti sociali le quali, a loro avviso, non trovano stavolta niente di contrario alle loro regole.
Qualsiasi ipotesi si puo’ avanzare sulla dinamica di quel tiro di granata - quale il rapporto con il graduato con cui aveva finito di parlare? La truppa stava da sola proteggendo « il collega »? Si trattava di un ringraziamento « personale » di qualche amico dei poliziotti in borghese? Si tratta di due storie diverse? Il passato di Glantz non ha niente a che vedere con l’essere stato preso di mira in quel preciso momento?
Oggi sembrano i giornalisti qualsiasi, quelli che trovano difficoltà sul terreno, a essersi mobilitati per lui. Non le grandi firme che paiono piuttosto preoccupate di escludere per un collega qualsiasi possibilità di militanza, pena la perdita dello status di giornalista.
Sono pero’ altrettanto convinta che ci siano dei punti oltre i quali scatti ove che sia un segnale di allarme, e sono quando si toccano in modo massiccio, generalizzato e non casuale le figure di garanzia: medici, giornalisti, fotografi, avvocati. In questo millennio l’Italia ha oltrepassato ferocemente un punto simile durante le disastrose giornate di Genova 2002. Diciassette anni dopo, in Francia, @davduff raccoglie e segnala i casi di maltrattamenti e ferite durante le manifestazioni dei Jaunes. 690 è il bilancio provvisorio che ha dato luogo a 290 denunce verso le forze dell’ordine da parte dei manifestanti. L’ONU ha domandato spiegazioni alla Francia macronista sull’uso eccessivo della forza dispiegato durante le manifestazioni.
Sanguina il cuore per il paese del mio cuore.
Tra i 690 vi sono già 79 casi di giornalisti e trenta di medici volontari che assistono i feriti e i gasati (eggià, con lacrimogeni, urticanti e probabilmente anche gas che tolgono le forze) durante le manifestazioni.
Sabato scorso un fotografo indipendente (cioè precario e non garantito, nel magnifico mondo dell’UE liberista e progressiva votata alla difesa delle rendite tramite la stabilità dei prezzi, di quelli che fanno ormai il lavoro sul terreno dove le testate sempre più raramente mandano gli ormai scarsi propri dipendenti) che lavora da anni per le principali testate francesi, riceve un tiro di granata su un piede, mentre ha appena finito di parlare con il comandante di una squadra di poliziotti. Cerca di protestare, verbalmente, ma non riesce più a parlare con un graduato della squadra. Come si vede sul video dell’agenzia di stampa Hors-Zone, un poliziotto lo spinge via, lui fa un gestaccio e urla qualcosa. Viene fermato per 48 ore « per partecipazione a assembramento con lo scopo di commettere violenze o vandalismo » e « oltraggio a pubblico ufficiale », poi passa davanti al giudice che gli proibisce di partecipare alle manifestazioni del sabato e a quella del Primo maggio fino al processo, fissato per il 18 ottobre. Nel frattempo la prima accusa è caduta, il processo sarà per l’oltraggio. Si tratta, secondo i giornali francesi, di una restrizione alla libertà di stampa e a quella di manifestare. Libertà quest’ultima che molti vedono ormai compromessa, come mostra questo messaggio degli avvocati parigini. Per Glanz è anche un forte danno economico che rischia di fermare per sempre il suo lavoro. associazioni dei giornalisti e redattori di diverse testate hanno firmato una dichiarazione a suo favore.
Il fotografo, Gaspard Glanz, non ha mai negato di essere un professionista con un passato di militante. Segue soprattutto le manifestazioni di strada. Niente di troppo scandaloso in un paese dove esistono cattedre e specialisti di storia delle rivoluzioni senza che cio’ causi soverchio clamore. Ha lavorato in passato durante le manifestazioni contro la « loi travail », l’equivalente del Jobs Act di Renzi, sull’emigrazione dalla Siria, sulla bidonville di Calais, dove migliaia di immigrati, non desiderati in Francia più che in Italia, si erano accampati per tentare di passare in Inghilterra, e su Notre-Dame des Landes dove la popolazione insieme a altri sostenitori si è a lungo opposta alla costruzione di un aeroporto. In seguito alla denuncia sulla stampa degli incidenti di Place de la Contrescarpe a Parigi durante le manifestazioni del Primo maggio scorso Glanz ha ritrovato diverse immagini di Alexandre Benalla, consigliere personale per la sicurezza di Macron, che partecipava al corteo munito di equipaggiamenti della polizia. Oggi Benalla è accusato di comportamento violento nei confronti dei manifestanti, di non aver restituito passaporti diplomatici cui non avrebbe avuto più diritto e di contatti con uomini d’affari russi sospettati di avere legami con il crimine organizzato.
Ma il problema forse sta altrove. Durante le manifestazioni contro la loi travail, Glanz scorge ripetutamente due sedicenti giornalisti in testa alle manifestazioni. I due sono poliziotti in borghese. Glantz li filma e posta il video, denunciando una violazione della Convenzione di Ginevra del 1987 che protegge la professione di giornalista proibendo di farsi passare per tale. Da allora viene minacciato di morte sulle reti sociali le quali, a loro avviso, non trovano stavolta niente di contrario alle loro regole.
Qualsiasi ipotesi si puo’ avanzare sulla dinamica di quel tiro di granata - quale il rapporto con il graduato con cui aveva finito di parlare? La truppa stava da sola proteggendo « il collega »? Si trattava di un ringraziamento « personale » di qualche amico dei poliziotti in borghese? Si tratta di due storie diverse? Il passato di Glantz non ha niente a che vedere con l’essere stato preso di mira in quel preciso momento?
Oggi sembrano i giornalisti qualsiasi, quelli che trovano difficoltà sul terreno, a essersi mobilitati per lui. Non le grandi firme che paiono piuttosto preoccupate di escludere per un collega qualsiasi possibilità di militanza, pena la perdita dello status di giornalista.
venerdì 16 marzo 2018
Se la medicina non è un'opinione
"Lei ha un problema di acidità di stomaco" scandisce il medico n. 1, sentendomi l'addome un po' contratto. Veramente io tossisco, sputo, e ho una debolezza che mi farebbe sdraiare sulle scale del métro come un vecchio clochard, ma senza vino alcuno. "Ma non ha la febbre!", ripete lui convintissimo prima di prescrivermi i sali, parola molto fin de siècle, ma di sodio. Più delle analisi del sangue, perché non si sa mai.
Medico n. 2, consigliato da un'amica: questo mi ausculta, ma: "Tenga pure la maglia, tanto sento lo stesso." Sì, inverosimile, ma mi ausculta i polmoni mentre ho la schiena coperta. Forse si allena per le olimpiadi del sibilo nascosto. "Un forte raffreddore, prenda gli antiinfiammatori." Che li stia prendendo da settimane, con il solo risultato di stare peggio appena smetto non pare preoccuparlo affatto.
Mi rivolgo in farmacia dove mi danno l'indirizzario di tutti i medici dell'arrondissement, raccomandandomi abbastanza esplicitamente il medico n. 3. Questo mi ausculta dappertutto, mi pizzica dal collo in su, mi fa parlare e prende appunti. "Si faccia una tac al torace, è più sicuro, visto che ha un problema da mesi. Poi vada dallo pneumologo. Polmonite non gliela sento, ma di certo ha un'otite dell'orecchio interno. E prenda gli antibiotici, oltre al cortisone e a qualcosa per liberare i seni paranasali."
Infine, un medico.
E 650 euro di analisi e specialisti. Ma almeno spero di riuscire a passare il resto di questo soggiorno facendo qualcosa di più proficuo che languire nella spossatezza e nella febbriciattola.
Non riesco a non pensare per l'ennesima volta quanto l'antibioticofobia dei medici odierni, di certo guidata dall'alto, possa essere in certi casi un disastro. So di essere molto sensibile alle malattie da raffreddamento, che non sempre si dichiarano con febbri a 40°, ma mi indeboliscono per mesi e lasciano strascichi non innocui.
Da lì la mia scarsa simpatia per tutti coloro che, convinti di essere indispensabili, passano i loro raffreddori in piedi, andando in giro a contagiare gli altri perché troppo egocentrici per pensare che il loro esibito eroismo narcisista non aiuta gli altri bensì li danneggia. So chi mi ha passato questa infezione prima di partire, mannaggia all'eroe di turno.
Stesso discorso per gli eroi del freddo. Quelli che ti prendono in giro: "Ma tanto fa caldo", "Ma non esagerare", "Ma sono 20°!", quelli dei jeans per 12 mesi 24 h 00, quelli delle maniche corte a gennaio e le gambe nude a dicembre e il riscaldamento a 19°. Quelli che son limitati, poverini, perché proprio non riescono, no, a concepire l'idea che la percezione del freddo e del caldo non sono debolezze morali, ma meccanismi del sistema parasimpatico fuori dal nostro controllo razionale. E che non si decidono a capire che quando si soffre di un certo tipo di disturbo l'unica prevenzione reale è calore, calore, calore. Ben superiore a 20°. E che se hanno proprio questo incoercibile caldo sotto la neve, magari perché possono passare la giornata in movimento anziché seduti a una scrivania, nessuno gli vieta di mettersi in costume da bagno anziché seccare chi caldo non ha.
Ma anche peggio l'idea che un antibiotico serva solo in punto di pericolo di vita, perché buttare via due mesi, appunto, di vita languendo senza che nessuno ti dia una cura, ma solo dei palliativi di antinfiammatori che fanno male allo stomaco e a molto altro, ma bene all'industria del farmaco, così salutare non è.
E uffa.
Manco a farlo apposta, leggo che finalmente l'INRS avrebbe raccomandato una temperatura tra i 23° e i 24° per il lavoro sedentario. Evviva.
Medico n. 2, consigliato da un'amica: questo mi ausculta, ma: "Tenga pure la maglia, tanto sento lo stesso." Sì, inverosimile, ma mi ausculta i polmoni mentre ho la schiena coperta. Forse si allena per le olimpiadi del sibilo nascosto. "Un forte raffreddore, prenda gli antiinfiammatori." Che li stia prendendo da settimane, con il solo risultato di stare peggio appena smetto non pare preoccuparlo affatto.
Mi rivolgo in farmacia dove mi danno l'indirizzario di tutti i medici dell'arrondissement, raccomandandomi abbastanza esplicitamente il medico n. 3. Questo mi ausculta dappertutto, mi pizzica dal collo in su, mi fa parlare e prende appunti. "Si faccia una tac al torace, è più sicuro, visto che ha un problema da mesi. Poi vada dallo pneumologo. Polmonite non gliela sento, ma di certo ha un'otite dell'orecchio interno. E prenda gli antibiotici, oltre al cortisone e a qualcosa per liberare i seni paranasali."
Infine, un medico.
E 650 euro di analisi e specialisti. Ma almeno spero di riuscire a passare il resto di questo soggiorno facendo qualcosa di più proficuo che languire nella spossatezza e nella febbriciattola.
Non riesco a non pensare per l'ennesima volta quanto l'antibioticofobia dei medici odierni, di certo guidata dall'alto, possa essere in certi casi un disastro. So di essere molto sensibile alle malattie da raffreddamento, che non sempre si dichiarano con febbri a 40°, ma mi indeboliscono per mesi e lasciano strascichi non innocui.
Da lì la mia scarsa simpatia per tutti coloro che, convinti di essere indispensabili, passano i loro raffreddori in piedi, andando in giro a contagiare gli altri perché troppo egocentrici per pensare che il loro esibito eroismo narcisista non aiuta gli altri bensì li danneggia. So chi mi ha passato questa infezione prima di partire, mannaggia all'eroe di turno.
Stesso discorso per gli eroi del freddo. Quelli che ti prendono in giro: "Ma tanto fa caldo", "Ma non esagerare", "Ma sono 20°!", quelli dei jeans per 12 mesi 24 h 00, quelli delle maniche corte a gennaio e le gambe nude a dicembre e il riscaldamento a 19°. Quelli che son limitati, poverini, perché proprio non riescono, no, a concepire l'idea che la percezione del freddo e del caldo non sono debolezze morali, ma meccanismi del sistema parasimpatico fuori dal nostro controllo razionale. E che non si decidono a capire che quando si soffre di un certo tipo di disturbo l'unica prevenzione reale è calore, calore, calore. Ben superiore a 20°. E che se hanno proprio questo incoercibile caldo sotto la neve, magari perché possono passare la giornata in movimento anziché seduti a una scrivania, nessuno gli vieta di mettersi in costume da bagno anziché seccare chi caldo non ha.
Ma anche peggio l'idea che un antibiotico serva solo in punto di pericolo di vita, perché buttare via due mesi, appunto, di vita languendo senza che nessuno ti dia una cura, ma solo dei palliativi di antinfiammatori che fanno male allo stomaco e a molto altro, ma bene all'industria del farmaco, così salutare non è.
E uffa.
Manco a farlo apposta, leggo che finalmente l'INRS avrebbe raccomandato una temperatura tra i 23° e i 24° per il lavoro sedentario. Evviva.
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lunedì 12 marzo 2018
L'EU(ropa) che porta la pace tra i popoli...
...quanto questo presepe accarezzato da troppi con illusione o ipocrisia sia falso l'ho vissuto con sbigottita consapevolezza su me stessa. Sentivo o temevo che dovesse arrivare davanti a qualche cretino che mi avesse cantato le lodi di questa macchina di morte e di oppressione. Fatto sta che oggi, dopo qualche domanda sulle elezioni italiane condita da banalità alle mie risposte, nonché di una poco simpatica disposizione all'ascolto su qualcosa che indubbiamente conosco meglio dei miei interlocutori, da parte di un francese peraltro estremamente filotedesco e di una tedesca, sono stata sommersa da una ostilità devastante. Ostilità che si allargava pericolosamente oltre ogni confine, rischiando di identificare in loro i rappresentanti di un paese intero, o meglio delle decisioni dei loro governanti e delle loro istanze imperialiste solidamente sostenute dalla peggiore delle propagande. Il francese è l'ultima persona con cui sarebbe conveniente discutere, ma ci occupiamo tutti e tre delle stesse cose, dovremmo essere in grado di analizzare non visceralmente gli avvenimenti, e con lui l'intesa e la complicità intellettuale sono sempre state forti, abbiamo riso e scherzato insieme in assoluta libertà. Inoltre, chiunque mi conosca sa quanto perdutamente io ami questo paese, la sua storia, i suoi abitanti, la sua lingua che indegnamente storpio, la sua cultura, la sua arte nel parlare e nel vivere, le sue stesse contraddizioni. Non ho mai amato il paese dove sono nata, dove non sono mai stata felice e spensierata, se non forse in qualche momento nel mio villaggio lassù sui monti del Trentino e per cui provo da sempre una profonda estraneità. Quando ho appreso della notte di novembre ho gridato come se avessero ucciso una parte di me, e ho pianto a gennaio, in una brasserie di Strasburgo. Non sapevo cosa fare per abbracciare tutti coloro che incontravo, ad uno ad uno. Darei senza rimpianti la cittadinanza italiana per quella francese, e non tornerei più in Italia a partire da stasera stessa senza alcuna nostalgia e senza pensarvi. Trovo del tutto scadenti inno, bandiera, simboli e cascame retorico che li accompagna. Sono totalmente allergica al concetto di "patria", specialmente con la maiuscola. E poi, nella mia condizione economico-sociale non posso averla :-).
Eppure amo la Costituzione italiana, uno dei migliori compromessi esistenti per garantire vita dignitosa e partecipazione politica a chi non ha capitali e non vive di rendita. Una Costituzione che ogni fondamento dell'Unione europea, di stampo economico liberista, viola, e che ogni sua disposizione, supinamente accettata da chi ci governa e governerà, ci impone di violare.
Sentire sorgere in me simili sentimenti ostili mi ha lasciato tanto più esterrefatta e smarrita. Quale trasformazione molecolare ha potuto portarmi a sragionare in maniera così grossolana? a quale profonda degradazione questa fabbrica di miseria ci sta portando?
Si potrebbe dire che essendo la Ue progettata fin alla sua nascita come una macchina per implementare lo sfruttamento tra nazioni e tra individui della stessa nazione, essa non può che generare antagonismi sempre più forti, invece che ridurli.
Ma provarne la forza su sé stessi è tutt'altra cosa.
Solo, è la trappola che chi ha voluto questa restaurazione peggiore di quella borbonica ci tende per far parere nemico chi è ignorante e inconsapevole, ma povero più o meno quanto te.
Restiamo svegli e teniamo saldamente le briglie.
Oggi ho un motivo in più per avversare questa santa Unione, non più salutare della precedente per chi sotto di essa deve vivere e per volerla demolita pietra su pietra, arsa per sempre dal giudizio della storia.
Eppure amo la Costituzione italiana, uno dei migliori compromessi esistenti per garantire vita dignitosa e partecipazione politica a chi non ha capitali e non vive di rendita. Una Costituzione che ogni fondamento dell'Unione europea, di stampo economico liberista, viola, e che ogni sua disposizione, supinamente accettata da chi ci governa e governerà, ci impone di violare.
Sentire sorgere in me simili sentimenti ostili mi ha lasciato tanto più esterrefatta e smarrita. Quale trasformazione molecolare ha potuto portarmi a sragionare in maniera così grossolana? a quale profonda degradazione questa fabbrica di miseria ci sta portando?
Può accadere, mille episodi storici lo dimostrano. E mille GUERRE, non mille paci. Ma che potesse accadere a me così facilmente, sia pure dopo decenni di assalti ubiqui da parte di questa istituzione spietata a ciò che di più civile questo continente abbia mai espresso, lo stato sociale, ça je l'aurais jamais cru.
Si potrebbe dire che essendo la Ue progettata fin alla sua nascita come una macchina per implementare lo sfruttamento tra nazioni e tra individui della stessa nazione, essa non può che generare antagonismi sempre più forti, invece che ridurli.
Ma provarne la forza su sé stessi è tutt'altra cosa.
Solo, è la trappola che chi ha voluto questa restaurazione peggiore di quella borbonica ci tende per far parere nemico chi è ignorante e inconsapevole, ma povero più o meno quanto te.
Restiamo svegli e teniamo saldamente le briglie.
Oggi ho un motivo in più per avversare questa santa Unione, non più salutare della precedente per chi sotto di essa deve vivere e per volerla demolita pietra su pietra, arsa per sempre dal giudizio della storia.
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sabato 1 aprile 2017
2 marzo 1584 - Sentinelle des mers
Viene firmato il contratto per i lavori:

non lontano da Bordeaux nel mezzo dell'estuario della Gironda, nella Francia sudoccidentale,
su un'isola di sabbia.
Si dice che almeno a partire dall'alto medioevo quei banchi di sabbia fossero segnalati alle navi in transito. Operavano presenze strane: nell'alto medioevo misteriosi mercanti saraceni, poi eremiti cluniacensi si fanno custodi dei fuochi. Nel tardo XVI secolo lo stato assume l'iniziativa, consolidando la sua presenza e i suoi campi di azione. Henri III poi Henri IV si sarebbero interessati al progetto. Il faro sarà inaugurato nel 1611, un anno dopo l'assassinio di quest'ultimo.
Luigi XIV farà decorare una sala interna, la sala dei re.
Tutti i fari di Francia sono stati poco a poco automatizzati e nessun guardiano dello stato vi abita più dal 2012. A Cordouan, monumento storico, e in altri fari dell'Aquitania sono gli enti locali a assicurare la conservazione e la pulizia delle lenti, tramite un consorzio. Ma altrove?
A Cordouan volendo ci si può sposare, ma solo in chiesa. C'è infatti una cappella. Per celebrare i quattrocento anni del faro il Ministero dell'ambiente ha commissionato un pezzo di musica corale sul testo di un sonetto scolpito nella cappella, scritto probabilmente dall'architetto di Cordouan. "Quand j'admire ravi ceste oeuvre de mon courage".
Nei fari mancavano i gabinetti, installati solo negli anni '80, in seguito a una campagna stampa. Mi ricordò la mia prima casa vicino a Vercelli. Era nella soffitta di in una villa nobile vicino alla quale sorgeva una casa contadina. Viveva lì una coppia arrivata negli anni Settanta dal sud, con i genitori di lei. Presi in consegna già in stazione dai proprietari terrieri della zona ormai traferiti a Milano. Avevano bisogno di qualcuno che gli curasse le proprietà, e i contadini immigrati avevano trascorso la loro vita in quello sperduto angolo di paradiso a mezza costa su un incantevole lago, in faccia alle Alpi. Il gabinetto era una tavola posata su un buco, esterno. I padroni installarono i servizi igienici solo a metà degli anni'80, dopo ripetute richieste.
All'epoca i guardiani dei fari dissero che avrebbero preferito che gli cambiassero i materassi e gli altri arredi. L'umidità li faceva marcire in breve tempo. Malgrado interni dall'apparenza spesso lussosa, i quindici giorni al mese che passavano in mare erano piuttosto scomodi. Salsedine dappertutto, buona parte del loro lavoro consisteva nel pulire i meccanismi e i fuochi della lanterna, e il faro nel suo complesso.
Eppure a chi non piacerebbe lavorare a una scrivania così?
o scorgere questo al mattino:
giocare con le luci?
L'importante è che non manchi una biblioteca.
La storia del faro accompagnata da molti documenti che ne parlano.
Immagini prese da Wikimedia commons (grazie) e da qui.
Mi piacerebbe un giorno arrivare laggiù.

non lontano da Bordeaux nel mezzo dell'estuario della Gironda, nella Francia sudoccidentale,
su un'isola di sabbia.
Si dice che almeno a partire dall'alto medioevo quei banchi di sabbia fossero segnalati alle navi in transito. Operavano presenze strane: nell'alto medioevo misteriosi mercanti saraceni, poi eremiti cluniacensi si fanno custodi dei fuochi. Nel tardo XVI secolo lo stato assume l'iniziativa, consolidando la sua presenza e i suoi campi di azione. Henri III poi Henri IV si sarebbero interessati al progetto. Il faro sarà inaugurato nel 1611, un anno dopo l'assassinio di quest'ultimo.
Luigi XIV farà decorare una sala interna, la sala dei re.
La parte più delicata del lavoro di un faro è l'accensione della lanterna. Oggi si fa automaticamente. Un tempo era un lavoro di destrezza e anche pericoloso. Bisognava riuscire ad accendere tutti i fuochi senza bruciarsi e senza dare fuoco all'apparecchio:
Tutti i fari di Francia sono stati poco a poco automatizzati e nessun guardiano dello stato vi abita più dal 2012. A Cordouan, monumento storico, e in altri fari dell'Aquitania sono gli enti locali a assicurare la conservazione e la pulizia delle lenti, tramite un consorzio. Ma altrove?
A Cordouan volendo ci si può sposare, ma solo in chiesa. C'è infatti una cappella. Per celebrare i quattrocento anni del faro il Ministero dell'ambiente ha commissionato un pezzo di musica corale sul testo di un sonetto scolpito nella cappella, scritto probabilmente dall'architetto di Cordouan. "Quand j'admire ravi ceste oeuvre de mon courage".
Nei fari mancavano i gabinetti, installati solo negli anni '80, in seguito a una campagna stampa. Mi ricordò la mia prima casa vicino a Vercelli. Era nella soffitta di in una villa nobile vicino alla quale sorgeva una casa contadina. Viveva lì una coppia arrivata negli anni Settanta dal sud, con i genitori di lei. Presi in consegna già in stazione dai proprietari terrieri della zona ormai traferiti a Milano. Avevano bisogno di qualcuno che gli curasse le proprietà, e i contadini immigrati avevano trascorso la loro vita in quello sperduto angolo di paradiso a mezza costa su un incantevole lago, in faccia alle Alpi. Il gabinetto era una tavola posata su un buco, esterno. I padroni installarono i servizi igienici solo a metà degli anni'80, dopo ripetute richieste.
All'epoca i guardiani dei fari dissero che avrebbero preferito che gli cambiassero i materassi e gli altri arredi. L'umidità li faceva marcire in breve tempo. Malgrado interni dall'apparenza spesso lussosa, i quindici giorni al mese che passavano in mare erano piuttosto scomodi. Salsedine dappertutto, buona parte del loro lavoro consisteva nel pulire i meccanismi e i fuochi della lanterna, e il faro nel suo complesso.
Eppure a chi non piacerebbe lavorare a una scrivania così?
o scorgere questo al mattino:
giocare con le luci?
L'importante è che non manchi una biblioteca.
La storia del faro accompagnata da molti documenti che ne parlano.
Immagini prese da Wikimedia commons (grazie) e da qui.
Mi piacerebbe un giorno arrivare laggiù.
(L'ultima foto è di Michel Le Collen.)
"C'est la sentinelle des mers."
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giovedì 22 gennaio 2015
Je suis Charlie - Réponses
"Tu non ci crederai, ma tutta questa situazione mi angoscia, mi fa fare
incubi la notte e mi fa pensare che no, non è possibile disprezzare la
Vita solo perché esistono Altri che la pensano diversamente. (...) Sento proprio un dolore nel cuore
per tutto quello che accade agli altri, animali inclusi. Mi sento fuori
dal mondo, pur stando nel mondo."
Questo me lo scrive una poetessa. E io le dedico questa lettura sulle lagrime di Averroè, perché la poetessa ama anche molto insegnare.
Ma ricevo anche lunghi commenti da due blogger (uno ha appena annunciato degli spiedini di maiale - aiuto! e se fosse un insulto? - e io ho appena comprato il necessario per farli) e mi rendo conto che per replicare nei commenti non basterebbe un lenzuolo. Perciò, dopo avere risposto ad alcune osservazioni puntuali sotto i rispettivi post, le riflessioni più generali che ne sono scaturite le scrivo anche qui.
Questo me lo scrive una poetessa. E io le dedico questa lettura sulle lagrime di Averroè, perché la poetessa ama anche molto insegnare.
Ma ricevo anche lunghi commenti da due blogger (uno ha appena annunciato degli spiedini di maiale - aiuto! e se fosse un insulto? - e io ho appena comprato il necessario per farli) e mi rendo conto che per replicare nei commenti non basterebbe un lenzuolo. Perciò, dopo avere risposto ad alcune osservazioni puntuali sotto i rispettivi post, le riflessioni più generali che ne sono scaturite le scrivo anche qui.
La tutela della libertà
di espressione serve proprio ad evitare che simili suscettibilità facciano
legge. Stabilendo peraltro che qualora sorgano delle discriminazioni oggettive
o dei danni oggettivi a singoli o a gruppi dall'uso di questa libertà, esso può
essere sanzionato.
Difficile rintracciare
questi estremi nella vicenda CH - il giornale fu processato e assolto per le
vignette in questione - che non ha mai incitato all'odio, né obbligato alcuno a
leggerlo, ma si è limitato a commentare la cronaca nei suoi lati assurdi
e ridicoli, senza basarsi, come altra stampa fa, sull'insulto onnicomprensivo fine a
sé stesso prendendo di mira qualcuno senza motivo e senza occasione. Lo fa da
giornale satirico, ovvio. Quindi esagerato, perché deve colpire, spiazzare le
proprie certezze e far pensare. Far ridefinire i propri valori. Far riflettere
sulle proprie reazioni. Un credente o chiunque invece di
scandalizzarsi, innanzitutto si gioverebbe del riflettere e ribadire più articolatamente ciò in cui crede avendo sormontato gli
eventuali attacchi alle sue certezze e alla sua tranquillità quotidiana che la
lettura può avergli dato. Lì sta la forza delle idee o della fede: nella
capacità di ridefinirle anche davanti a chi le mette in difficoltà.
Tra i balordi che hanno
distrutto tante vite comprese le loro e chi gli ha armato la mano e lavato il
cervello di acqua sotto ai ponti ce ne passa. CH vendeva 20mila copie:
figuriamoci se era la prima preoccupazione di piccoli criminali disoccupati e
quant'altro delle borgate parigine. Ma qui c'è una lunga storia che parte da
Rushdie ed arriva ad oggi: ed è quella appunto di voler far sentire il controllo sulle
discussioni e gli argomenti ammissibili nello spazio pubblico dei paesi occidentali.
Spostando su di essi la questione dei rapporti di potere tra stati (non tra civiltà, attenzione). Farne oggetto di azione politica e questione essenziale per i credenti a livello universale, prima di ogni altra cosa. Nello stesso tempo ricompattando tante tensioni all'interno dei paesi arabi (detto sbrigativamente, l'Iran non è arabo) e
additando come causa di tutti i mali interni ed esterni non tanto l'Occidente
come sistema, (che le sue responsabilità le ha, purtroppo), ma qualche inerme personaggio
armato solo dell'intelligenza e purtroppo sempre più bisogna dire del coraggio,
e proprio non dovremmo, no, mai, pensare che ci debba volere del coraggio per
questo, per scrivere o disegnare su qualcosa che è anche un simbolo religioso. Che poi è anche molto
altro, e non appartiene ai soli musulmani - pensiamo se sulla Chiesa potessero
parlare solo i cattolici o sulla Bibbia solo gli ebrei, finiremmo col creare
una serie di argomenti tabù senza il minimo senso: sulla mafia solo i
mafiosi? Cioè il controllo degli individui, delle loro mentalità, delle loro scelte quotidiane, cosa che le religioni comprendono e manipolano benissimo e i paesi teocratici praticano comunemente come mezzo di controllo politico (vedi post precedente).
Questione molto più complessa ciò che
realmente si proponevano gli attentati, gli attentatori e i mandanti di Parigi.
Non sarei certissima che tutti volessero e vedessero le stesse cose allo stesso
modo. Rimpiango l'impossibilità di ascoltare la versione degli esecutori, di
decifrare le loro spinte e le loro mentalità. Sarebbe molto utile, per il
presente e per il futuro. Resto comunque convinta che nella complessità interna e senza dubbio internazionale che
può circondare questo attentato, esso si iscriva in quella linea di pensiero variamente poi attuata, ripresa, riutilizzata in contesti diversi, che parte
dalla fatwa di Komeini contro Rushdie e che ha fatto infinite vittime in giro
per i paesi arabi se non nell'Occidente. Vale a dire la ridefinizione di ciò
che è lecito discutere o vivere nello spazio pubblico, specialmente se di
rilievo internazionale, ma non necessariamente. Ciò per me è la cosa più
rischiosa: perché hai ben a esecrare chi mette bombe a caso, ma attentati come questi
sono profondamente divisivi delle comunità fra loro, respingendole in un
contesto di appartenenza e di valutazione su un fatto privato come la religione, come
puntualmente si verifica con tutti i distinguo su CH, anziché pubblico, come la
cittadinanza e i suoi valori condivisi. Cioè praticamente annullando quello che
ha fatto di meglio il mondo europeo. Con limiti, incompiutezze, contraddizioni,
ma la cosa non mi sorprende, né mi paralizza: sono concetti che hanno 300 anni e implicano
ridefinizioni dei contesti economici e sociali, le religioni istituzionalizzate, molto meno rivoluzionarie da questo punto di vista, quanti? Dovremmo
rinforzarli e dargli tempo, invece di concentrarci sulle identità religiose e
sulla separatezza dei discorsi leciti, come se giustapporre monadi silenziose
insegnasse a convivere.
Plus fort que le glaive est mon esprit, leggevo per tutti questi giorni su un muro ogni mattina, andando a lavorare.
Ciò posto, resta la domanda (posta da uno dei due blogger) del cui prodest, e se ovviamente per Komeini si trattava di compattare un paese in cui veniva imposto uno stato profondamente repressivo e dove una guerra lunga e sanguinosa si era appena conclusa con un nulla di fatto (i territori occupati dagli iracheni non erano stati restituiti), dietro l'idea che il male venisse da un fuori corrotto e ostile, il che gli dava anche l'occasione di porsi come leader per i musulmani del mondo, oggi la cosa è meno decifrabile, per me, nel senso che non ne so abbastanza. Sono abbastanza convinta però che quella fatwa abbia svolto il ruolo di ridare alienata perversa e letale dignità allo sfogo di frustrazioni nate altrove, e in cui ovviamente la religione c'entra zero. Ma questo lo avevo già scritto. Però di nuovo fa sentire importanti poter dare la colpa a una matita da spezzare (o pensare di fare da appoggio alla fuga di chi l'ha spezzata). L'anello di congiunzione che scatena l'occasione di oggi, quello non lo conosco. Comunque il terrorismo ha sempre uno scopo, non è il mostro che sorge dal nulla e che non vuole nulla. Per questo penso che la risposta debba passare per parole d'ordine più articolate del "no alla violenza": vogliamo dimenticarci quanto esecutori e mandanti ma anche molti simpatizzanti parziali conoscano un contesto violento dalla nascita? Che possono recepire da un mero "no alla violenza"? Su quale prospettiva? su quale alternativa? Quali parole positive di incontro trovare per loro e per tutti? Per questo ritengo assolutamente indispensabile smontare il presupposto mentale dell'Occidente che insulta l'Islam, sia perché non si tratta di realtà monolitiche, sia perché solo rilanciando su un valore più ampio e più complesso quale la libertà reciproca di fare e non obbligare (e secondo me la reazione spontanea dei Francesi per cui questi sono sostanzialmente valori profondamente sentiti e condivisi era soprattutto in difesa di ciò) smonterai quel meccanismo infernale di identificazione del nemico e autoidentificazione comunitaria nell'antibuoncostume da abbattere per essere riconosciuto in casa e in paradiso.
Oltre a tutta una serie di questioni sociali, ovviamente, ma di questo se n'è parlato a iosa.
Plus fort que le glaive est mon esprit, leggevo per tutti questi giorni su un muro ogni mattina, andando a lavorare.
Ciò posto, resta la domanda (posta da uno dei due blogger) del cui prodest, e se ovviamente per Komeini si trattava di compattare un paese in cui veniva imposto uno stato profondamente repressivo e dove una guerra lunga e sanguinosa si era appena conclusa con un nulla di fatto (i territori occupati dagli iracheni non erano stati restituiti), dietro l'idea che il male venisse da un fuori corrotto e ostile, il che gli dava anche l'occasione di porsi come leader per i musulmani del mondo, oggi la cosa è meno decifrabile, per me, nel senso che non ne so abbastanza. Sono abbastanza convinta però che quella fatwa abbia svolto il ruolo di ridare alienata perversa e letale dignità allo sfogo di frustrazioni nate altrove, e in cui ovviamente la religione c'entra zero. Ma questo lo avevo già scritto. Però di nuovo fa sentire importanti poter dare la colpa a una matita da spezzare (o pensare di fare da appoggio alla fuga di chi l'ha spezzata). L'anello di congiunzione che scatena l'occasione di oggi, quello non lo conosco. Comunque il terrorismo ha sempre uno scopo, non è il mostro che sorge dal nulla e che non vuole nulla. Per questo penso che la risposta debba passare per parole d'ordine più articolate del "no alla violenza": vogliamo dimenticarci quanto esecutori e mandanti ma anche molti simpatizzanti parziali conoscano un contesto violento dalla nascita? Che possono recepire da un mero "no alla violenza"? Su quale prospettiva? su quale alternativa? Quali parole positive di incontro trovare per loro e per tutti? Per questo ritengo assolutamente indispensabile smontare il presupposto mentale dell'Occidente che insulta l'Islam, sia perché non si tratta di realtà monolitiche, sia perché solo rilanciando su un valore più ampio e più complesso quale la libertà reciproca di fare e non obbligare (e secondo me la reazione spontanea dei Francesi per cui questi sono sostanzialmente valori profondamente sentiti e condivisi era soprattutto in difesa di ciò) smonterai quel meccanismo infernale di identificazione del nemico e autoidentificazione comunitaria nell'antibuoncostume da abbattere per essere riconosciuto in casa e in paradiso.
Oltre a tutta una serie di questioni sociali, ovviamente, ma di questo se n'è parlato a iosa.
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venerdì 16 gennaio 2015
Je suis Charlie - Aux kiosques citoyens
Mi piacerebbe riportare il nome del disegnatore che inventato quest'arma, oltretutto complicatissima da imbracciare per chi volesse farlo in maniera ortodossa. L'immagine è pubblicata dall'agenzia di stampa Reuters, ma il nome dell'autore, come troppo spesso accade, non compare. Si può supporre che sia sudamericano.
Mercoledì sera all'edicola della stazione di Strasburgo un cartello scritto a penna informa che Charlie Hebdo è terminato. Ma "ci saranno consegne giovedì e venerdì" prosegue, per poi aggiungere sotto, di mano diversa "e sabato". La prima tiratura del settimanale, che resterà eccezionalmente in edicola quindici giorni, è andata esaurita. Speriamo continui così. L'edicolante ha allestito un piccolo stand con tutto ciò che è uscito sulla vicenda Charlie Hebdo. Faccio incetta di varia altra carta stampata e a p. 13 di questo quotidiano trovo una piccola citazione. "Un cittadino che si interroghi sul wahhabismo in Arabia Saudita o lo sciismo in Iran è automaticamente considerato blasfemo. Può essere condannato a mille colpi di frusta e dieci anni di prigione, come Raif Badawi in Arabia Saudita o alla pena di morte, come Soheil Arabi in Iran (la sentenza è stata confermata in dicembre)." (Joelle Fiss.) Oggi la notizia della condanna di Badawi è visibile anche sul sito internet. In quei paesi, prosegue il giornale cartaceo di mercoledì 14, le leggi antiblasfeme servono a rinforzare le dottrine teologiche di stato, in cui cioè la religione è parte inscindibile dell'organizzazione statuale e pubblica. Se ti salta in mente di aprire un blog per discutere anche di religione, potresti ritrovarti accusato di slealtà verso il sovrano, attentato alla giustizia e creazione di organizzazione non autorizzata. Peggio ancora di apostasia, che prevede la pena di morte. «Dès qu’un penseur commence à exposer ses idées, on peut trouver des centaines de fatwas l’accusant d’être un infidèle, simplement parce qu’il a eu le courage de discuter de certains sujets sacrés», faisait-il par exemple remarquer sur son blog. «Je suis vraiment inquiet à l’idée que les penseurs arabes puissent migrer ailleurs pour trouver de l’air frais et échapper au glaive des autorités religieuses.» Ou: «La laïcité est le meilleur refuge pour les citoyens d’un pays.» (sottolineature e grassetto miei). A pensarci bene, i post di Badawi non erano nemmeno del tutto esenti da sarcasmo. Secondo Amnesty international che ne racconta la storia, uno dei capi di accusa era l'aver parlato della festa di San Valentino. concludendo addirittura così: "Grazie alla Commissione per la vigilanza del vizio e la protezione della virtù e alla sua volontà che tutti i Sauditi vadano in paradiso." Eh, qui da me avrebbero sospirato. "On ne fait pas le bonheur des gens malgré eux." San Valentino, poi. Una festaccia, lo so: spesso il colmo del peggior cattivo gusto commerciale gratuito che insulta e profana la nostra religione con rappresentazioni offensive di gadget privi di rispetto per il sacro. E poi, tutto quel parlare di sesso e vita sessuale. Ma che volete farci? Bisogna tollerare, tollerare... oppure, ad esempio, provare a firmare la petizione di Amnesty per ls sospensione della pena, qui. O chessò, pubblicare una vignetta per chi è capace di disegnare... Oppure diffondere la notizia. Basta non stare zitti.
Ma il caso di Badawi non sarebbe isolato. Blogger, cittadini, associazioni per i diritti civili sauditi sarebbero sempre più controllati per la loro attività in rete.
Anche quando semplicemente raccontano.
"Alla fin fine serve a reprimere le minoranze religiose o atee, i dissidenti politici, o qualsiasi intellettuale che discuta o si beffi della teologia ufficiale dello Stato", conclude Fiss.
L'ambasciatore saudita era presente alla manifestazione di domenica a Parigi. Al di là del rituale diplomatico - lutto nazionale, una partecipazione è di dovere - diversi governanti di paesi arabi hanno sfilato. Anche in quei paesi ci sono organizzazioni integraliste: persino in Arabia Saudita vi sono stati attentati. Oltre a mostrare solidarietà e a manifestarsi estranei agli attentatori di Parigi quelle presenze vorrebbero indicare la non disponibilità a livello ufficiale a coprire certi gesti. Non necessariamente un atteggiamento di apertura all'interno di quegli stati.
Intanto in Francia una rivista gesuita, Etudes, ripubblica le tevvvvibili caricature del sulfureo Charlie sul papa emerito innamorato di una guardia svizzera, su Gesù che vuole votare al conclave per non essere lasciato fuori dalla sua Chiesa, sul papa in carica abbigliato da travestito a Rio per acchiappare clienti, invitando con molto buonsenso i cattolici a non prendersi troppo sul serio: l'humour è un sano antidoto al fanatismo e poter ridere di sé stessi è un segno di forza. Allo scandalo "dei piccoli" si reagisce con il senso critico e la riflessione.
Ma no? Dove ce l'eravamo dimenticato? in quale abisso di ignoranza, di debolezza e di paura? E l'insulto? La profanazione?
Se a Sant'Ignazio ne è scorsa di acqua (e se ne sono fatti di sentieri) dall'Encyclopédie, altrove si sta tornando indietro.
Putiferio. La rivista cancella la pagina con le vignette. Rimane un commento di perfida abilità: in cui si riesce a assolvere, anzi a difendere fermamente, il principio in maniera impeccabile e a ribaltare la responsabilità di quelle dodici morti: un pretesto. Istruttivo. Pacificatorio. Solvente. Da leggere.
I lettori, improvvisamente balzati a cifre record, discutono accanitamente. Seguitate, via, bravissimi, avrebbe cantato il poeta.
Qui commentano: "Mais qu'ils [Charlie hebdo] crottent qui veulent. C'est tout."
In questo giorni sto leggendo una quantità di stampa, su carta, che mai avrei pensato di sfogliare. I balordi di Parigi avranno creato un'appassionata curiosa di satira in più. Son soddisfazioni.
Aggiornato il 16 gennaio 2015.
Mercoledì sera all'edicola della stazione di Strasburgo un cartello scritto a penna informa che Charlie Hebdo è terminato. Ma "ci saranno consegne giovedì e venerdì" prosegue, per poi aggiungere sotto, di mano diversa "e sabato". La prima tiratura del settimanale, che resterà eccezionalmente in edicola quindici giorni, è andata esaurita. Speriamo continui così. L'edicolante ha allestito un piccolo stand con tutto ciò che è uscito sulla vicenda Charlie Hebdo. Faccio incetta di varia altra carta stampata e a p. 13 di questo quotidiano trovo una piccola citazione. "Un cittadino che si interroghi sul wahhabismo in Arabia Saudita o lo sciismo in Iran è automaticamente considerato blasfemo. Può essere condannato a mille colpi di frusta e dieci anni di prigione, come Raif Badawi in Arabia Saudita o alla pena di morte, come Soheil Arabi in Iran (la sentenza è stata confermata in dicembre)." (Joelle Fiss.) Oggi la notizia della condanna di Badawi è visibile anche sul sito internet. In quei paesi, prosegue il giornale cartaceo di mercoledì 14, le leggi antiblasfeme servono a rinforzare le dottrine teologiche di stato, in cui cioè la religione è parte inscindibile dell'organizzazione statuale e pubblica. Se ti salta in mente di aprire un blog per discutere anche di religione, potresti ritrovarti accusato di slealtà verso il sovrano, attentato alla giustizia e creazione di organizzazione non autorizzata. Peggio ancora di apostasia, che prevede la pena di morte. «Dès qu’un penseur commence à exposer ses idées, on peut trouver des centaines de fatwas l’accusant d’être un infidèle, simplement parce qu’il a eu le courage de discuter de certains sujets sacrés», faisait-il par exemple remarquer sur son blog. «Je suis vraiment inquiet à l’idée que les penseurs arabes puissent migrer ailleurs pour trouver de l’air frais et échapper au glaive des autorités religieuses.» Ou: «La laïcité est le meilleur refuge pour les citoyens d’un pays.» (sottolineature e grassetto miei). A pensarci bene, i post di Badawi non erano nemmeno del tutto esenti da sarcasmo. Secondo Amnesty international che ne racconta la storia, uno dei capi di accusa era l'aver parlato della festa di San Valentino. concludendo addirittura così: "Grazie alla Commissione per la vigilanza del vizio e la protezione della virtù e alla sua volontà che tutti i Sauditi vadano in paradiso." Eh, qui da me avrebbero sospirato. "On ne fait pas le bonheur des gens malgré eux." San Valentino, poi. Una festaccia, lo so: spesso il colmo del peggior cattivo gusto commerciale gratuito che insulta e profana la nostra religione con rappresentazioni offensive di gadget privi di rispetto per il sacro. E poi, tutto quel parlare di sesso e vita sessuale. Ma che volete farci? Bisogna tollerare, tollerare... oppure, ad esempio, provare a firmare la petizione di Amnesty per ls sospensione della pena, qui. O chessò, pubblicare una vignetta per chi è capace di disegnare... Oppure diffondere la notizia. Basta non stare zitti.
Ma il caso di Badawi non sarebbe isolato. Blogger, cittadini, associazioni per i diritti civili sauditi sarebbero sempre più controllati per la loro attività in rete.
Anche quando semplicemente raccontano.
"Alla fin fine serve a reprimere le minoranze religiose o atee, i dissidenti politici, o qualsiasi intellettuale che discuta o si beffi della teologia ufficiale dello Stato", conclude Fiss.
L'ambasciatore saudita era presente alla manifestazione di domenica a Parigi. Al di là del rituale diplomatico - lutto nazionale, una partecipazione è di dovere - diversi governanti di paesi arabi hanno sfilato. Anche in quei paesi ci sono organizzazioni integraliste: persino in Arabia Saudita vi sono stati attentati. Oltre a mostrare solidarietà e a manifestarsi estranei agli attentatori di Parigi quelle presenze vorrebbero indicare la non disponibilità a livello ufficiale a coprire certi gesti. Non necessariamente un atteggiamento di apertura all'interno di quegli stati.
Intanto in Francia una rivista gesuita, Etudes, ripubblica le tevvvvibili caricature del sulfureo Charlie sul papa emerito innamorato di una guardia svizzera, su Gesù che vuole votare al conclave per non essere lasciato fuori dalla sua Chiesa, sul papa in carica abbigliato da travestito a Rio per acchiappare clienti, invitando con molto buonsenso i cattolici a non prendersi troppo sul serio: l'humour è un sano antidoto al fanatismo e poter ridere di sé stessi è un segno di forza. Allo scandalo "dei piccoli" si reagisce con il senso critico e la riflessione.
Ma no? Dove ce l'eravamo dimenticato? in quale abisso di ignoranza, di debolezza e di paura? E l'insulto? La profanazione?
Se a Sant'Ignazio ne è scorsa di acqua (e se ne sono fatti di sentieri) dall'Encyclopédie, altrove si sta tornando indietro.
Putiferio. La rivista cancella la pagina con le vignette. Rimane un commento di perfida abilità: in cui si riesce a assolvere, anzi a difendere fermamente, il principio in maniera impeccabile e a ribaltare la responsabilità di quelle dodici morti: un pretesto. Istruttivo. Pacificatorio. Solvente. Da leggere.
I lettori, improvvisamente balzati a cifre record, discutono accanitamente. Seguitate, via, bravissimi, avrebbe cantato il poeta.
Qui commentano: "Mais qu'ils [Charlie hebdo] crottent qui veulent. C'est tout."
In questo giorni sto leggendo una quantità di stampa, su carta, che mai avrei pensato di sfogliare. I balordi di Parigi avranno creato un'appassionata curiosa di satira in più. Son soddisfazioni.
Aggiornato il 16 gennaio 2015.
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martedì 13 gennaio 2015
Je suis Charlie - Images
Fotografato in place Kléber, Strasburgo.
Pubblicato credo da qualche parte che non conosco.
(Cliccare sulla foto per leggere il testo.)
La direttrice del museo delle Belle Arti di Strasburgodesidera raccogliere i cartelli, i disegni, i componimenti, i collage realizzati nel corso di queste giornate e deposti spesso in place Kléber, attorno a cui si è svolta domenica pomeriggio una manifestazione di ampiezza senza precedenti in città. Non pensa di realizzare una mostra specifica ma di integrarli nel percorso delle sale del museo. Per lei si tratta di conservare le traccee le produzioni visive di un momento rilevante nella storia cittadina. Probabilmente sarà realizzato anche un progetto più specifico con gli allievi della scuola nazionale di Belle Arti di Strasburgo.
Quanto alla BnF una mostra loro l'hanno allestita. Del resto ce l'hanno in casa, per così dire. Hanno anche proiettato su una delle loro immense torri una vignetta di Wolinski, visible seguendo il link.
Pubblicato credo da qualche parte che non conosco.
(Cliccare sulla foto per leggere il testo.)
Come dimenticare che per averle usate non potrenno più farlo?
Quanto alla BnF una mostra loro l'hanno allestita. Del resto ce l'hanno in casa, per così dire. Hanno anche proiettato su una delle loro immense torri una vignetta di Wolinski, visible seguendo il link.
sabato 10 gennaio 2015
Je suis Charlie 3 - Sang
Sangue, ancora sangue. Ancora sangue gente mia, paese dell'anima e del cuore. Basta, fermati,
rifletti. Guarda il tuo passato, il tuo presente. Progetta il tuo futuro. Non te lo lasciar strappare. "Ouvrez des écoles, vous fermerez des prisons": ce lo avete detto voi, noi? La compostezza della tua gente, lacrime sul ciglio e fermezza nel contegno. C'è anche chi trova tutto questo troppo retorico, troppo strumentalizzato dai politici a caccia di consensi. "I principi repubblicani" che soffio d'aria pura rispetto a un paese feudale e bigotto come il nostro, in cui già si è partiti con i distinguo su cosa si può satireggiare e cosa no, e su quanto la sappiamo lunga noi politically correct scaltriti sull'odio razziale povero bruttosporcoecattivo, eh - ma no?
E quanto tutto questo sia fuori dal mondo rispetto al palpito di chi qui piange senza volersi esibire, di chi si sorride timidamente tra sconosciuti per strada, tra chi si sente di dire: "Non siamo d'accordo, bene, non importa. L'importante è poterlo dire", tra chi silenziosamente con sé stesso, apertamente con gli altri e in pubblico dice senza cedimenti no, non qui. Con l'emozione che nasce dalla lucidità della ragione. "Charlie Hebdo n'était pas ma tasse de thé, et alors?" sottinteso: permettiamo che qualcuno pigli e spari? Ci fermiamo a fare distinguo tra chi lo trova bello e chi no? Non si spara sulle matite e sulle opinioni è un valore pubblico ed acquisito che va difeso, un fondamento di condivisione sociale, un pilastro della convivenza; la propria opinione sul valore di una rivista di satira è un fatto personale, del tutto legittimo ovviamente, che viene molto dopo. Soprattutto, sta su tutt'altro piano. Altra scala.
Ieri sera su France 3, che in questi giorni ha sempre "Je suis Charlie" sui suoi programmi, è stato trasmesso il documentario Caricaturistes fantassins de la démocratie di Stéphanie Valloatto, in cui dodici vignettisti di tutto il mondo raccontano il loro mestiere. Plantu di Le Monde, ricordando di essere stato considerato di volta in volta islamofobo e islamofilo, antisemita e filoisraeliano, fascista e comunista e chi più ne ha più ne metta, dice: "Oggi il vero problema del caricaturista [ovviamente in Europa] non è tanto la censura, ma il politically correct. Questa falsa gentilezza, questa falsa uniformazione, questo falso rispetto: una maniera ipocrita di essere educati e corretti." Non riesco a non avvicinarlo al "Non giudicare" che va di moda oggi. Che detto così non vuol dire nulla, e fa semplicemente il gioco del più prepotente, del più menefreghista, e del più forte. Non dovrei dirlo, perché non ho letto il suo libro, ma Indignez vous mi sembra più interessante come motto. Perché implica una scelta e un'attività di comprensione, non il tacitare i propri dubbi, le proprie incertezze, le proprie legittime domande. Il silenzio uccide, il silenzio non è mai rispetto. Il silenzio è isolamento, o autoisolamento.
Mercoledì 14 gennaio Charlie Hebdo uscirà come al solito, in tiratura eccezionale di un milione di copie. La redazione decimata ha scelto di preparare questo numero con le sole forze restanti, malgrado le offerte di tanti disegnatori e giornalisti. Speriamo le copie vadano esaurite tutte. Brutto o bello, non è quello il punto. Nemmeno un po'. Qui la maggioranza lo dà per scontato. Da noi siamo assai lontani.
Continua.
rifletti. Guarda il tuo passato, il tuo presente. Progetta il tuo futuro. Non te lo lasciar strappare. "Ouvrez des écoles, vous fermerez des prisons": ce lo avete detto voi, noi? La compostezza della tua gente, lacrime sul ciglio e fermezza nel contegno. C'è anche chi trova tutto questo troppo retorico, troppo strumentalizzato dai politici a caccia di consensi. "I principi repubblicani" che soffio d'aria pura rispetto a un paese feudale e bigotto come il nostro, in cui già si è partiti con i distinguo su cosa si può satireggiare e cosa no, e su quanto la sappiamo lunga noi politically correct scaltriti sull'odio razziale povero bruttosporcoecattivo, eh - ma no?
E quanto tutto questo sia fuori dal mondo rispetto al palpito di chi qui piange senza volersi esibire, di chi si sorride timidamente tra sconosciuti per strada, tra chi si sente di dire: "Non siamo d'accordo, bene, non importa. L'importante è poterlo dire", tra chi silenziosamente con sé stesso, apertamente con gli altri e in pubblico dice senza cedimenti no, non qui. Con l'emozione che nasce dalla lucidità della ragione. "Charlie Hebdo n'était pas ma tasse de thé, et alors?" sottinteso: permettiamo che qualcuno pigli e spari? Ci fermiamo a fare distinguo tra chi lo trova bello e chi no? Non si spara sulle matite e sulle opinioni è un valore pubblico ed acquisito che va difeso, un fondamento di condivisione sociale, un pilastro della convivenza; la propria opinione sul valore di una rivista di satira è un fatto personale, del tutto legittimo ovviamente, che viene molto dopo. Soprattutto, sta su tutt'altro piano. Altra scala.
Ieri sera su France 3, che in questi giorni ha sempre "Je suis Charlie" sui suoi programmi, è stato trasmesso il documentario Caricaturistes fantassins de la démocratie di Stéphanie Valloatto, in cui dodici vignettisti di tutto il mondo raccontano il loro mestiere. Plantu di Le Monde, ricordando di essere stato considerato di volta in volta islamofobo e islamofilo, antisemita e filoisraeliano, fascista e comunista e chi più ne ha più ne metta, dice: "Oggi il vero problema del caricaturista [ovviamente in Europa] non è tanto la censura, ma il politically correct. Questa falsa gentilezza, questa falsa uniformazione, questo falso rispetto: una maniera ipocrita di essere educati e corretti." Non riesco a non avvicinarlo al "Non giudicare" che va di moda oggi. Che detto così non vuol dire nulla, e fa semplicemente il gioco del più prepotente, del più menefreghista, e del più forte. Non dovrei dirlo, perché non ho letto il suo libro, ma Indignez vous mi sembra più interessante come motto. Perché implica una scelta e un'attività di comprensione, non il tacitare i propri dubbi, le proprie incertezze, le proprie legittime domande. Il silenzio uccide, il silenzio non è mai rispetto. Il silenzio è isolamento, o autoisolamento.
Mercoledì 14 gennaio Charlie Hebdo uscirà come al solito, in tiratura eccezionale di un milione di copie. La redazione decimata ha scelto di preparare questo numero con le sole forze restanti, malgrado le offerte di tanti disegnatori e giornalisti. Speriamo le copie vadano esaurite tutte. Brutto o bello, non è quello il punto. Nemmeno un po'. Qui la maggioranza lo dà per scontato. Da noi siamo assai lontani.
Continua.
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giovedì 11 dicembre 2014
Piccolo ululato di piacere
... post comprensibile solo a me, credo.
Sto perdendo una quantità di tempo insensata su un'edizione in latino disponibile unicamente online; tanta è l'ansia che faccio di tutto anziché leggermela. Quando finalmente, alla venticinquesima ora, riesco a mettermici su, e ad avere l'idea per avanzare un'ipotesi, e ho bisogno ovviamente di bibliografia molta ma molta, e tutta italiana, vado qui e ancora una volta vedo che c'è praticamente tutto. E mugolo di piacere e d'amore per questo meraviglioso paese.
Perché compra libri? No, perché è curioso. Abbastanza curioso da creare strutture dove chi USA i libri per costruire sapere possa trovarli. Enciclopedicamente. Del resto l'hanno inventata loro (sì, c'erano dei precursori ma non era la stessa cosa).
Perché amo solo i libri? No, nemmeno per questo, ovvio, persino stupido precisarlo. Perché è là dove si può essere curiosi, porre domande e sperimentare risposte, trovare fantasia e lanciarsi in ogni possibilità, ridendo di gioia, è là che si può amare e godere.
Ecco, siamo al panteismo libidico.
Meglio tornare al latino, va'.
Sto perdendo una quantità di tempo insensata su un'edizione in latino disponibile unicamente online; tanta è l'ansia che faccio di tutto anziché leggermela. Quando finalmente, alla venticinquesima ora, riesco a mettermici su, e ad avere l'idea per avanzare un'ipotesi, e ho bisogno ovviamente di bibliografia molta ma molta, e tutta italiana, vado qui e ancora una volta vedo che c'è praticamente tutto. E mugolo di piacere e d'amore per questo meraviglioso paese.
Perché compra libri? No, perché è curioso. Abbastanza curioso da creare strutture dove chi USA i libri per costruire sapere possa trovarli. Enciclopedicamente. Del resto l'hanno inventata loro (sì, c'erano dei precursori ma non era la stessa cosa).
Perché amo solo i libri? No, nemmeno per questo, ovvio, persino stupido precisarlo. Perché è là dove si può essere curiosi, porre domande e sperimentare risposte, trovare fantasia e lanciarsi in ogni possibilità, ridendo di gioia, è là che si può amare e godere.
Ecco, siamo al panteismo libidico.
Meglio tornare al latino, va'.
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sabato 30 luglio 2011
La lettura, di sera, tra donne
Notte di luglio fresca, freschissima, prima banlieu parigina. Una tredicenne (altissima), una quarantenne (piccolissima), una cinquantenne (riccioluta) sdraiate sui sofà davanti alla grande portafinestra spalancata che affaccia su un minuscolo giardino di rose rosse e bambù (più qualche erba aromatica nel vaso in fondo...). L'unico uomo della situazione, un diciottenne, è andato a dormire abbandonando Cyrano sul tavolino. Tisane di erboristeria, miele, cioccolata di quattro qualità. Lingua: francese. "Com'è il castello di Chambord?" per fortuna ho un libro sui castelli della Loira da prestare alla allampanatissima Laura. La quale comincia a leggerlo, poi a leggercelo, partendo dalle introduzioni storiche piuttosto approfondite. Facendoci sfilare davanti trecento anni di storia di Francia. Ogni tanto ci si pongono delle domande, a turno. "Cos'è una joute?", corsa di sopra a prendere il dizionario. "Perché Luigi XIV ha fatto confinare Fouquet a Chambord?". "Perché in Francia si studiano nello stesso anno gli Arabi e la seconda guerra mondiale?". "Luisa di Lorena era la vedova di Henri IV?" "Se Henri II è morto nel corso di un torneo amichevole come sarà stato uno non amichevole?". "Luigi XIII ha fatto il primo bagno a sei anni. Margherita di Valois, sua lontana zia passava le giornate nei bagni caldi. Cos'è successo per cui alla fine del XVI secolo le persone hanno smesso di lavarsi?" "Come mai l'architetto si chiamava Pacello?" "Perché in Toscana ci sono nomi così strani?". "Come sarà un riserva di caccia così enorme?" "Esiste un plastico del castello di Amboise?" "Esistono dei castelli in Italia?" "Perché i re di Francia facevano la guerra in Italia? Non gli costava un sacco di soldi?" "I nuovi manger e tecnici spesso non sanno scrivere un testo sintatticamente organizzato. Chi scriverà per loro tra venti anni? Dei nuovi umanisti?". Il tutto inframezzato dalle frasi del libro, che ci raccontano Chambord, Chenonceaux, Amboise, il castello che era "una vera e propria città".
Rientrano i padroni di casa e filano a letto, senza disturbarci. Noi continuiamo, fino a notte fonda.
Una bellissima serata.
Rientrano i padroni di casa e filano a letto, senza disturbarci. Noi continuiamo, fino a notte fonda.
Una bellissima serata.
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lunedì 28 marzo 2011
Mercurius in trivio
W la France. Come si fa a non dirlo? O a non ammirare questo paese? Stasera sono ancora qui a lavorare e capisco di colpo che non posso sopravvivere nello stato di attuale abissale incompetenza in cui mi trovo. Ho assoluto bisogno di consultare immantinenti aiuto la fondamentale opera Mercurius in trivio, libro mirabile di dottrina direbbe Guglielmo da Baskerville, ben noto a tutti tranne che alla sottoscritta. Trattandosi di libro italiano e pure parecchio specialistico, parte la frenetica consultazione degli opac nostrani, con tanto di strologamenti su quale bibliotecario paziente e amorevole andare a supplicare perché mi mandi subito le pagine che mi occorrono. Via, apri per l'ennesima volta la casella di posta, inizia a comporre il messaggio a quel compassionevole uomo che già tante volte mi ha soccorso con generosità, quando all'improvviso un lampo: ma ho consultato prima il catalogo più vicino a casa, come professione vorrebbe? No?? Noo??? Ma dove hai la testa? Ma per un libro così, tenta di osservare una vocina. Donna di poca fede!! Mai dubitare di lei o di loro e neanche di loro. Alla prima ricerca, non solo scopro che il libro c'è, ma che è disponibile a scaffale aperto, dalle 9 del mattino alle 20 di sera per cinque giorni su sette e il sesto dalle 14 alle 20. Non mi resta che aspettare ben dieci ore e tredici minuti per averlo in mano. La stessa cosa mi è già successa tre volte nell'arco di tre giorni, rispettivamente per un'edizione ferrarese del 1477, un trattato di diritto penale del giurista aretino Angelo Gambiglioni (non proprio Ken Follett...) e per gli annali di un tipografo milanese dello stesso secolo, un libro degli anni'50. Del resto, con quattordici, dico quattordici milioni di opere a stampa nelle collezioni, qualcosa ci sarà pure da scoprire.
Ecco, questo serve a spiegare perché si può davvero studiare in questo paese. E perché sarò grata per sempre alla Francia, alla sua idea di cultura e di servizio pubblico.
Con un solo augurio: quello di non dimenticarsene mai.
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