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Toulouse en érasmienne

venerdì 25 giugno 2021

Per Nicola. Il riso delle fragole d’una notte d’estate.

Aggiornamento: presa dalla prima parte del post ho omesso due particolari della seconda. Aggiunti. 

Correvo su e giù tutto il giorno senza sapere di essere stanco. I giorni sono tanto lunghi, e tiepidi, quando la neve è lontana e le piogge anche, ché se ti bagnano quelle poi i vestiti fanno freddo addosso e non ci si asciuga più. Allora anche la legna fuma, nel camino. Il fuoco è sempre piccolo e se ne va di corsa, portando il caldo con sé.

Adesso no. Adesso le capre brucano l’erba, le portiamo al pascolo e le api vanno a giro. Mi piacciono, le api, loro mangiano i fiori e portano un po’ di polvere di fiori ai loro piccoli. Io schiaccio e succhio il favo che si toglie dalle arnie.

Qualche volta mi si avvicinano ronzando: ma io non sono un fiore! Così mi metto a ridere e loro di solito se ne vanno. Le guardo da sotto in su degli occhioni grandi sotto la frangia scura.

E in questi giorni succede una cosa strana. Le stelle non arrivano. Quando è ora di dormire loro non ci sono. Io non ho sonno mentre la luce dura. C’è un azzurro lungo lungo che non finisce mai. Il cielo sembra cambiato. I contorni delle cose sono più morbidi: l’aria addolcisce il bosco, il prato, la nostra casa, la stalla, il viottolo laggiù. L’aria è tiepida, ci scalda senza bisogno che ti abbracci la mamma. La mamma che adesso dev’essere con le capre, finché la luce dura ancora.

A me piace correre in giro quando c’è la luce. Ci sono uccelli, animali, che si affacciano dal bosco. Traversano la radura, emettono i loro gridi. Poi piano piano arriva la luna. 

E poi in giro ci sono quelle cose rosse, profumate, succose, morbide, con i puntini duri. Riempiono la bocca di più bontà di quel che ci entra. Sono difficili da trovare, sono rare. Ma io so dove sono. La luce passa tutta dalla finestra, mi riempie gli occhi. Oggi non ho avuto tempo di cercarle le fragole rosse. Adesso però ne ho proprio voglia.  E la luce non smette di tenermi sveglio.

Rotolo giù dal lettino. Non c’è nessuno, soltanto la luce. Niente di strano se ho voglia di vederla più da vicino, di lasciar la casa tutta buia.

Il prato è lì; nel bosco tutto è al suo posto. Vediamo se il fiore del mattino è ancora aperto. Ne ho visti tanti oggi sul prato. Poi c’erano quei piccoli sassi colorati. Laggiù. guarda i ramoscelli nella brezza. Proprio nella direzione delle fragole. Là, dove iniziano gli arbusti. Mi avvicino. Non ci sono. Dev’esser passato qualcuno, forse un vicino. Vediamo un po’ più avanti. Ancora qualche passo. E ecco gli occhi nel bosco. Passano lunghe gambe delicate, frusciano più lontano delle grandi code. Arriva la luna.

E la luna m’incantò. Non era ancora buio del tutto, ma lei era lì. Si vedeva a tratti nelle radure del bosco. In una c’erano le fragole, e c’erano le ombre che danzavano. Non sapevo se mi vedessero, non sapevo cosa facevo. Se anche io danzavo, se osservavo. Le fragole di certo le mangiavo. 

Il sole mi svegliò il giorno dopo. Non ero nel lettino e il nostro prato non era lì vicino.

Dovevo camminare per ritrovarlo. Davanti a me si apriva un viottolo. ricordavo un viottolo così con il papà e le capre. Vedi, mi spiegava, le accompagniamo al pascolo. L’erba deve riposare, quando le capre ci sono passate sopra. Mangiano anche i rovi. « E le more? Le more mangio io.». Se le portiamo lontano, poi sapranno ritornare a casa? Ma il papà non rispose.

Il viottolo stavolta mi confondeva. Camminavo a lungo, le capre mi conoscevano, a volte le spingevo in avanti, o le riportavo insieme alle altre. Quelle piccole. Adesso sembrava tutto diverso. Avanti. Poi indietro. Ero stanco. Bisogna trovare una scorciatoia. Torniamo indietro per il bosco. Sembrava là, stanotte. No. Di qua. No. Chissà. Non trovo più le fragole. Ho freddo. Ho sonno. Fame. Piango, crollo dal sonno.

Al mattino lecco e succhio qualcosa di dolce sulle labbra. Erano venute le api, posandomi del miele sulla bocca. Così ricomincio a camminare, scendo  ancora più giù verso il fondo della valle, tra l’erba e i cespugli. Mamma. Mamma. Mamma. Mamma!

« Nicola! Nicola! Mamma! »

E infine mi arrotolo sul petto di un umano, le sue braccia arrotolate attorno a me. Il tepore del mio corpicino contro i vestiti leggeri, quella sensazione che nessun adulto può dimenticare quando un cucciolo si schiaccia contro di lui in cerca di riparo, di calore, di rassicurazione, d’amore.

Peccato che una sciocca convenzione abbia nascosto quegli o occhi così eloquenti sotto una benda mimetica di bit alterati. Quanto raccontavano quegli occhi, spaventati ma forti. Occhi che sanno di dover contare su sé stessi.

È andata così, Nicola?

Raccontaci tu.


Non avrei potuto scrivere nulla questa settimana, senza ricordare l’intrepido bimbo del Mugello e come festeggiò il solstizio d’estate. 

Per lui quindi il post del risotto di questa settimana, che il tema prescriveva all’olio, dopo quello burro e acciughe della settimana scorsa.

2 pugni di riso

Fragole

Cetriolo

EVO bio

Menta

Prezzemolo

Vino rosso

Mettere in infusione foglie di menta nell’olio per due giorni.

 Tagliare a sottili rondelle metà del cetriolo, metterlo in una bottiglia piena d’acqua, in firgorifero.

Lasciare entrambi per una notte.

Aggiornamento di sabato 26: Tagliare a pezzettini tre o quattro fragole. Metterli nel congelatore per qualche ora.

Frullare le fragole con il resto del cetriolo.

Mettere metà dell’olio alla menta in freezer.

Soffriggere il riso nell’olio alla menta, sfumare con poco vino rosso, cuocerlo con l’acqua di cetriolo. Subito prima della fine unire le fragole, poi un pizzico di prezzemolo. 

Alla fine: Unire le fragole del congelatore (si vedono i pezzettini nella foto). Mantecare con l’olio alla menta del congelatore. 

L’idea delle fragole e cetriolo e erbe viene dal libro di Domitille et Michel Langot, So fresh. Des fruits et des légumes de l’entrée au dessert, Paris, Seuil, 2005, p. 13, dove accompagna però un taboulé.

Trovo che il riso sia ottimo con il burro ma mi è capitato di usare per cuocerlo anche l’olio, soprattutto per risi con verdure di primavera. Il mio è un normale bio EVO di marca fatto con olive coltivate in Italia perché non faccio mai acquisti gastronomici... troppo costosi per me. E soprattutto perché da un anno non è più disponibile l’olio artigianale che usavo prima.



venerdì 18 giugno 2021

Sono come burro e alici!

 Non so se la battuta suoni proprio così nell’american-english del vecchio musical dove l’ho sentita da preadolescente, in una scappata al cinema con l’amica del cuore in un principio d’estate, tutte avvolte dai colori pastello, designare una coppia di divi estrosi e vistosi che entravano al cinema su quella ridicola guida rossa che negli USA dello spettacolo sembra rappresentare il colmo della raffinatezza e della notorietà. Fu il primo film che scelsi da sola, perché nella mia a miglia i gusti erano decisamente altri, più d’autore e d’avanguardia. Lessi la presentazione sul giornale in occasione di un restauro, dei musical ignoravo tutto, m’incuriosì, organizzai la cosa, ero sola in casa, uscii, e sentii confusamente di avere doppiato un capo nella mia vita. Alla mia amica la battuta rimase così impressa che la andò ripetendo per tutta la sera. Diventò un nostro modo di dire inseparabili, ben assortiti.

A rischio di farmi radiare dalla Creatrice, data anche l’ora in cui scrivo (ma sono uscita dal lavoro a un’ora insensata) confesso di avere una notevole difficoltà a maneggiare le acciughe. Primo perché detesto le lische, poi perché a me il pesce piace marinato, crudo, semicrudo, a maggior ragione quei pesciolini che si disfano in pochi secondi quando sono esposti al calore.

Ma sempre la creatrice, in uno dei suoi primi post dopo il vero confinamento dello scorso anno, aveva     decretato che una bella cena può anche essere pane, burro, acciughe e un buon prosecco (credo lo fosse, almeno). E quindi a partire da quella idea preparo il riso per i nuovi piatti alle acciughe della Creatrice.

Uno scherzo su burro e acciughe:

 Riso 2 manciate

Burro due noci, biologico e di buona qualità

Prosecco

Fumetto

Scorza di limone bio di ottima qualità (Amalfi ad esempio)

Cipolla bianca

Acciughe sott’olio di ottima qualità

Tritare la cipolla finissima, soffriggerla nel burro senza che prenda colore. Unire e tostare il riso, sfumare con il vino, portare a cottura con il fumetto caldo che per fortuna avevo di scorta.

Nel frattempo mescolare alla seconda noce di burro 1 acciuga tritata molto finemente, passare in freezer. Tritare abbondante scorza di limone. Ungere di burro bianco uno stampino e foderarlo con un filetto di acciuga a metà altezza. Metterlo in freezer.

Cotto il riso, mantecare con il burro all’acciuga. Unire poi le scorze tritate. Pressare nello stampino, rovesciare su un piatto, decorare con filetti di acciuga arrotolati, sferette di burro freddissimo e filetti di scorza di limone.

Tutto uno scherzo su burro e acciughe, appunto. Ma se gli ingredienti sono di buona qualità il risultato si fa mangiare e le scorze di limone aggiungono un aroma tra il fresco e l’amarognolo piuttosto insolito. 




venerdì 11 giugno 2021

Ma non me lo mandare alle undici di sera! Il risotto emozionato.


 

Protesta giustamente la creatrice. E io ci provo, ma il risultato è un mezzo disastro. Forse perché mi manca il mare in cui fare un tuffo in questi giorni di afa, prima di dedicarsi ai fornelli.

I due versi della canzone sono per me molto criptici. Non la conosco e quando vado a cercare il testo mi sembra uscito da una penna alquanto depressa. Ecco, se mi devo mettere a elaborare una ricetta sulle emozioni preferirei evitare il blues.

Stupore e meraviglia è quello che ho provato davanti al risotto strano di Cristina. Il blu è il colore più lontano da ciò che è commestibile e il suo riso è proprio blu. Divertimento e stupore come quando da bambini si scriveva con il succo di limone è ancora quello che ho provato quando l’ho vista macchiare di viola il blu.

Sicuramente una ricetta emozionante.

Così ho deciso di rifare il riso blu.

Solo il riso perché la decorazione di fiori di aglio non l’avevo. Da queste parti i campi aglio si scarseggiano. Ne è uscito un esperimento cromatico più che un piatto, ma va bene lo stesso. Volevo riprodurre l’emozione del blu, della magia del viola e quella c’è stata. Per il resto, alla prossima puntata.

Riso

Aglio sbollentato e ridotto in crema 

Formaggio erborinato 

Vino

Aceto di mele

Foglie di cavolo viola

Fare il brodo di cavolo partendo da acqua fredda. Riempire tre contenitori con brodo più o meno intenso. Se si usa un brodo troppo cotto quello cuocendo ancora fa diventare il riso viola e non blu, come ho visto a mie spese.

Tostare il cumino a secco, poi il riso, cuocere con il brodo blu. Finire con una noce di formaggio e l’aglio. Nel piatto, versare vino e aceto. Siccome con blu e viola ci vuole un punto di rosso, decorare con una fragola dalla sfumatura vivace.



domenica 6 giugno 2021

Le viol

 Je ferme les yeux. Oui, moi aussi j’étais une marche en dessus de lui. Oui, moi aussi je me souviens de ses doigts dans mon vagin. Non, il ne m’avait pas ôté ma culotte d’enfant, de petite fille, blanche, en coton épais, petit plissé, un brin de dentelle tout autour des cuisses. Il l’ avait écartée tout simplement, puis il avait enfoncé son doigt. Il me paraissait énorme, mais il ne s’en satisfaisait pas, il avait commencé à y mettre un deuxième lequel? Lesquels? Je ne le savais pas, je ne saurais pas dire. Il essayait de l’enfonçer encore plus, mais je sursautais, son doigt me brûlait terriblement ma muqueuse s’irritait elle me faisait mal, non LUI il me faisait mal, je voulais l’éviter, partir, je voulais qu’il arrête, qu’il me laisse, mais, les adultes ne sont-ils pas toujours incompréhensibles dans leurs demandes et une enfant n’a-t-elle pas l’obligation d’être polie? 

J’avais les yeux fermés car il avait rapproché son visage du mien, il n’avait pas eu égard de mes lunettes ou les avait il même retirées? Il avait saisi mon menton, il m’avait emprisonnée mise dans une cage, faite avec ses mains, avec ses bras, sa force, ses lèvres humides qui collaient contre les miennes, sa bûche serrée pressée sur la mienne, j’étais censée l’ouvrir, mais là, je ne pouvais pas. J’arrivais à résister, je parvenais à m’opposer, à manifester mon refus, mon opposition à garder une partie de moi vivante consciente, même si je ne comprenais rien à ce qui se passait. Il continue à enfoncer son doigt, il a compris qu’il n’arrivera pas à en mettre deux, moi je n’arrête pas de sursauter et dans l’espoir de m’échapper je recule sur les escaliers les marches en marbre sont larges mais j’arrive enfin à me mettre le dos au mur, le mur blanc et frais, et puis je monte à recul, pour arriver à me soustraire à cette étreinte perverse et brûlante.

Et donc toi, toi m’avais emmenée là bas, là où j’allais rencontrer mon bourreaux et toi n’avais même pas eu l’empressement de descendre ces maudits marches que je n’aurais jamais connues si tu seulement m’avais laissée vivre dans ma famille, ma grand-maman, mes grands parents adorés et adorables. Toi je déteste je suis en colère contre toi, toi, toi. Toi tu m’as empêché de vivre, de parler, de ressentir ce que je ressentais toi tu es arrivée à m’engueler parce que moi je ne m’étais pas opposée à quelqu’un qui faisait de choses incompréhensibles pour une petite fille de moins que neuf ans. Je n’avais pas les mots et je ne les ai toujours pas. J’ai du faire tous ces détours pour reparler pour arriver à cela.

Mais, ce n’était pas fini.

Tu a commence à m’appeler: « L., L. pourquoi ne montes-tu pas? » « Maman, maman » je n’arrivais pas à en dire plus. Il avait dit qu’il était médecin, les médecins font toujours des choses douloureuses aux enfants, il faut pas se révolter, car eux, ils savent ce qu’ils font.

Mais là, il recule, il me laisse monter, je pars, échevelée - ma coupe courte, car toi, tu l’aimais ainsi, moi je n’avais pas vraiment le choix entre aimer ou pas aimer.

Je monte, je déteste ce long escalier qui me fatigue, qui n’existait pas chez les grands parents. Je monte et tu enfin, tu descends. Dans ta main un petit marteau, le seul que nous avions chez nous.

Tu avais eu peur, tu étais prête à te battre comme toute maman qui protège son petit.

Mais tu étais tellement bouleversée que ton angoisse est devenue pour moi un signe de plus que c’était de ma faute. Que j’avais fait quelque chose que je n’aurais pas du, et que si quelque chose d’horrible s’était passé, c’était à cause d’un faux pas de ma part.

Contrairement à d’autres petites filles violées je n’ai jamais oublié ce qui s’était passé. Mais je n’ai jamais pu dire, car les mots ainsi que la conscience me manquaient, jusqu’à une époque très recente, à quel point cette agression sexuelle avait été horrible et quel traumatisme avait elle provoqué en moi.