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Toulouse en érasmienne

venerdì 31 dicembre 2021

Tanti auguri a me

 Eh, già, perché oggi è anche i mio compleanno! E mentre me ne sto a casa tranquilla con antibiotico in attesa del risultato del secondo PCR (il primo, negativo, secondo il medico l’avevo fatto troppo presto, quindi siamo a due) arriva il delizioso vicino, mascherato, con una coppa di champagne. E in un negozio mi hanno regalato un barattolino di miele.

Parigi è così: tutto si muove, sempre, e qualcosa succede, sempre.

E io l’amo. La France, c’est mon âme, ho detto il 31 dicembre di due anni fa. È sempre vero.


 

mercoledì 29 dicembre 2021

Punire il no dà

 Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del no dà.

È uno spettro terribile: basta farne il nome per veder scomparire i blog. Chi ne ha, racconta che accada lo stesso ai propri profili social. Sarà quindi colui che noi non nominiamo. 

Ma cosa fa di tanto terribile codesta entità innominata? Svuota i conti in banca, grave delitto? No. 

Spara alle persone? Tira bombe dalla sua divisa con mostrine e bandierina? Neanche.

Entra in un teatro e sfodera il mitra? Pare di no.

Getta a terra le vecchiette con la borsa della spesa? Non risulta. 

Inquina laghi, mari, monti, atmosfere? Neppure.

Sversa rifiuti industriali nei corsi d’acqua? Non vi sono prove.

Traffica materiale pedopornografico! Ebbene, non sembra particolarmente interessato.

In dubio, pro reo? eh, la fai facile!

Sembra che faccia una semplice cosa: non fa qualcosa che non è obbligato a fare. Grave presunzione. Lo obblighiamo? No, eh, quello no... Gli rendiamo difficile non fare quello che per legge si può fare. 

Peccato che tra i simpatici modi per punire chi non disubbidisce ci sia la fenomenale trovata di rendere complicato e costoso fare i tamponi molecolari (PCR-RT). Ovvero, si rende difficile, lento e caro  l’accesso al principale e più sicuro metodo diagnostico di una patologia tuttora senza terapia accertata e con metodi di prevenzione dall’efficacia ancora non chiara, il tutto nel bel mezzo di una recrudescenza epidemica.

Géniale, no? Voi non ci sareste arrivati di certo. Io, di certissimo.

Quindi: ritrovati con sintomi in una città in cui non hai un medico di base, ma di cui ti ricordi perfettamente che un anno fa, quando codesta giovialata senza senso del lasciapassare è stata escogitata, aveva una rete di punti prelievo nei municipi dove entravi e senza alcuna domanda se non la ragione per cui ti serviva (viaggio, sintomi, guarigione o altro) passavi direttamente al prelievo, senza file e senza attendere un solo minuto. Francese o no, assicurato o no, prescrizione o no.

Chiaro? Civile, si direbbe. Soprattutto logico, dato che la diagnosi precoce rimane il miglior mezzo di prevenzione, raccolta dati e contenimento del contagio e quindi più la gente ti arriva da sola a farsi testare, meglio è.

Oggi no: oggi lo scopo principale è punire il no dà. Quindi ritrovati con sintomi e una discreta fifa a cercare un laboratorio che ti faccia il test, mentre i punti pubblici sono stati smantellati. Quasi tutti i laboratori funzionano solo su appuntamento e non hanno posto prima dell’anno prossimo. Io intanto ho male al petto e inizio a dare qualche colpo di tosse. Intendiamoci: sono sensibilissima a qualsiasi virus respiratorio che circoli e per questo ho poca indulgenza verso coloro che non hanno ancora assimilato l’adagio tutti siamo utili, nessuno è indispensabile e se ne vanno in giro raffreddati infischiandosene allegramente delle conseguenze per gli altri perché loro « Anche con 38° di febbre me la sono sempre fatta tutta in piedi. » andassero al diavolo e ci restassero. Lo scorso anno gente in quelle condizioni non usciva di casa e non en abbiamo patito, nossignore. Quest’anno vedi in giro persone che si strappano la gola dalla tosse e nessuno dice niente perché quella sana, utile e poco dispendiosa regola è scomparsa come altre cose di buonsenso.

Vado alla mairie e trovo che la sede è stata trasformata in un lungimirante quanto indispensabile centro per l’educazione climatica. Vado a un secondo indirizzo e lo trovo diventato un centro vaccinale. Sul muro ci sono appesi gli indirizzi di due laboratori, dove mi precipito: uno sta chiudendo e mi invia a un altro ben più lontano, dove per fortuna non vado. Provo con l’altro letto al centro vaccinale: il numero civico è sbagliato. Mi ricordo allora di avere letto il nome di un altro laboratorio ancora, ci riprovo. Gentilissimi mi spiegano che loro funzionano solo la mattina, ma mi danno il civico giusto del laboratorio che avevo cercato invano e che funziona il pomeriggio. Arrivo, c’è una coda considerevole, mi piazzo lì e aspetto, considerando che almeno per il momento non devo avere tempeste di citochine nei polmoni perché mi sono fatta a piedi Hôtel de Ville-Bastille-République-Bastille-République in due ore con tanto di sintomi che ogni tanto mi fanno pensare di cadere per terra. Mi sono fatta anche una bella sudata e questo aiuta. 

Ora, come ognun sa, mettere una persona raffreddata al freddo in coda in piedi è esattamente quel che ci vuole: ragionevole e profittevole. MA noi dobbiamo punire il no dà! E poi di che ti lamenti: ti abbiamo dato l’occasione di mettere una volta di più alla prova la tua capacità

Quando passo 



sabato 25 dicembre 2021

Di come cinque francesi, un senegalese, un’antillese e un’italiana decisero da idioti di sfidare il Covid

Aggiornamento: da ieri, sabato 25 ho mal di gola e pure al petto. Presumo che non c’entri o è il Covid più fulmineo del globo. Comunque non so se ridere o piangere. Speriamo bene...

... cantando. Al chiuso. Proprio la cosa più rischiosa che potessimo fare. Da incubo!

L’italiana, che è fifona, e al chiuso con più di una persona si converte all’Islam piuttosto che smascherarsi,  non si schiavarda di un millimetro la FFP2 dalla faccia e mugola così. Gli altri tutti smascherati, cantano tranquillamente per un paio d’ore. L’italiana pensa al furor franciscus e tace, sperando molto che il cielo gliela mandi buona.

Dunque: questo Natale per me quasi non è esistito fino all’ultimo minuto, per motivi che chi si prenderà la briga di leggere gli ultimi cinque o sei post capirà facilmente. Poi arriva un invito che lei accetta con gioia. Programma: canti e cena, in due case diverse ma con le stesse persone. Lei vorrebbe andare, ma ha una gran paura di beccarsi qualcosa. Perciò spiega che lei non si spoglia di maschera: « Vieni mascherata se vuoi » è la risposta.

L’italiana impara a brindare in meno di un minuto e a ricoprirsi di corsa, e soprattutto ancora una volta si sente sommersa d’amore per questo paese in cui tutti sanno cantare e leggere la musica, suonare, e quando si dice che si canta, si canta sul serio un pezzo dall’inizio alla fine e con convinzione, senza quelle cose mosce che si sentono in Italia, stonate e finite a metà. 

Quindi: due prove e poi si canta il pezzo dall’inizio alla fine. Mai avrei pensato di poter aver la gioia di cantare Rameau.

Dalle fette di barbabietola guarnite ai rotoloni di aringa polacca, kumquat a cioccolata, da Pasternak a Tuchacevski, da Draghi all’avanzo primario, i gas della guerra civile russa, il perché e il come della burocrazia stalinista, la figlia della prozia seduta sugli archivi dei partigiani durante una perquisizione della banda Koch, ancora una volta si srotolano le questioni mai assimilate del XX secolo.

Mai passato un Natale più tradizionale e laico insieme di questo e allo stesso tempo più rispettoso dello spirito originario della festa. Non è chi non veda come quel che si festeggia sia lo scorrere delle stagioni, il solstizio d’inverno e la rinascita del sole, la luce che comincia a ritornare poco a poco sulla terra. Mitra, Gesù, sono credenze infilatesi a forza per profittare della spinta a festeggiare con alcuni giorni di tempo sospeso (le dodici notti) il ciclo astronomico e stagionale in cui il lavoro rallenta e i ritmi della vita con lui prendono respiro. 

 L’amica che ha organizzato la serata ha in famiglia la tradizione del Natale canoro. Essendo però totalmente atea marxista e laica, ha riorganizzato il repertorio a modo suo, concludendo, in omaggio a me, con Bella ciao. Tocca a me spiegare l’origine di canto di lavoro e tradurre le strofe.

Ah, sì: siamo tutti vaccinati, per quel che vale.

Al ritorno mi ritrovo a rendere omaggio al Lion de Belfort che è giusto dietro la casa dove poso in questi ultimi giorni. Ritorno a casa contenta, incrociando qualche passante che rientra anche lui, carico di pacchetti: mi è piaciuto festeggiare, se non ci saranno conseguenze, è stata una bella serata.

Buon Natale.

mercoledì 22 dicembre 2021

Professionisti

 Rubare il cellulare al magistrato durante il processo è un bel colpo.

La risata di fine anno.

giovedì 16 dicembre 2021

Riso di Natale in bolletta

Ammetto che il mio risotto non evoca particolarmente Natale da un punto di vista gastronomico. Per essere sincera, non ho mai conosciuto un Natale più in bolletta di questo.

Natale per me è l’assicurazione della macchina. Solo quest’anno è scesa sotto i cinquecento euro. Siccome i dipendenti pubblici, si sa, vivono a champagne e feste, è da quindici anni che questo pagamento mi manda all’aria il bilancio del mese. Quest’anno bisogna aggiungerci il destino della cauzione per l’affitto dei mesi scorsi in Francia. L’agenzia ha confermato il suo carattere predatorio, attribuendomi una serie di guasti opinabili, soprattutto quello provocato sul piano della cucina dall’operaio venuto a aggiustare una perdita del precario impianto idraulico. L’operaio aveva detto che avrebbe comunicato all’agenzia di essere stato lui, ma l’agente ha cercato comunque di dare la colpa a me. Siccome in Francia ho sempre incontrato persone molto oneste, mi sono fidata e ho fatto male, a quanto pare.

Sicché devo vivere fino all’Epifania e fare il viaggio in Italia con quasi niente, per poi aspettare lo stipendio alla fine di gennaio. Lasciandomi dietro almeno trecento euro di debiti verso persone più oneste dell’agenzia, e con il patema per le spese che non posso onestamente rimandare e per il viaggio. E non ho voglia di ricorrere alla famiglia per un finanziamento supplementare, per di più, da quando mia madre si è ammalata, devo anche passare per altri.

Quindi: niente albero, proprio quest’anno che avrei finalmente avuto uno spazio per farlo, e meno male che non l’ho comprato appena l’ho visto - la lunga abitudine a risparmiare e rimandare qualsiasi acquisto per non cedere all’impulso ha giocato, trenta euro messi da parte.

Niente estrazione del dente che mi fa male da ottobre, speriamo in Italia di riuscire a farla gratuitamente all’ospedale.

Niente tastiera nuova della tablette e chissà fin quando riuscirò a far funzionare questa, che spesso e volentieri si fa d’ombra e non comunica più con l’apparecchio.

Niente menu natalizio, e speriamo che non abbia inviti fuori, perché pagare il conto potrebbe essere imbarazzante.

Niente serate al teatro di corte a Versailles, dove danno in questi giorni una serie di opere sconosciute sei e settecentesche che in Italia non ascolterò mai più e che adoro.

Niente compleanno, che sta per arrivare e che appunto avrei voluto passare all’opera...



Neppure niente indulgenze verso i meravigliosi banchi del pesce, del formaggiaio, del rosticciere, del pasticciere che occhieggiano da tutti i portoni della via della nuova abitazione. Niente datteri freschi e stillanti di succo mielato. Niente meravigliose pere né succo di mela appena spremuto. Niente amata choucroute. In Francia qualsiasi negozio di alimentari minimamente curato è una gioia degli occhi e del palato e la qualità media dei prodotti è decisamente migliore perché più artigianale. Pranzi a panini casalinghi, con scatoletta di tonno del supermercato mischiata a verdure sbollentate. Ecc. 

Ma non voglio guastare il Natale agli altri. Dopo tanto tempo senza partecipare, in un periodo popolato da pensieri piuttosto cupi, volevo comunque fare qualcosa per gli ultimi appuntamenti dell’anno. Prima di questo brutto annuncio, ero stata in pescheria. In pescheria non bisogna andarci con un’idea, solo con curiosità. In pescheria è il pesce che sceglie il cliente, non il contrario. E mi aveva scelto Lui. Lui è un pesce, ovviamente. Era freschissimo, enorme e lucente. 



Un cefalo dorato, a pulirlo. Anzi, una.



Interviene la Creatrice, che mi dice appunto che di cefalo si tratta, « mulet noir » dicono qui. Sarà il mio maiale: non si butta via niente.

Ci sto mangiando da un pezzo. Nello sportello del ghiaccio ancora un paio di porzioni. 

 Le uova, una sacca finita sotto sale, l’altra, rotta, in frigorifero.

Testa, pelle e lisca con verdure, alloro e rosmarino a fare un fumetto. Sarebbe stato molto bello poter metterci il raccomandato ginepro. Ma oggi che si ritiene di non avere niente in cucina se mancano tre tipi di cumino, non si trovano più né ginepro né maggiorana fresca, per non parlare del levistico, della santoreggia e di mille altre erbe di cui possiamo solo fantasticare. Un peccato.

Riprendo la sua idea e ne faccio un risotto. Come sempre, con quel che c’è.

Anzi, no. Lo scalogno, lo compro. Vado apposta in un negozio e lo compro insieme al latte. Uno solo. La commessa, africana, mi guarda e mi dice: « Uno scalogno? » Mi impappino, eh sì io non lo uso mai, ma mi serve per una cosa... Lei mi guarda con l’aria di chi la sa lunga. Non so se sia lo zaino sdrucito (sdrucito perché artigianale, ma non perché sia decrepito, non esageriamo!), fatto sta che mi regala lo scalogno. E poi mi fa pagare con la carta, e mi tende due caramelle di zucchero d’orzo che ha li’ alla cassa, lasciandomi confusa a morte, ma una volta di più éperdument innamorata di questo paese, malgrado gli imbroglioni dell’agenzia. 

Oui, mais à Paname, tout peut s’arranger...



Riso, 2 manciate

Finocchio, 2 falde esterne a dadini

Uova di cefalo

Fumetto di cefalo (io, ma direi che anche altri vanno bene)

Burro salato, 2 noci

Latte q.b.

Scalogno 1/2

Scorza di arancia

Alloro

Uova di cefalo sotto sale, a fettine 

Scaldare una noce di burro, insieme a abbondante scorza di arancia e alloro. Unire lo scalogno tritato, quando è lustro il finocchio a dadini, poi il riso. Portare a cottura con il fumetto di pesce. Sciogliere le uova di pesce in poco latte e unirle al riso poco prima della cottura. Mantecare con la seconda noce di burro salato, ben freddo. Servire con altre scorze di arancia e con fettine di uova salate. 

domenica 12 dicembre 2021

No, ma mi raccomando, il privato è sicuro e efficiente, mica come lo stato. Lo chiede la UE e i cocci sono nostri.

 À noi restano sindaci che chiedono aiuto per ruspe e pale. Sì, pale.

Eni « delisting » Italgas. Le privatazzazioni dell’amato Prodi.

Ma che bravo.

Ponti che crollano, tubi che scoppiano, cavi che saltano. Manutenzione che non rende, quindi non esiste. Sicurezza che costa, quindi neutralizziamola.

Ma che bella la privatizzazione dei servizi pubblici di marca UE. Delle aziende di stato, quando la nazionalizzazione dell’energia è stata una delle grandi conquiste degli anni gloriosi.

Ma come siamo moderni noi unionisti, noi. Così attenti a ciò che accade ai poveribimbidell’Africa, noi tutti adozioni a distanza, da non voler sapere più cosa accade qui, anche agli asiatici o africani, come mostrava qualche post fa. Che poi, i salari, che cosa volgare. Quanto è più facile parlare di clima, che lo sappiamo tutti il caldo che fa in case di cemento, come si fa senza l’aria condizionata, signora mia.

Come son brutti, ignoranti, rozzi e reazionari quelli che non ne vogliono sapere di questo mondo. 

Quanto siamo superiori, noi che sappiamo, noi che finalmente siamo le odierne contesse. Noi.

martedì 7 dicembre 2021

Dov’è l’usurpator?

 Forse nel nuovo contratto dei dipendenti pubblici che il governo sta preparando via Aran.

Non avevo mai ascoltato tutto Macbeth, per via della mia antipatia per i fantasmi, le streghe e per Verdi. Siccome però ascolto ogni volte che ne ho la possibilità l’inaugurazione della Scala, stasera l’ho fatto. Direzione elegantissima, musica misuratissima. Ogni tanto compare un fantasmino, qualcuno ha una visione, ma in fondo si tratta di persone molto educate e misurate, anche quando si pentono di avere ascoltato i consiglieri dell’inferno o scannano a destra e a manca. 

Una bella serata musicale, bei suoni, esecuzione piacevole. Una sorpresa.

giovedì 2 dicembre 2021

Al di fuori: la famiglia di X

 Continuare questo cammino di orrore non è facile. Tante cose sfuggono, tante cose svaniscono, se non le si fissa subito e non sempre si riesce o si può recuperare le parole. Mi sento in una battuta di arrresto, ma so che ci sono altre cose che devo mettere in ordine per riuscire a scriverle. Che si devono mettere in ordine, perché tutto questo non è fatto in modo razionale. È un magma che esce, viscoso, lento, invadente e coprente, crosta grigia, sotto è fuoco rosso e la fatica è tale che non riesco a portare avanti altro. Spossatezza. Soltanto quando non riesco a esprimermi, sprofondo in internet cercando non so cosa per allontanare quel che non riesco a dire.

Per il momento quello che esce dalla memoria mi frusta come se fossi in colpa, per non aver fatto abbastanza, per avere avuto paura.

X è il nome della persona che, adulta, ho più amato al mondo. Rapporti con la sua famiglia, di ceto medio alto, colta, progressista, nella generazione dei genitori e zii più alcuni cugini cattolica praticante e impegnata, inclusi una suora e un prete, formalmente sereni. Piccole onde, allusioni, una lontananza ricercata a suo dire, facevano pensare a un non detto, forse anche a una collera. Strani discorsi su suo padre, sua madre pareva un fantasma di cui non aveva alcuna stima.

La prima volta che andammo a trovare i suoi genitori, mi alzai per andare in bagno all’alba. Sentii dei rumori provenire dal soggiorno e convinta che qualcuno avesse dimenticato la televisione accesa la sera prima, aprii la porta per andare a spegnerla. Il padre, sveglio sempre molto presto, stava guardando un film pornografico. Feci del mio meglio per far finta di nulla, spiegare perché ero entrata e battere in ritirata. Dopotutto se uno all’alba vuole passare il tempo così, fatti suoi. quanto a me, io torno a dormire.

Ma qualche anno dopo, in pieno giorno, io sono nella vecchia camera da letto di X, dove era rimasto un vecchio schermo di computer dismesso, con una cassetta pornografica che va. E in giro ci sono i suoi nipotini, di cui il fratello ha appena iniziato le elementari e la sorellina va all’asilo. La madre di X capisce cosa sta facendo il marito (stavolta non da solo all’alba, ma con due nipoti bambini piccoli e una nuora in casa di domenica mattina) ma non sa spegnere il registratore, copre lo schermo con uno straccio e va a cercare X perché lo spenga, all’insaputa del marito. Entro io, e allo stesso momento entra la bambina. Io mi metto tra lei e lo schermo. Poi arriva qualcuno, forse proprio il padre, io tengo la posizione, esce la bimba e infine giunge X che spegne, spiegandomi che cosa fosse successo e ascoltando senza commenti quello che racconto io, un po’ perplessa da questo modo di procedere in presenza dei nipoti.

Io non avevo detto nulla a X di quel che avevo visto durante la nostra prima visita. Mi sembrava indelicato , anche se venne poi fuori che sulle abitudini del padre ne sapeva ovviamente molto più di me. Tornata a Roma, avevo scritto quella che mi sembrava essere una lettera di cortesia per ringraziare dell’ospitalità. La madre di X si era dimostrata in quell’occasione una delle persone più accoglienti della terra, e non fosse stato per quell’episodio che tutto sommato poteva rientrare in una mia improvvida invasione nella sfera privata altrui, suo padre era una persona interessante. La domenica mattina avevamo ballato con i nipotini mentre suonava l’organo del salone. Molti anni più tardi seppi che il padre di X aveva preso malissimo quella mia sincera lettera di ringraziamento e aveva avuto il buon gusto di dirglielo. “È come se volesse dirci: ‘Io osservo. Guardate che io osservo, eh.’ ” Magari un filino di sensi di colpa per essere stato sorpreso da una nuora guardando accoppiamenti da dietro, no, eh? Meglio colpevolizzare lei e soprattutto farlo sapere a X. Cobra. Maiale e bastardo, detto papale papale, specialmente con quel che mi è capitato di vedere in seguito. Ma non ho mai avuto il coraggio di dire a X quale causa avevo pensato che potessero avere quelle frasi di suo padre.  

Un paio di anni dopo la scena dello straccio, sempre occasione di famiglia, tanti bambini in giro e una quasi adolescente, dal fisico infantile, un po’ grossa, già con qualche forma ancora un po’ goffa, capelli folti e occhi neri entrambi molto belli. Subito prima di pranzo, trovo il padre di X sdraiato di traverso sul letto della ex camera della sorella di X, con intorno tutti i bambini. Accanto al letto, accosciata per terra davanti alle sue gambe semiaperte la ragazzina, la testa china in avanti, mentre lui infila due dita tra i capelli a massaggiarle la nuca e poi scende sul collo e si fa largo nella scollatura dietro, verso le spalle e sui trapezi mentre lei rovescia la testa indietro con l’aria completamente persa. In particolare spinge il dito medio, che essendo lui un omone è spesso e largo.

Si sa che il massaggio è un’esperienza molto piacevole, anche sensuale. Sto proiettando il mio turbamento su di loro? 

Quello che non mi torna sono le loro espressioni. Troppo eccitate, gli occhi semichiusi, quasi arrovesciati, la faccia di lui, quella di un dominatore su una “vittima”, qualcosa che si sente alla propria mercè. Quello non era un massaggio normale. Dati i precedenti della cassetta con nipotina in giro, la cosa mi piace sempre meno. Non mi scollo di un millimetro, finché non si va a pranzo.

La ragazzina inizia con slancio e entusiasmo le superiori in una scuola di sua scelta. Qualche tempo dopo è un disastro: non riesce più in niente, le fanno cambiare scuola. Per caso la rivedo, cerco di farla parlare. Dice di rendersi conto che quella scuola non va bene per lei. Il che può essere dopotutto. Tento di spiare nei suoi occhi, perché la sento trattenere qualcosa. Potrebbero essere solo il disagio e il fastidio di subire un interrogatorio da un’estranea, dopotutto. Perfettamente plausibile. La sento molto matura, come qualcuno che abbia in sé qualcosa di enorme, e guardi il mondo con occhi distaccati da tutto. Cambiare scuola può causare anche questo, no? Perfettamente plausibile.

Racconto a X quello che ho visto. Lì accade l’incredibile. X non mi manda al diavolo, non mi accusa di avere troppa fantasia, non mi dice che sto facendo del male, non difende suo padre. No.

X annuisce. 

“Cose tipo massaggi... no?” Eh, X, come fai a saperlo? X non risponde. Non risponderà mai.

Una cosa però l’ha detta, in un altro contesto. Il ricordo di essere in piedi su un tavolo, appena fatta la doccia, in accappatoio, poi senza. Suo padre l’asciuga, poi si informa se si masturbi e come vada. E poi? Com’è finita, X? “Non so, non ricordo.” Perfettamente plausibile.

E la sorella di X, madre dei bambini di cui sopra che dice, un giorno, scuotendo la testa con aria estatica, gli occhi brillanti, eccitata: “Mio figlio sta diventando talmente bello che io ho quasi paura a lasciarlo là. Paura che succeda.” Il bambino ha sei anni. E X che dice a me: “Y (nome della sorella) ha una teoria. Che succeda a tutti, alle bambine, che si facciano delle cose così”. Così come, X? Perché la teoria che tutte le bambine siano violate dal padre è la prima ipotesi di Freud, poi abbandonata a favore della teoria dell’Edipo. Non è di tua sorella che non ha studiato psicologia peraltro. X non spiegherà mai.

Ora.

Lanciare accuse del genere verso una persona, sia pure deceduta, non è un gesto da prendere alla leggera. Quando parlo di cosa è capitato a me, so. Sento ancora le mani di quegli uomini che me le misero addosso, le loro dita, ricordo i loro volti, le loro parole, il timbro delle loro voci. Sento ancora il disgusto in gola, la rivolta nel mio corpo e soprattutto la paura. La voglia di rivolta e l’angoscia che lo impedisce: ho davvero diritto o no? Sta davvero accadendo qualcosa di male, o sono io che vedo sempre tutto nero? 

Ma per quello che si è soltanto visto, intuito che potrebbe essere stato fatto agli altri, quanto credito dare alle proprie intuizioni? Anche adesso che lo scrivo, pur essendo da sempre convinta di quel che ho visto, ho fatto di tutto per trovare giustificazioni, per analizzare anzitutto le mie motivazioni, le mie paure, le mie ritrosie, la pruderie, le mie eventuali proiezioni. 

La prima volta che ho tentato di mettere delle parole su questo insieme di circostanze, non ce l’ho fatta. Letteralmente. Avevo la testa che scoppiava dalla necessità di dire e le parole che mancavano. Non potevo articolare. Ancora dopo avere scritto tutto questo non riesco a coniugare l’esplosione di energia verbale che premeva sulle labbra come tanti piccoli scoppi con le parole adatte per dirlo, che non ho tuttora trovato. Il silenzio chiudeva la lingua mentre i suoni premevano sulle labbra per uscire, ma non erano mai quelli buoni: come dire quel che non si può dire? Come darsi fiducia al punto di parlare dell’indicibile, di accusare? In che direzione andare? Da dove cominciare?

Eppure il bisogno di parlare preme. C’è qualcosa da dire, ma come collegare la cosa alle parole che diano  un senso, e quale? Lo so quale. Ma quali parole? Una strana paralisi di ciò che connette l’esperienza al linguaggio. Qualcosa che non si può accusare.

Ma non si guardano film pornografici con dei bambini per casa in una stanza di passaggio, con estranei ospiti, o, se proprio si fa, si spegne quando arriva qualcuno, non si lascia il video andare. E tutti hanno l’aria di sapere che accade qualcosa, ma nessuno, tranne forse la madre di X e Y, la nonna dei bambini, si adopera per fermare, per evitare. E in qualche modo inadeguato, io. 

Noi due siamo quelle al di fuori della famiglia. (Un giorno mi racconterà la fatica che aveva fatto per mostrarsi nuda alla prole, come voleva suo marito, ma non lei.) La famiglia ne terrà sempre conto.