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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

mercoledì 25 marzo 2015

Variazioni

Tre domande fatte. Rigorosamente l'ultimo giorno, ché se no manca di pathos.
Probabilmente inutili, ma è già tanto essere riuscita a spedirle.
Ora, di due m'importa relativamente, ma una. Una sarebbe il sogno dopo cui morire felice. O vivere nell'empireo, ecco.





Una relazione spedita, con soli 25 giorni di ritardo. Spero gli vada bene ché non ne voglio più sentir parlare.
Mi sono anche divertita alla fine, ma è stato un impazzimento.




Un'altra relazione da spedire con non so quanti giorni di ritardo, perché non l'ho nemmeno cominciata, ma almeno venticinque + 1 :-/.



Un lavoro rognosissimo e che non mi piace che mi hanno appioppato e a cui non ho potuto dire di no.
Il panico se penso che tutto questo avrei dovuto farlo, nella mia testa utopica, prima di Natale. Prima di essere sommersa da un diluvio, poi di trovare una barchetta.
La voglia irefrenabile di scapparmene a seguire per un po' le mie faccende che giacciono dimenticate.

Che fra poco più di un mese mi tocca il purgatorio italiano e che ogni volta è più difficile tornare.

Ma stasera almeno il fardello è più lieve.
Alleluja! Come canta(va) Diana Damrau, ecco, mi sento così.






lunedì 16 marzo 2015

Fonte di stress risparmiabilissima

Se c'è una cosa che mi scombussola più di ogni altra è preparare le domande di qualsiasi genere.
Insomma, vendersi. Cosa dire e cosa non dire, cosa vorranno e cosa pensano che dovresti volere.
Giocare agli indovinelli, ché tanto poi si sa che è un susseguirsi di balle cosmiche e meglio sarebbe giocare alle spacconate come i paladini (che ci si inguaiano, ma poi se ne tirano fuori con eleganza).
Ma l'ultima efferratezza in merito à la lettera di motivazione.
Per qualsiasi cosa.
Ma quale motivazione volete che abbia.
Se non quella spasmodicamente perseguita, alla mia veneranda età, di continuare a studiare, pagandomici un tetto sulla testa, la bolletta del riscaldamento e un cibo non avvelenato da supermarket.
Cosa vi devo supplicare a fare, quando lo dicono il mio cv, le cose che ho fatto e scritto, la mia faticosissima scelta di vita.
Cosa devo inventare per affermare, falsamente, che nella vita non ho mai fatto e sognato che partecipare al tal progetto di cui ho saputo l'esistenza al momento del bando. Ma che pure rientra nella disciplina e nella specialità che tratto. Ché se aveste avuto e identificato chi faceva esattamente per voi, non avreste armato tutto questo ambaradam.
Come se non saltasse agli occhi da tutto il resto.
La mia motivazione, come quella di tutti, è la estrema necessità di lavorare. Pagati.
Quindi si accettano tutte le opportunità, coerenti o un po' meno coerenti, piacevoli o un po' meno piacevoli, che restino nell'ambito della serietà: dei committenti, dei metodi, dei progetti.
Non sono moltissime. Per forza possono essere eterogenee, ché anzi dovrebbero dimostrare curiosità e fantasia, purché rigorose.
Questo è il punto.
Il resto è fuffa.
Aziendalista made in USA.
E al diavolo, ecco.

giovedì 12 marzo 2015

Prosit

Quando al termine della seconda notte di lavoro; dopo una settimana avviticchiata alla scrivania senza neanche guardare il viso di tua mamma venuta a trovarti in giorni tragici per via dei convenientisssssimi biglietti low cost a data fissa, ché gli altri non potremmo permetterceli, e ormai ripartita, con la soddisfazione di avere acchiappato uno dei due conigli a zonzo che gli manca solo un po di toilettage, ti ritrovi a volerti versare un bicchiere di vino nella borsa dell'acqua calda prima di abbatterti sul letto, forse è il caso di dire che qualcosa, decisamente, non va :-)
Ma benedetta la sorte di poter lavorare su tutto questo.
A presto, spero.... buonanotte....

mercoledì 4 marzo 2015

La grande infamia

Una cara amica mi ha scritto stupendosi di come nella mia situazione di incertezza sul futuro che vorrei io riesca sembrare soltanto entusiasta di ciò che riesco a fare senza cedere alla rabbia e alla rassegnazione.
Le sono grata davvero per queste parole molto preziose per me, e per tante altre cui risponderò spero presto in modo più personale, ma la rabbia c'è, eccome. Ancora più c'è l'inquietudine per l'incertezza, che mi paralizza spesso mentre dovrei concentrarmi solo sui compiti da svolgere, che sono anche difficili, certo, ma sono comunque fattibili ed amati.
Invece no. Non sempre. Non sempre riesco a essere serena e pronta, perché rosa dal tarlo della preoccupazione di chi si trova crudamente al centro di un processo storico condotto da forze che nessuno sembra voler contrastare. Come adesso che giro in tondo da settimane su una cosa ormai perfettamente risolvibile in un paio di giorni. E mi dispero, e mi riangoscio peggio.
Perché le difficoltà in cui mi dibatto io (almeno in gran parte), in cui si dibattono l'Italia e l'Europa tutta, hanno un nome (non personale, anche se molte persone gli hanno volentieri prestato il loro) e un'origine. Questo ne è il Manifesto spietato (firmato da un volenteroso carnefice tra i tanti e non peggio di tanti), e noi oggi ne subiamo le conseguenze.  Altro che crisi! La crisi è il risultato di queste azioni e dei mezzi con cui sono state messe in pratica, non un fenomeno incomprensibile dovuto alla volontà divina. 
Ma non sappiamo vederlo.
E ora spero di recuperare sufficiente serenità per finire questo benedetto lavoro che avrebbe dovuto esserlo già sabato.
Ma non dimentico. E non posso dimenticare chi come e perché ha scientemente gettato nella miseria un continente intero, che aveva prodotto il più civile modello di convivenza che l'umanità abbia conosciuto. Per compiacere la propria infinita avidità.
Né posso dimenticare la cecità e la superficialità voluta con cui si rimuove il problema, si alzano le spalle, ci si gratifica con consumi scadenti "perché bisogna pur pensare ad altro" o "bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno", "perché tanto è cosiììììì" e altre idiozie narcotiche, non ci si informa, non si sceglie, non si pensa a demolire questi vagoni piombati.

Questi i principi che hanno distrutto e stanno distruggendo il presente e il futuro di troppi (il grassetto all'interno del testo è mio):

" Interventi strutturali difficili ma obbligati

BERLINO E PARIGI RITORNO ALLA REALTA'

I governi di Francia e Germania sembrano aver scelto, ormai senza riserve, la strada di quelle che il gergo economico chiama riforme strutturali. Non sappiamo se andranno fino in fondo; ma se poniamo questa scelta in prospettiva possiamo comprenderne il significato storico e anche azzardare una previsione. Solo sei anni fa Francia e Germania si autoiscrivevano con sussiego nel nucleo dei Paesi in regola su tutto: inflazione e bilancio, direttive europee e stabilità politica. In realtà i semi delle difficoltà già maturavano. La Germania aveva vinto per anni, decenni, combinando la superiore qualità dei suoi prodotti industriali (chi compra una Mercedes non bada al prezzo) con la superiore stabilità dei prezzi: le periodiche rivalutazioni del marco premiavano la combinazione ma vi contribuivano anche, perché proprio esse calmieravano i prezzi. La Francia, dopo la svalutazione del 1983, aveva preso la ferrea determinazione di fare «come e meglio della Germania»; un severissimo controllo dei salari accrebbe anno dopo anno la competitività favorendo la crescita. Proprio il successo della rincorsa francese contribuì a indebolire l' arma vincente della Germania. Nel 1992-' 93, rifiutando la svalutazione sul marco, la Francia si difese da un ritorno al vecchio male. Nell' ultimo decennio entrambi i percorsi si sono fatti impervi. Anzitutto per la Germania, aggravata dai costi della riunificazione e dalla perdita del vantaggio di prima della classe. Poi anche per la Francia, dove si esaurivano i margini della disinflazione competitiva. Quando la corsa dell' economia americana cessò di far crescere tutti, le magagne di ciascuno divennero evidenti e il bisogno di curarle urgente. Francia e Germania si ritrovarono con disoccupazione e disavanzo pubblico pesanti; da severi maestri della stabilità divennero scolari senza il compito fatto. Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitando l' intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica compassione.  

Nell' Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev' essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l' individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore [! Qui credo si violino proprio i diritti umani] ; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l' apprendistato di mestiere, costoso investimento [e anche qui non stiamo messi bene, come diritti umani].


Il confronto dell' uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l' individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato. Germania e Francia sono Paesi con forte struttura dello Stato, consapevoli di sé, determinati a contare nel mondo, sorretti da classi dirigenti attente all' interesse generale. In entrambe, il modello di società (lo stesso dell' Italia) ha bisogno di coraggiose correzioni, diverse e in qualche caso maggiori di quelle necessarie all' Italia. Le difficoltà sono notevolissime. Ma riesce difficile pensare che, imboccata la strada, i due Paesi non sappiano percorrerla con determinazione.

(26 agosto 2003) - Corriere della Sera"

A marzo 2015 in Italia entra in vigore la più precarizzante delle riforme del diritto del lavoro.
Ancora una volta ci si sta lanciando a demolire le pensioni (dei poveri).
Gli ospedali funzionano sempre meno.
La disoccupazione e la perdita del tessuto industriale sono fiorenti.
Esempi fra tanti. 

Spero di riuscire a andare avanti sul mio articolo, adesso. Ma non è facile, con un peso simile addosso. E niente schermi, o quasi.

L'articolo è consultabile sul sito degli archivi storici del Corriere della Sera.