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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

mercoledì 28 dicembre 2016

Preparativi

Dalle mie valli amatissime, ora brulle e senza un sol fiocco di neve:





mercoledì 21 dicembre 2016

La leggenda della notte del solstizio

Pirato la storia dei Kallikantharoi, che cominciano già a spuntare da sotto la terra, annusando l'aria fredda di questi brevi giorni. I Kallikantharoi sono piccoli folletti che vivono presso il centro della terra, sono neri, hanno una lunghissima c o d a, mangiano rane (o-ohhh!), vermicelli e @@.

Hanno paura del fuoco e del sole e anche dell'acqua, ma solo se è santa. Nei dodici giorni fuori dal tempo tra il solstizio e l'inizio di gennaio, quando il sole appare immobile, cioè tra Natale e Epifania, lasciano le tenebre sotterranee dove vivono per passeggiare la notte nel mondo di sopra, quello dove noi respiriamo, abbandonando la loro opera.

Tutto l'anno i folletti lo passano chiusi nel centro della terra intenti alla fatica. Al centro della terra cresce l'albero della vita che sostiene il mondo. I folletti lo segano e lo fanno a pezzi. Ma sul più bello, quando ormai l'albero sta per cadere, il mondo si apre e loro possono sfuggire alla fatica e sciamare sulla terra, dove amano fare un gran trambusto.

Entrano nelle case passando da ogni pertugio come i soffi del freddo vento di tramontana: dalle finestre, dal camino, dalle porte che non chiudono bene, dalle crepe nel muro.

Ma basta poco poco per confonderli. Se troveranno un colino davanti alla porta, per esempio, passeranno tutta la notte a contare i buchi finché all'alba  correranno a nascondersi per non essere sorpresi dal sole. Nel camino basterà mettere un grosso ciocco che bruci per tutti i dodici giorni in cui il sole quasi scompare a tenerli lontani.

Quando il sole ricomincerà il suo giro tornerannno al centro della terra. Là scopriranno che l'albero della vita è ricresciuto durante la loro vacanza e ricominceranno a consumare nel lavoro un altro anno di vita.

Scrivo questa storia così fiorente di simboli e metafore come augurio a un popolo martoriato al di là del sopportabile, quello greco, nel silenzio dell'informazione, non alle porte dell'EUropa come si diceva un tempo dell'ex Jugoslavia, ma dentro e per mano dell'Unione europea. Quanti di loro non passeranno il freddo dei giorni dei Kallikantharoi?

Buon Natale.

venerdì 16 dicembre 2016

In nome del papa re

Quello che non è affatto divertente, invece, è l'effetto del polverone sollevato da questa vicenda: qualcuno ricorda ora i salari e il potere d'acquisto più bassi della media d'EUropa, raggiunti dall'Italia grazie a Jobs Act, con la Grecia pudicamente esclusa dalle statistiche, dopo il passaggio dei boia di Bruxelles? o non si stava per caso parlando di irrilevanti problemi da due soldi del Monte dei Paschi di Siena?
Fondo salva stati=troika in casa (finora si va per corrispondenza) o salvataggio diretto, come la Germania con le sue casse locali?  o trappole per i piccoli risparmiatori dei quali, si badi, non faccio parte: la moderazione salariale imposta dall'euro e dall'"economia di mercato fortemente competitiva" prevista dai trattati UE mi impediscono di avere risparmi, malgrado la tutela costituzionale sul risparmio diffuso.

Così, tanto per sapere.

Ma come: e i "privati"? i santi del nostro tempo profano? Non dovevano salvarci loro?
Eh, be', sembra che costoro abbiano una certa riluttanza a entrare dove non si lucra presto e subito. Ma no? ma come? Il mercato è sempre il più bello, e si sa, ha sempre ratione...


Ora, io non ho modo di sapere se costui abbia o meno fatto quello di cui viene accusato.
Di certo, se un ex finanziere per entrare nei servizi segreti si suppone italiani, chiede aiuto, e già sarebbe opinabile la cosa in sé, proprio a un vescovo(!) sul sagrato di San Pietro, cioè, tralasciando ogni altra considerazione, a un funzionario di uno stato estero, la cosa lascia quantomeno perplessi.
La cattiva letteratura ne riceverebbe una conferma devastante.
Allo stesso tempo questa cosa è così perfettamente romana, così assolutamente senza tempo, da parere più che verosimile: divertente.

lunedì 5 dicembre 2016

NO, uno per articolo. E l'ultimo per il mandante.

Qui non si arrende nessuno!

Oggi è un giorno di festa. Brindisi e candele. Scoperta di consonanze inaspettate. A domani.


Cronaca familiare di una domenica referendaria, 
banali spiccioli che si vuole fissare nella memoria. 
Luisa, la sorella di Beatrice, aveva votato per la prima volta nel 1946. Marito e amico di famiglia, forse compagno della madre, ma questa è un’altra storia che forse un giorno si racconterà, comunisti sotto il fascismo, poi impegnati nella Resistenza, era diventata comunista anche lei, con un’incrollabile fede peraltro nella democrazia parlamentare. Al seggio, spiegava, ci si va di buon mattino, con l’abito della festa, dopo avere fatto il bagno e lavato i capelli. Così,  in sua memoria, domenica, dopo due mesi di malattia, mi sono dedicata a una lunga doccia (perché oggi non mi posso permettere una casa con la vasca da bagno, diversamente dalla sua generazione, e mi manca moltissimo) e ho tirato fuori le scarpe, se non il vestito della festa. Ma un bel maglione morbido e una gonna regalatami dalla mamma li ho messi. Faceva quasi caldo. La mia mamma è venuta a prendermi e siamo andate ai seggi. Mi guardavo intorno, era il primo pomeriggio, vedevo soprattutto persone di una certa età e mi chiedevo con ansia in mezzo a chi vivessi, cosa avrebbero espresso coloro che incontro ogni giorno per le strade, se avessero ceduto al timore della propaganda colante da ogni dove, quali metri di giudizio avessero usato per decidere del voto e quale voto. Abito nei due famosi municipi dove ha vinto il Sì, sia pure molto sbiadito, ma dove non vivono soltanto i ricchi, come superficialmente è stato detto. Intorno a me c'erano sguardi modesti, volti segnati non dalla chirurgia estetica ma dalla stanchezza e dalla fatica, da una condizione economica che non permette di indulgere in massaggi, creme e cliniche di bellezza, vestiti grigi di taglio qualsiasi. I poveri vecchi ignoranti del Brexit, insomma. Quelli che un tempo, in un altro tempo, sarebbero stati più precisamente e onestamente definiti gli sfruttati. Coloro che la Costituzione ha aiutato negli scorsi decenni ad avere una vita migliore, grazie alla sua splendida prima parte, soprattutto ai diritti economici che essa garantirebbe se non fosse ormai esautorata in nome della "economia di mercato fortemente competitiva" prevista dai trattati UE. Mi chiedevo se avrei dovuto disperarmi per la capacità di giudizio dei vicini, per il destino che avrebbero voluto imprimere al nostro futuro. Ero agghiacciata ma non osavo parlare. Solo mi aggrappavo agli sguardi tentando di decifrarli, stabilire un contatto, intuire un guizzo, una determinazione, una barriera. Un NO. Poi ci siamo organizzate per la merenda da me, il the nelle tazze dono di nozze di Beatrice, vagamente suprematiste, degli anni Trenta, la candela accesa sul tavolo con la tovaglia ricamata del suo corredo e questi splendidi soufflé alle castagne ad aspettarla. Eravamo tutte e due in ansia per il risultato, lei poi ha un marito siista come tutta la di lui famiglia. Per fortuna, mi spiegava, abbiamo fatto i conti che i nostri voti e i loro si compensano. Così abbiamo organizzato un pomeriggio per noi, facendo cose piacevoli e rivedendoci dopo due mesi di malattie reciproche. Non volevamo parlare del referendum, bensì goderci solo la reciproca compagnia, ma il pensiero aleggiava.  I soufflé l’hanno incantata già al vederli nel forno. I kaki erano squisiti. Mi ha chiesto il permesso di portarne uno a suo marito, persona ottima, tra l’altro. “Portaglielo pure, ho risposto scherzando, ma non se lo merita!” E per ancor maggior fortuna, ci sono stati altri voti che non si sono compensati più.

Quando è tornata a casa, io sono rimasta qui, leggendo e riordinando, in compagnia delle mie medicine. L’ansia montava. Mando un sms disperato a un’amica francese che tenta di confortarmi. La sera, a urne chiuse, non voglio sapere nulla, mi convinco a non sperare, a non sperare troppo. Vado a letto, niente internet, niente messaggi, niente di niente. Altrimenti non avrei dormito, e il giorno dopo al ritorno al lavoro mi aspettava una lunga giornata di dieci ore, con una scadenza importante e pubblica. La mattina scopro uno splendido sole. Dopo la malattia ho voglia di colori chiari e infuocati e mi vesto con una gonna rossa di lana a ruota dalla vita alta e strizzata e un maglione bianco, anzi due, a ripararmi il petto e la schiena. Talons rouges e via nel cielo azzurro. Ma ancora non voglio sapere. Mentre con l’équipe siamo immersi nel lavoro di montaggio fisico, arriva un sms “Siamo stati bravi, il lavoro comincia adesso.” Chiamo, e finalmente so. 65% di votanti, 59% di NO. Scopro che un membro della squadra ha fatto campagna per il NO. Mentre lucidiamo un pezzo ci confrontiamo e ci riconfortiamo. Il pezzo ormai brilla grazie all’ entusiasmo politico che fa scorrere energia nelle nostre mani attive e impegnate. 

Alla fine della lunga giornata ritorno a casa sotto le stelle: è tempo, almeno oggi, di brindare, festeggiare, riposare, essere felici. Degli altri, di noi stessi. Almeno un giorno, almeno una notte.
Ancora qualche minuto agli uomini.