martedì 30 aprile 2019
Les tours de Notre-Dame
Secondo Le Canard Enchaîné la Direzione degli affari culturali del ministero della cultura avrebbe soppresso a partire dal gennaio 2016 la sorveglianza notturna, malgrado fosse prevista dal piano di sicurezza del 2013, e avrebbe poi soppresso il secondo sorvegliante al pc di sicurezza installato nella sacristia. La sorveglianza è stata inoltre affidata a una società privata - IL PRIVATO! QUELLO BRAVO!!! QUELLO EFFICIENTEEEEE!!! QUELLO CHE FA RISPARMIAREEEEEE!!!, la quale, appunto, ha risparmiato sui costi per aumentare i profitti.
La persona sul posto la sera del 15 aprile non conosce l’edificio, perché ci lavora da pochi giorni. Chissà poi con che criterio è stata scelta e come è stata formata. La cattedrale come ognun sa è immensa,e bisogna anche avere una minima familiarità con questo tipo di edifici e le loro parti per orientarcisi.
Ad ogni modo costei visto il segnale luminoso dell’anticendio telefona al sorvegliante della chiesa spiegandogli che il segnale d’allarme riguarda il sottotetto della sacristia, anziché quello della navata. Il sorvegliante della chiesa che è addetto proprio all’anticendio va nel sottotetto sbagliato dove non puo’ trovare un incendio che non c’è. Solo al secondo allarme il sorvegliante della chiesa, accompagnato dall’amministratore della cattedrale riesce a localizzare l’incendio e ad avvertire il dipendente della società privata che infine chiama i pompieri alle 18 h 51, un tetto, quarantacinque minuti, sette secoli e svariati miliardi più tardi.
I dipendenti avevano peraltro tentato di avvisare la società dei rischi: se sono in bagno o in pausa come faccio a sapere che suona l’allarme, si preoccupa uno di loro scrivendo ai suoi resposabili. Inoltre, quando i sorveglianti erano due, a turno facevano il giro dell’edificio per familiarizzarcisi, precauzione divenuta impossibile da quando ce n’è uno solo.
Infine diversamente da Versailles e Orsay Notre-Dame non ha un plotone di pompieri all’interno.
Un altro grande successo degli invasati della spesapubblicabrutta e isoldinonsitrovanosuglialberi, UE, liberismo e porcherie connesse.
Fonte: Christophe Labbé, Hervé Liffran, A Notre-Dame la surveillance incendie ne pétait pas le feu, in Le Canard enchaîné, 30 avril 2019, p. 3
lunedì 5 giugno 2017
Quando l'informatica aiuta la lettura? - Aggiornamento del post precedente
Svantaggi: son di due tipi.
I programmi di visualizzazione. Se si legge in .pdf è complicatissimo per un documento cosi' lungo riuscire a scorrere le pagine all'indietro, ad esempio. Ci mette un tempo infinito e molto spesso salta una pagina tra quella in lettura e quella che visualizzerà: generalmente salta proprio la pagina richiesta. Inoltre per motivi incomprensibili, il programma si chiude da solo su certe pagine (testato su due pc diversi).
Se leggi in kindle ma da pc, come faccio io, nove su dieci non te lo apre, o lo apre male, insomma si parlano poco. Inoltre non si riesce a usare la funzione "trova".
Se lo lasci sul sito di archive.org, come pure ho provato a fare, sfogliando le pagine, va bene finché vuoi fare una lettura "dalla prima pagina all'ultima" come fosse il romanzino del mese che non ti va di comprare su carta perché costa meno digitale. Va meno bene se ad esempio, hai cercato un termine o un nome che ricorre frequentemente nell'arco di poche pagine. I punti di segnalazione, ancora una volta esemplati sulle palette delle mappe google, si sovrappongono e non c'è verso di riuscire a individuare quali e quante siano le pagine giuste: rischi sempre di perdertene qualcuna senza accorgertene.
Inoltre non si puo' stampare.
Tutte cose che fanno perdere un sacco di tempo e di pazienza, ma pure di salute. Infatti e qui veniamo al secondo tipo di svantaggi, io trovo che la lettura da pc sia quanto di meno ergonomico esista. Il libro è un oggetto complesso, concepito e un tempo anche fabbricato per la lunga durata. Ha una sua ergonomia che mira al risparmio e alla comodità, fatto salvo ovviamente un uso di rappresentanza o tesaurizzazione che ha altre esigenze.
La macchina oltre a essere constantemente energivora, richiede una postura molto meno modificabile e adattabile e per quanto sia ad alta definizione, questi schermi sono splendidi ad esempio, stanca occhi e articolazioni molto più di un oggetto relativamente maneggevole e leggero su carta.
Insomma crea dolori, soprattutto se si usa in modo costante e quanto meno è moderna e ovviamente costosa, e si parla di migliaia di euro, pesanti sui nostri salari impoveriti da decenni di tagli, precarietà e disoccupazione.
Inoltre la lettura su schermo per me è deleteria perché non mi fa ricordare nulla. Lo schermo in sé unito all'imperativo di internet, stupido, ma commerciale, di leggere solo i primi dieci risultati (forniti da un indipendente e disinteressato motore, naturalmente) e di interagire per urletti e battutine, una cosa che i blog avevano per fortuna iniziato a ridurre, proponendo un ritorno alla scrittura che i social hanno distrutto a vantaggio della stupidità e del nulla assunti a suprema abilità comunicativa sotto il nome di spiritosaggine, ma cio' è un altro discorso, facilitano l'ansia di "andare avanti" e una lettura frammentaria, volante e superficiale di contenuti e ragionamenti che sono invece per loro natura distesi, articolati e complessi.
Puo' essere un grande vantaggio in certe discipline, per esempio, avere sottomano senza scollarsi dalla sedia articoli scientifici concepiti in maniera ormai sempre più standardizzata cui fa figo mostrare di saper aderire meglio degli altri, composti da una serie di quattro disegnini accompagnati da tre pagine di tessuto connettivo formato da parole, per concludere con una pagina di note: "Mi cita? chi cita?" è la tipica reazione pavloviana. Questo tipo di lettura (che puo' ovviamente proporre risultati validissimi, nel proprio campo, esattamente come vere porcherie) è assai favorita da programmi che permettono di visualizzare ad esempio le sole note o i soli grafici. Ma la formula di organizzazione del testo e di scelte di impaginazione, quindi di lettura, riflette solo la maggiore forza economica di alcuni modelli mentali legati a precisi campi di ricerca, non a tutti e non c'è nulla di più deleterio per le scienze umane che hanno altri modi e linguaggi, discorsi e tempi di riflessione e lettura. Si facilita cosi' l'uniformazione forzata su un solo criterio di elaborazione e fruizione di testi scientifici che tende a eliminare qualsiasi approccio diverso, proposto sempre più all'esecrazione sia pure garbata, come mancante di rigore o peggio ancora di "modernità".
Morale: ho potuto individuare i passi che mi interessavano, a prezzo di tre quarti di giornata passati a sudare su come trattare con quella digitalizzazione: ma per poter dire di essermi realmente appropriata di quel testo ho dovuto aspettare il giorno dopo, andare in biblioteca e leggerlo sulla sacrosanta carta senza ammazzarmi il corpo oltre che la pazienza.
Quello che è stato assolutamente insostituibile è stato l'indice automatico, anche perché conoscevo le varianti ortografiche: non avrei mai potuto leggere tutto il volume in tempo ragionevole. Allo stesso tempo, la scomodità assoluta di leggere online il contesto attorno ai passi citati avrebbe sicuramente facilitato una lettura parziale e superficiale, oppure domandato una fatica che pochi e non sempre sosterrebbero, per comprenderlo realmente.
Mi domando a questo punto se la lettura su schermo non stia diventando una lettura sostanzialmente per poveri, mentre la carta, che richiede tempo per accedervi, costi maggiori per acquistarla, spazio per immagazzinarla, anche e soprattutto in case sempre più esigue per il loro costo rispetto ai salari, spese di gestione rilevanti per le strutture collettive, non stia invece sempre più acquistando, dopo avere contribuito a diminuire il costo della produzione dei libri facilitandone la diffusione, le caratteristiche di un prodotto per ricchi.
Quindi, per fortuna che esistono ancora le biblioteche aperte, in Francia, con orari anche serali, e con la distribuzione che non chiude nel primo pomeriggio e che non è limitata a un numero assurdamente esiguo di volumi, come in Italia. Cioè per fortuna che lo stato SPENDE per i SALARI delle PERSONE ( non per i profitti delle aziende che impiegano precari!) che devono garantire questi SERVIZI sacrosanti, l'ACQUISTO dei libri necessari per rimanere aggiornati rispetto alla produzione editoriale, il MANTENIMENTO di strutture eccezionali e spesso BELLISSIME, dove studiare, leggere, imparare diventa più semplice perché il nostro corpo e il nostro cervello sono semplicemente, più SERENI.
Queste sono (alcune delle) cose per cui lo Stato, cioè tutti, DEVE spendere. Non risparmiare. Mai.
lunedì 12 settembre 2011
Perché "non ci sono i soldi" - e per cosa invece ci sono
Le lodi al privato imprenditore, se così vogliamo chiamarlo, mi hanno sempre fatto, in fondo, tenerezza. Il rischio d'impresa, il coraggio di investire del proprio, di non aspettare lo stipendiosicuroafine mese e tutta quella roba lì, l'omogeneizzato per adulti consenzienti dei nostri tempi. Perché, tranne forse minuscole situazioni di artigianato, non c'è attività privata che in Italia non dipenda dai soldi pubblici e non ne prenda, di fatto vivendo alle nostre spalle senza cessare di farci la morale. E per realizzare, soprattutto, cose che non servono, non ci servono, mentre molto spesso rendono le città e ahimè anche le campagne un delirio urbanistico totalmente privo di strategia. Tanto chi può si ripara in villa o superattico e a combattere con un paesaggio alienato e degradato restiamo noi, che non abbiamo scelta, che sogniamo un ambiente sereno, ben tenuto e perchè no, bello, ritrovandoci a vivere tra svincoli, palazzoni, sottopassi, viadotti, cemento, vetro e pavimentazioni squallide di finto ghiaino made in China o dove che sia, piene di bruttezza, fomentatrici di violenza e desolazione. Che ci ritroviamo a sentirci dire che i nostri stipendi e le nostre pensioni non sarebbero un diritto costituzionale (finché rimane), e direi anche semplicemente u m a n o (la nostra Costituzione segue molto da vicino la Carta dei diritti umani) ma un privilegio che crea problemi al presente e al futuro.
Il nostro settore non fa peraltro eccezione: i privati vivono di commesse pubbliche, e fanno profitti su un ribasso forzato del costo del lavoro con l'assenza delle minime tutele decenti, anche se le somme in gioco non sono certo paragonabili.
Questo articolo è apparso sul Manifesto del 12 settembre 2011. Lo trovo molto interessante perché mostra dove vadano in realtà i soldi pubblici: nelle tasche private, non per pagare gli stipendi, ma per realizzare profitti grazie a lavori inventati ad hoc, privi di qualsiasi utilità comune.
Paolo Berdini
Le cinque grandi ruberie al tesoretto italiano
La manovra economica approvata dal Senato non taglia gli sperperi della spesa pubblica. All'ultimo istante sono state risparmiate anche le prebende della casta parlamentare e nonostante quanto emerge dall'inchiesta sul sistema Sesto San Giovanni - e cioè il gigantesco intreccio tra l'uso della spesa pubblica e dell'urbanistica contrattata per fare cassa a favore delle lobby politico imprenditoriali - né la maggioranza né l'opposizione hanno posto all'ordine del giorno il prosciugamento del fiume di denaro pubblico che sfugge ad ogni controllo democratico. Il "sistema Penati" sta lì a dimostrare che esiste una gigantesca cassaforte piena di risorse che non viene neppure sfiorata dai provvedimenti economici in discussione in Parlamento: lì c'è un grande tesoro che permetterebbe di non tagliare lo stato sociale e risanare il paese.
Il tema del taglio al malgoverno urbano tornerà sicuramente all'ordine del giorno perché tra qualche mese ricomincerà la grancassa del «non ci sono i soldi» e - complici le autorità europee - ripartirà la rincorsa per tagliare i servizi, tagliare le pensioni, vendere le proprietà pubbliche. Vale dunque la pena riprendere il prezioso suggerimento di Piero Bevilacqua su queste pagine (28 agosto), ragionare sulle possibilità di rovesciare i canoni del ragionamento fin qui egemone per interrompere una volta per tutte la grande rapina dei beni comuni, delle città e del territorio.
Il denaro pubblico viene intercettato dalle lobby politico-imprenditoriali attraverso sei grandi modalità. La prima riguarda le opere pubbliche. Il volume degli investimenti pubblici nei grandi appalti è pari a circa 20 miliardi di euro ogni anno. Appena pochi mesi fa un giovane "imprenditore" (Anemone) con il fiume di soldi guadagnato in generosi appalti offerti dalla cricca Bertolaso ha potuto permettersi di contribuire all'acquisto di una casa per l'ignaro ministro Scajola: quasi un milione di euro. Ad essere prudenti una percentuale intorno al 20% ingrassa le tasche della politica corrotta e delle lobby: 4 miliardi ogni anno. Qualche tempo fa ci hanno ubriacato con l'esempio virtuoso dell'unificazione degli acquisti delle siringhe per il sistema sanitario nazionale perché ogni regione spendeva somme differenti. Tanto rigore per pochi spiccioli, mentre non sappiamo controllare quanto costa costruire una scuola o una strada.
Un secondo capitolo strettamente connesso al precedente è che molte opere pubbliche non servono alla collettività, ma vengono decise da sindaci che si sentono abilitati a compiere qualsiasi nefandezza perché «eletti dal popolo». Come a Parma, dove una falange di amministratori ha sperperato miliardi di euro in grandi e inutili opere. Ora il comune è sull'orlo della bancarotta (seicento milioni) e il sindaco è ancora lì, barricato nel palazzo. O come nel caso della faraonica piscina voluta dall'ex sindaco di Roma Veltroni a Tor Vergata: occorrerà spendere un miliardo di euro per farla funzionare. O, come emerge dall'inchiesta di Sesto San Giovanni, appalti inventati appositamente per rimpolpare i bilanci delle aziende pagatrici di tangenti (la milionaria illuminazione della tangenziale, ad esempio), o attraverso l'affidamento a prezzi protetti di servizi pubblici, come il trasporto urbano. Anche in questo caso una stima prudente ci porta a dire che possono essere risparmiati almeno 4 miliardi ogni anno.
Ci sono poi le poste maggiori: quelle che intercettano la spesa pubblica corrente. Per la sanità pubblica si spendono oltre duecento miliardi di euro all'anno e ci si è dimenticati troppo in fretta lo scandalo della sanità della Puglia, quelli ricorrenti di Milano e della Lombardia, quello del Lazio di Storace, della Liguria, dell'Abruzzo. Episodi che derivano dall'uso spregiudicato del taglio delle prestazioni pubbliche e il loro affidamento - a prezzi senza controlli - agli amici di turno. Riportando a sistema la spesa sanitaria c'è spazio per risparmiare decine e decine di miliardi di euro.
C'è poi il capitolo della "privatizzazione" della pubblica amministrazione che sta distruggendo lo Stato e - contemporaneamente - ci costa un fiume di soldi. Il fedele collaboratore di Giulio Tremonti, Marco Milanese, arrotondava il suo non modesto stipendio da parlamentare con consulenze milionarie a carico di istituzioni pubbliche. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto che una giovane di 33 anni, di indubbie attitudini artistiche, era stata nominata consulente della Finmeccanica a spese nostre. Del resto, anche quel campione di moralità di Valter Lavitola è consulente della Finmeccanica. Si potrebbe poi continuare nel calcolare quanto costa alle casse pubbliche la grande abbuffata operata dalla giunta comunale guidata da Gianni Alemanno nel moltiplicare posti di lavoro (centinaia di persone!) nelle municipalizzate romane.
E proprio nell'erogazione dei pubblici servizi si sperpera un altro fiume di risorse economiche attraverso un impressionante numero di società di scopo. La cultura neoliberista è riuscita a far passare i concetti di "efficienza" e in nome di questo totem ad esempio a Parma sono state create 34 (trentaquattro) società partecipate per gestire l'ordinarietà. Anche nell'area bolognese e in molte altre città i servizi pubblici sono gestiti da un numero imponente di società. Presidenze, consigli di amministrazione, consulenti d'oro che riportano docilmente i soldi ai generosi decisori. E invece di disboscare questa foresta di ruberie hanno provato a tagliare la democrazia sciogliendo i piccoli comuni!
Con queste prime cinque voci si arriva a oltre 40 miliardi di euro: l'ammontare dell'attuale finanziaria. C'è poi l'ultimo capitolo che riguarda la madre di tutti gli imbrogli, l'urbanistica contrattata. Essa è diventata l'unica modalità con cui si trasformano la città. Le regole generali sono state cancellate e di volta in volta si decide sulla base delle convenienze. Sull'area Falk servono più cubature? Nessun problema. Un accordo di programma non si nega a nessuno: il sindaco passerà all'incasso di una parte delle gigantesche plusvalenze speculative prodotte e ci farà campagna elettorale. Sulle aree dell'Idroscalo deve essere costruita una mostruosa città commerciale? Ecco pronto un altro accordo di programma completo del ringraziamento economico spesso veicolato da progettisti compiacenti. Questa patologia vale ormai per tutti i comuni, grandi o piccoli che siano.
Il quadro che abbiamo delineato sembra non presentare apparentemente differenze rispetto al recente passato. Ruberie e scellerati sperperi di denaro pubblico ci sono sempre stati: c'è Tangentopoli a dimostrarcelo. Ma il fatto nuovo è che la legislazione liberista affermatasi nel ventennio ha reso il meccanismo perfetto. Non ci sono infrazioni alle leggi perché sono le stesse norme approvate in questi anni a consentire ogni tipo di arbitrio.
Altro che tagli e vendita del patrimonio di tutti, dunque. Basterebbe ripristinare la legalità e risparmiare quanto gettiamo nelle voraci fauci dei poteri forti.
E' venuto il momento di dire basta, altrimenti ci vendono l'intero paese, democrazia compresa. E' questa la sfida che la nuova sinistra ha davanti. Una sfida per delineare un futuro diverso. Per risanare lo Stato, per far vincere le competenze sulla palude di mediocrità che sta soffocando il paese. Per dare una prospettiva ai giovani e al mondo del lavoro.
Come al solito glli articoli del Manifesto non sono condivisibili su Blogger e non sono linkabili eprché dopo una settimana il link non è più attivo. Per questo lo riproduco qui.