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Toulouse en érasmienne

lunedì 22 ottobre 2012

sabato 13 ottobre 2012

La pace dei sepolcri


Pare che abbiano deciso di dare il Nobel per la pace all'Europa (?). Andrei piano nel considerare il nostro continente come un adepto della risoluzione pacifica dei conflitti di qualunque tipo, oggi. M'incuriosisce poi capire cosa ne verrà fatto del denaro del premio, che rispetto al bilancio della Commissione europea (siamo sugli 8 miliardi di euro ma ne vogliono ancora) e agli standard retributivi di chi ci lavora, forse serve a pagare un pic nic, ma tant'è. Magari potrebbero consacrarlo a mantenere il programma Erasmus, una delle rare iniziative europee davvero vicina alle persone anziché alle lobby, che ha probabilmente contribuito a stringere legami tra i cittadini dei vari paesi molto più di qualunque altra iniziativa. Forse i capi d'Europa avevano bisogno d'un po' di marchetta, pardon, di rifarsi un'immagine. Ma tutto ciò è secondario, difronte alla notizia che qualcuno, chissà se preso da ardore contabile, avrebbe pensato e fatto anche sapere in giro, che la Grecia, in nome del nuovo vitello chiamato pareggio del bilancio, dovrebbe evacuare le isole con meno di 150 abitanti: per lasciarle terra di nessuno, magari. Un giorno dovessero passare di lì i pirati cilici, qualche bandito internazionale, un ladro di plutonio...: un investimento davvero geniale. Ma non è nemmeno questo che mi sconvolge. No, non è questo il peggio.
In Europa l'ultimo a pianificare deportazioni del genere aveva un gran paio di baffi da scarafaggio e gli stivali lustri. Era nato in una terra dal vino generoso e aveva avuto il suo momento mistico.

Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese,
a dieci passi le nostre voci sono già bell’e sperse (...)
 Le sue tozze dita sono grasse come vermi
e le sue parole sicure come fili a piombo.
Se la ridono i suoi baffi da scarafaggio
e i suoi gambali scoccano neri lampi.
Intorno una marmaglia di gerarchi dal collo sottile
e si diletta dei servigi di mezzi uomini. (...)
 Come ferri di cavallo egli forgia e appioppa un decreto dietro l’altro,
all’inguine, in fronte, a un sopracciglio, in un occhio.
Ogni esecuzione, con lui, è una lieta
cuccagna ed un ampio torace di osseta.

 Iosip Mandel’stam - novembre 1933

Il nome dello scarafaggio letterario non è Gregor Samsa, anzi è un po' complicato da pronunciare per intero: Joseph Vissarionovich Dzhugashvili.
Aveva anche un soprannome, più facile se volete: Stalin.

P.S.: la notizia è stata smentita solo dopo diverse ore dal commissario europeo Olli Rehn. Il solo fatto che abbia potuto circolare, anche a scopo strumentale, intimidatorio o propagandistico che sia, la dice lunga su questi mezzi uomini che attorniano il capo dei nostri giorni tristi. Per inciso in Grecia, nel continente nobel per la pace, quello delle eccedenze di latte e pomodori, 400 mila bambini sono denutriti. Quattrocentomila. Una città di medie dimensioni.
Dopo le elezioni, arriveranno qui: gli stessi uomini, la stessa fame.
"Orrenda orrenda pace. La pace dei sepolcri. Questa è la pace che voi date al mondo" canta Rodrigo a Filippo II  nel don Carlos di Giuseppe Verdi. Sul frontespizio della tragedia di Friedrich Schiller da cui viene il libretto dell'opera c'era invece scritto "In tyrannos".

Un Nobel davvero ben speso.

giovedì 4 ottobre 2012

Postvague

Nella blogsfera (per quel che la frequento, non molto) i post vanno a onde. Che sia spirito di imitazione, di competizione o che semplicemente certi temi facciano riaffiorare ricordi e impulsi e prendere coraggio nel raccontarli, succede così. In certi momenti si parla con nostalgia di nonni, in altri si propaganda il riciclo; ogni tanto passa un'ondata di lagna. Il mio post oggi è un post di lagna, quindi si sa cosa aspettarsi.
Lagna nasce da angoscia? Lagna nasce da ansia, forse. Nell'ordine: ho scritto tre lettere, anzi quattro contandone una spedita da molto più tempo, in due paesi diversi e non arrivano risposte. Mi servono le risposte! C'è un pezzettino più o meno piccolo del mio futuro in ognuna di quelle lettere e qui io rabbrividisco nell'ansia di una splendida, climaticamente parlando, ottobrata romana. Poi ci sono due lettere personali che mi mettono ansia, una che ho scritto e una che devo scrivere. A paragone, però, è un'ansia molto piccola. Non sposterebbe situazioni consolidate, nel bene e nel male. Infine, ieri, in biblioteca Nazionale a Roma ho dimenticato il mio amato golfino a incrocio da mezza stagione, marroncino, bellissimo, di lana vera e foggia strana, su una sedia. Stamane ho telefonato, ma ovviamente "non l'avevano trovato". Ora in BNF a Parigi io ho lasciato sui tavoli, per ore, pc (ovvio), macchine fotografiche (perché lì essendo paese civile ti puoi fotografare da sola i libri fuori diritto d'autore, invece di salassarti e farti venire i capelli bianchi nell'attesa come succede da noi per far fare le foto al fotografo della solita ditta appaltatrice), stilografiche Mont Blanc, vestiti d'ogni sorta, persino portafogli... ogni volta sono tornata con l'ansia di trovare un vuoto al posto dell'horror vacui che è per antonomasia il mio tavolo, e ogni volta ho dovuto ricredermi: c'era sempre tutto. Sarà sciocco, ma quel maglioncino sparito mi mette di gran cattivo umore. Ecco.
Terza lagna: ennesimo lavoro da finire di ultracorsa (sono già in ritardo). Questa è una lagna seria: quando potrò vivere smettendo di essere scissa tra lavoro alimentare e vita? (Angoscia vera e non lagnosa: temo mai.) Quando il mio giro vita finirà di allargarsi per una frustrazione che da qualche parte deve uscire, dopo giornate di corse lavorative che iniziano con la sveglia alle 6.30 e si concludono alle 21.00? Anzi non si concludono, perché l'ansia del non-finito te la porti dietro anche quando arrivi a casa, e si mischia col bucato da ritirare e riporre (stirare? cos'è?), col letto da cambiare, con l'idea che almeno una volta a settimana il pavimento andrebbe (condizionale, sottolineo) fatto incontrare con l'acqua e sapone, con la cena da cucinare, soddisfatta già se hai ancora trovato il pane dall'unico fornaio decente, un macrobiotico che non lo fa surgelato con un chilo di lievito chimico per 30 g. di farina, bensì con la lievitazione naturale - sarebbe il suo mestiere, no? ma che per paura di non vendere mezzo panino lo finisce due ore prima della chiusura...
Quando tutte queste beghe si placheranno e eviteranno di farmi perdere tempo su internet invece di finire questi benedetti lavori che amo, ma a volte sembrano sovrastarmi e lasciarmi a mo' di bricioline di brisée o polverina di mandorle e farina da dolcetti spagnoli, con solo la sciocca tentazione di rimandare, anziché affrontare nuovo stress, ma la razionalità non può tutto senza le carezze.
Quando, se, la mia casella si riempirà di quelle prime piccole risposte forse andrà meglio. In genere il meglio arriva quando si hanno apprezzamenti e riscontri da fuori. E dopotutto questo dev'essere il motivo per cui tanta gente scrive post a degli sconosciuti affini e non affini, su internet. (O, ancora più triste, a nessuno. Qualche volta mi è capitato di vedere blog così, di gente disperata e persa nel nulla. E di sentirmi impotente e incapace difronte a tanto disagio.)
Ecco.
P.S.: a aver voglia di studiarci un po' su, la scrittura privata di tante persone è stata portata allo scoperto da internet. In parte ciò rivela la vera natura dei diari: sono fatti per essere letti, sono un tentativo comunicativo di sé. In parte permette un censimento curioso della scrittura femminile, ad esempio: temi, stili, livelli, elaborazione (probabilmente qualcuno lo ha già fatto). Confesso che i blog maschili li leggo meno, a parte qualcuno di attualità politica, perché li trovo in genere troppo aggressivi: a petto in fuori  - e pancia ben in dentro, ovviamente... In parte la forma del blog riporta e fa esprimere nella scrittura persone che non avrebbero mai tenuto un diario. Insomma interessante. Chissà che ne penserebbe costui una di quelle teste che vorrei avere la fortuna di incontrare con calma, un giorno.