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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

venerdì 17 settembre 2010

Classe media?

Dunque, ho scoperto di essere "povera". Bella scoperta, si dirà. Fai fatica a pagarti le cure mediche e qualche giorno di vacanza l'anno; l'assicurazione della macchina è il tuo regalo di Natale: cosa ti credevi di essere? Il ragionamento è appena più sofisticato di questi lapalissianesimi. Che io sia compresa tra i poveri e aldifuori in ogni caso della classe media me lo dice il privato!! il mercato!!! uno studio di un grande gruppo, una vera Azienda moderna. Roba seria, signori. Giù il cappello: ce n'è di che. La Allianz assicurazioni ha parlato, con uno studio sui patrimoni individuali che mette a confronto 50 paesi comprendenti il 68% della popolazione mondiale e il 70% del PIL, sempre mondiale.

Lo studio, almeno per come è riassunto da Le Monde è un bell'esercizio da pollo di Trilussa, ma in ogni caso conclude che la classe media nel mondo sarebbe aumentata. Si basa sui depositi bancari e i titoli finanziari, ma esclude le proprietà immobiliari. I 50 paesi sono divisi in tre gruppi:
21 paesi, i più ricchi, patrimonio medio 31.600 euro
13 paesi, ricchezza tra 31.600 e 5300 euro
16 paesi, sotto i 5300 euro.
Lo studio definisce appartenenti alla classe media coloro che possiedono tra i 5300 e 31500 euro, precisando che si tratta in tutto il mondo di 565 milioni di persone, contro i 200 del 2000. La crescita della classe media si sarebbe verificata soprattutto nei paesi emergenti, in particolare Cina, Brasile e Russia, accompagnata fraternamente da una crescita delle disuguaglianze. I paesi dell'est entrati nella UE, invece, si ritrovano con una media di 7000 euro a persona.
Curiosa e importante notazione, in confronto al 2007 la ricchezza media posseduta è diminuita in percentuale più nei paesi a economia finanziaria (tra cui gli USA) che in quelli emergenti, al punto che Allianz commenta come sia evidente che la crisi è stata soprattutto crisi dell'economia finanziaria, mentre i paesi con economie di tipo diverso se la sono cavata meglio. Già, originata da che la crisi poi? Dai mutui... sì, sì, dai mutui di quelli negli USA che non sapevano come pagarsi una casa, boh, chissà perché poi. Già, perché negli USA così tanta gente non poteva comprarsi una casa? Sono ricchi, loro! Hanno la piena occupazione! Appena perdi un lavoro, ne trovi un altro!! Sono meritocratici!!! Basta aver voglia di lavorare.. e poi non ci sono i sindacati. Non hai sentito Marchionne? Ma veramente, cosa vogliamo noi italiani, invece di andare a lavorare.

Notazione personale. Il mio patrimonio è inferiore di circa il 25% alla cifra minima prevista per essere compresa nella borghesia (24,63%, per essere pignoli). Non proprio poco. Se calcoliamo poi che saremmo in Italia, uno dei 21 paesi più ricchi, (quelli in cui il patrimonio medio supera i 30.000 euro), che io faccio parte della protettissima e privilegiata casta dei dipendenti pubblici, che il mio stipendio non è nemmeno dei peggiori, quale fossa questa politica salariale va ad aprire tra lo status di dipendente pubblico e quello di appartenente alla classe media?

Chissà se qualcuno se lo chiede mai.

giovedì 16 settembre 2010

Un futuro agghiacciante

L'essere dipendenti pubblici non ci proteggerà a lungo. A parte che per la nostra sottospecie quando la pubblica demolizione arriverà a trasformarci in Fondazioni sarà come essere dipendenti del settore privato, e a parte che il sottoinsieme di cui faccio parte lavora sotto un capo che ha deciso di trasformare l'istituzione improvvidamente consegnatagli nel laboratorio di questo sfascio, la strategia complessiva è fin troppo coerente e chiara. Noi (dipendenti pubblici, ancor più se del settore cultura-istruzione) non serviamo a questo sistema di potere. Né abbiamo saputo costruire realmente, molto spesso, va riconosciuto in fretta, per egoismi interni, pigrizia intellettuale, ignoranza e miopia, un servizio sufficientemente prezioso, diffuso e efficace da venire difeso in qualche modo dagli utenti, anche solo con la forma del malcontento. Prima ce ne rendiamo conto e meglio è.

Dal Manifesto di mercoledì 15 settembre 2010

di Antonio Sciotto
Riecco la legge «brucia-lavoro»
Al Senato il ddl rinviato dal Quirinale
Il disegno di legge che brucia i diritti, il cosiddetto «Collegato lavoro» approntato dal governo e in special modo dal ministro Sacconi, torna alle Camere: il Presidente della Repubblica lo aveva respinto a fine marzo, decidendo di non promulgarlo. Soprattutto in forza dello squilibrio tra impresa e lavoratore nel momento della firma per la scelta di un arbitro, di fatto obbligata, e la rinuncia al giudice del lavoro. È l'«arbitrato», di cui tanto si è discusso nell'inverno scorso, che ha diviso la Cgil da Cisl e Uil, e che nella versione rivista non riguarda più i licenziamenti e l'articolo 18, ma resta in piedi per tutte le altre cause. E non è l'unico punto negativo del Collegato: la Cgil segnala tanti pericoli e si prepara a una campagna di mobilitazione, con l'obiettivo di ricorrere alla Corte costituzionale a legge approvata.
Il ddl è calendarizzato per oggi al Senato, e se passerà dovrà andare alla Camera per l'approvazione definitiva: ovviamente a questo punto il Presidente Napolitano dovrà promulgarlo. «La parte centrale della legge riguarda la certificazione e l'arbitrato - dice Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil - La certificazione di fatto è già in vigore, ma fino a oggi serviva solo per identificare il tipo di contratto, se fosse a termine o a progetto ad esempio. La novità è che il ddl adesso permetterà di entrare nel merito del rapporto, e si potrà far siglare al lavoratore tutta una serie di clausole in deroga al contratto nazionale, firma di cui poi il giudice dovrà tenere conto. Si ottengono così due risultati: si introduce una prima forma di contratto individuale, e si indebolisce la funzione del giudice».
Fammoni spiega che «la Cgil sarà sempre a disposizione, con i suoi sindacalisti e legali, per consigliare e informare i lavoratori, ma non avallerà mai questo tipo di contratti nè farà mai parte di una commissione di certificazione». «Anzi - aggiunge - una volta che la legge dovesse essere approvata, nonostante gli sforzi che stiamo facendo e faremo perché non lo sia, distribuiremo un vademecum per spiegare tutti i rischi e offriremo sostegno».
Ancora, c'è l'arbitrato: «È una clausola compromissoria che si fa firmare al lavoratore - continua il segretario Cgil - imponendogli di fatto di rinunciare per sempre e senza possibilità di ritorno ad avvalersi di un giudice. Si indebolisce così non solo, ancora una volta da parte di questo governo, la magistratura, ma anche la forza e la centralità della legge. Si deve notare poi che l'arbitro che sostituirà il giudice dovrà emettere una sentenza "secondo equità": anche in deroga alle leggi e ai contratti nazionali. Sono evidenti tutti gli elementi di incostituzionalità della legge, e per questo forniremo ai lavoratori tutti gli strumenti utili per il ricorso alla Corte costituzionale».
Ancora, segnala la Cgil, il ddl contiene l'apprendistato a 15 anni, «che in un colpo solo abbassa l'obbligo scolastico e la soglia del lavoro minorile»; viene inoltre rimessa in piedi la delega sugli ammortizzatori sociali, già prevista nel Protocollo welfare del 2007: «Ma in questo caso è utilizzata per scavalcare il Parlamento e approvare una legge diversa da quello spirito, con differenziazioni a seconda dei settori di lavoro e dei territori». Peggiorano anche le norme sulla sicurezza del lavoro: diventerà obbligatorio denunciare gli infortuni solo con prognosi superiore a 14 giorni, e non più a 3. Inoltre, si abolisce il «registro infortuni» che doveva essere tenuto da ogni impresa. Secondo la Cgil, è solo l'anticipo di altre «controriforme» annunciate: la modifica dell'articolo 41 della Costituzione sulla libertà di impresa e la destrutturazione dello Statuto dei lavoratori.

venerdì 10 settembre 2010

Semplicemente geniale! "Benvenuto nell'esperienza "BOOK"!"



Grazie a Arianna Andrei che lo ha segnalato su AIB-Cur.

giovedì 9 settembre 2010